Seduta della Corte Internazionale di Giustizia

La Corte Internazionale di Giustizia in seduta

Atteso oggi alle 15 il "parere consultivo" della Corte Internazionale di Giustizia sull'indipendenza del Kosovo. A prescindere dalle posizioni emerse, molte questioni tra Pristina e Belgrado resteranno aperte, anche per l'incapacità dell'Ue di esprimere una posizione unitaria

21/07/2010 -  Francesco Martino

“Momento della verità” o ennesimo passaggio interlocutorio nella sfida politico-diplomatica tra Pristina e Belgrado sul destino del Kosovo?

Questo pomeriggio, a parire dalle ore 15, la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja (Cig) renderà noto il proprio “parere consultivo” sulla legittimità della dichiarazione di indipendenza del Kosovo. Gli occhi, in Serbia e in Kosovo, saranno puntati su Hisashi Owada, presidente della Corte, incaricato di dare pubblica lettura al pronunciamento. Ma l'evento sarà seguito con attenzione anche a Bruxelles, Washington e Mosca.

Due le domande in attesa di risposta: la Corte prenderà o meno una posizione definita sulla legittimità dell'indipendenza proclamata da Pristina nel febbraio 2008? E soprattutto, quali saranno le conseguenze del suo pronunciamento sugli sviluppi della partita kosovara?

Difficile fare previsioni sul contenuto del “parere consultivo”, che ha carattere non vincolante, ma peso politico significativo. Sia in Serbia che in Kosovo in questi giorni si ostentano certezze. “Abbiamo ragione di essere ottimisti”, ha dichiarato giorni fa il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremić. “Escludo un parere a favore della Serbia. Andrebbe contro la volontà di un intero popolo”, gli ha fatto eco l'omologo kosovaro Skender Hyseni.

In realtà, sono davvero pochi gli indizi emersi sul possibile contenuto del pronunciamento: indizi scrutati e analizzati mille volte dalle cancellerie e dai media dei due paesi. Particolarmente attivi, in questo senso, i quotidiani serbi.

Secondo 'Danas', nella votazione preliminare per scegliere i giudici incaricati (insieme a Owada) di redigere il testo finale, sarebbero passati con 8 voti a 7 due nomi vicini alle posizioni di Belgrado.In seguito, però, le dimissioni per malattia del giudice espresso dalla Cina avrebbero ristabilito un perfetto equilibrio di forze in consiglio, e i paragrafi del "parere consultivo" sarebbero stati votati separatamente uno ad uno, con risultati tutti da scoprire. Resta da vedere quanto la ricostruzione del quotidiano belgradese sia affidabile.

La maggior parte degli osservatori internazionali, però, è convinta che alla fine la Corte deciderà di evitare posizioni troppo schierate, e formulerà il proprio parere in modo abbastanza ambiguo da lasciare spazio ad interpretazioni anche molto divergenti. In qualche modo dovrebbero essere salomonicamente ribaditi sia il principio dell'autodeterminazione che quello dell'integrità territoriale.

Belgrado e Pristina, intanto, già studiano le mosse successive. La posizione della Serbia, per molti versi, è quella più complessa e delicata. Belgrado sta giocando contemporaneamente su due tavoli, quello della difesa della propria integrità territoriale (o più realisticamente del “salvare il salvabile” in Kosovo) e quello del percorso di integrazione europea.

Con la richiesta di un giudizio della Corte, avanzato dalla Serbia nell'ottobre 2008, Belgrado ottenne un indubbio successo: uscì dal vicolo cieco della strategia di pura ostruzione all'indipendenza kosovara e, richiamandosi ai principi del diritto internazionale riuscì a rallentare, se non a fermare del tutto, il processo di riconoscimento del neonato stato kosovaro.

Oggi però, quella vittoria rischia di restare effimera. Secondo la stampa serba, dopo che la Corte di Giustizia avrà presentato le sue conclusioni all'Assemblea generale dell'Onu (probabilmente ad agosto) la strategia elaborata da Jeremić prevede il tentativo di riportare la contesa con Pristina in questa sede, presentando a settembre una risoluzione che richiama le parti a sedersi di nuovo al tavolo negoziale.

