Per anni ha fatto da tramite tra l'Italia e le comunità italiane in Istria. Ora, l’Università popolare di Trieste, travolta dalla bufera, potrebbe uscire definitivamente di scena
(Pubblicato originariamente da Radio Capodistria )
Il ruolo dell’Ente morale triestino era già stato superato dal tempo. La struttura che durante il regime jugoslavo faceva da tramite nei rapporti tra la Comunità nazionale italiana e l’Italia da decenni non serve più.
È tempo di un rapporto diretto, non più mediato da Piazza Ponterosso. La minoranza tacitamente sembra volerlo e da Trieste arrivano incoraggianti segnali in questo senso. L’Università popolare, così, potrà tornare a fare quello per cui era stata costituita: istruire la popolazione.
Era dalla democratizzazione di Slovenia e Croazia che questo passo sembrava ineludibile. Per la Comunità Nazionale Italiana era cambiato il mondo: non c’era più il partito, si potevano cominciare ad affrontare temi che fino a quel momento erano stati considerati tabù e si poteva inseguire il sogno dell’economia di mercato. Grandi sfide erano all’orizzonte: forse troppo grandi per una comunità piegata dal regime e dai suoi uomini che l’avevano gestita fino a quel momento.
Era quello, comunque, il periodo in cui si credeva che le Comunità degli italiani - che Franco Juri negli anni Ottanta aveva definito circoli dopolavoro di stampo staliniano – dovessero cambiare. In realtà, nel tranquillo mondo della minoranza nulla o quasi è mutato. Le Comunità ancor oggi continuano ad essere quello che erano negli anni Sessanta con la filodrammatica, il coro, qualche gruppo artistico e qualche concerto. Ora le loro sedi non sono più dei buchi fatiscenti, ma degli splendidi palazzi, per i quali, senza il contributo dell’Italia, non ci sarebbero nemmeno i soldi per pagare le spese di acqua e luce. Accade anche in aree dove l’amministrazione dietina non manca di offrire prestigiosi incarichi a connazionali e coprire di elogi la minoranza. Quando si tratta di aprire i cordoni della borsa però è un’altra storia.
La storica collaborazione tra UI e Upt è stata per tutti un porto sicuro: la borsa libro, la gita per gli attivisti, quella per i presidenti e qualche altro piccolo benefit che non aveva più alcun senso. Soldi buttati via, che avrebbero potuto essere impiegati meglio. Per tagliarli ci sono voluti anni e lo si è fatto solo quando qualcuno dall’alto ha fatto la voce grossa, ma intanto non mancano quelli che continuano a sognare le gite e quelli che continuano ad alimentare il sogno, senza capire che è giunto il tempo di pagarsi di tasca propria l’escursione a Firenze o a Cattaro.
L’uscita di scena dell’Università popolare segnerà la fine di tutta una serie di rendite di posizione. Non ci sarà più la porta a cui bussare, con cui alcuni avevano un rapporto diretto e privilegiato, costruito in decenni di collaborazione. L’uragano che ha colpito l’ente triestino potrebbe essere destinato a segnare una rivoluzione copernicana anche all’interno della sonnacchiosa vita della Comunità nazionale italiana. Nel prossimo futuro saranno destinate ad essere messe sulla graticola tutte le voci di spesa e molto probabilmente il ragionamento che bisognerà fare sarà quello dei costi, dei benefici e soprattutto dei risultati conseguiti. Sarà il caso di prepararsi per tempo, perché dire che è sempre stato così e che così deve continuare ad essere anche in futuro non sarà più un argomento vincente.