Una mossa che però rischia di mettere la Serbia in rotta di collisione con l'Unione europea, impegnata attraverso la missione Eulex, ma anche economicamente, a rafforzare le giovani istituzioni kosovare. Per Belgrado il rischio è quello di mettere in crisi la strategia del “sia Kosovo che Europa”, di cui ha fatto fino ad oggi il filo conduttore della propria politica estera, e doverla trasformare definitivamente in “o Kosovo o Europa”.

Per uscire dall'impasse Catherine Ashton, nuovo "ministro degli Esteri" dell'Ue, avrebbe proposto al governo serbo di scrivere a quattro mani il testo della risoluzione da presentare alle Nazioni Unite, ma l'idea sembra avere destino incerto. Secondo il quotidiano 'Blic', la Serbia non avrebbe riserve pregiudiziali, ma il testo dovrebbe citare espressamente nuovi negoziati “sulla base della risoluzione 1244”. Difficile trovare un accordo su questi presupposti.

Anche la strada della partizione (Mitrovica nord alla Serbia, con eventuale scambio di Preševo, che andrebbe al Kosovo), ventilata ripetutamente in questi mesi come possibile obiettivo della strategia serba, a oggi resta difficilmente percorribile, soprattutto vista la ferma opposizione di Usa e Ue. Al momento, comunque, non si vede come il pronunciamento della Corte possa favorire questa soluzione.

Più lineare e in qualche modo obbligata, la strategia di Pristina, che si può riassumere nello slogan “Dall'indipendenza nessun passo indietro”. Il Kosovo, finora, è stato riconosciuto da 69 dei 192 membri delle Nazioni Unite: anche nel poco probabile evento di un parere chiaramente contrario della Corte, difficilmente questo potrebbe spingere tali paesi a “disconoscere” Pristina, comportamento senza precedenti nella prassi internazionale.

Secondo le speranze del governo kosovaro e dei partners internazionali di Pristina, alla lettura del parere della Corte, quale che sia il tono del pronunciamento, dovrebbe seguire una nuova ondata di riconoscimenti (35 quelli promessi secondo il ministro Hyseni). Uno scenario di questo tipo rafforzerebbe non poco le posizioni del Kosovo nello sforzo di ottenere piena membership nelle istituzioni internazionali, Onu compreso.

Il governo del Kosovo, in ogni caso, ha messo in chiaro che non intende rinunciare alla propria posizione di principio: nuovi negoziati con Belgrado possono avere esclusivamente carattere tecnico ed essere condotti a livello paritario “tra due stati liberi e sovrani”.

Insomma, sembra probabile che il pronunciamento dei giudici della Corte sia comunque destinato a lasciare irrisolti gran parte dei problemi che oggi impediscono di sbloccare la complessa partita kosovara.

Questo vale, oggi più che mai, anche per l'Unione europea, che rischia di veder ribadita l' incapacità di formulare una posizione unitaria e di veder indebolita la propria credibilità nell'area, nonostante lo sforzo finanziario e gli uomini schierati sul terreno, sia nella cornice Eulex che in quella Kfor (oggi composta quasi esclusivamente da reparti europei).

Un consiglio dei ministri degli Esteri dell'Ue è già stato convocato per il 26 luglio per analizzare le decisioni della Corte e tentare di esprimere una posizione comune. Se consideriamo che Cipro, Spagna e Romania (che insieme a Slovacchia e Grecia rappresentano i cinque membri Ue che non hanno riconosciuto il Kosovo) hanno partecipato al dibattimento dell'Aja difendendo la tesi dell'illegalità della dichiarazione di indipendenza di Pristina, l'obiettivo appare lontano e probabilmente irraggiungibile.

Tutti o quasi sembrano concordare sul fatto che, proprio una posizione forte e condivisa da parte dell'Unione Europea rappresenterebbe il fattore decisivo nello sblocco della “questione Kosovo”, molto più di quanto potrebbe mai essere il pronunciamento della Corte di Giustizia atteso per domani.

Purtroppo, però, nelle cancellerie europee nessuno sembra essere ancora riuscito a trovare il bandolo della matassa e la situazione sul campo in Kosovo rischia di restare quella del "conflitto congelato" ancora a lungo.