"La sicurezza della Moldavia non può prescindere da un dibattito pubblico il più possibile trasparente e inclusivo". Alexandru Flenchea, esperto nella gestione dei conflitti, è a capo della delegazione moldava nella Commissione di Controllo Unificata, piattaforma che dal 1992 si occupa di negoziare e mantenere i termini del cessate il fuoco al confine con la repubblica separatista di Tiraspol. Lo abbiamo incontrato
La Moldavia è sempre più al centro della “guerra ibrida”. Nelle ultime settimane si sono avvicendati numerosi cambiamenti e numerose dichiarazioni, spesso allarmanti, che riguardano la piccola repubblica post-sovietica: dal rimpasto di governo che ha promosso a primo ministro del paese l’ex-consigliere presidenziale per la sicurezza Dorin Recean alle ricorrenti proteste organizzate dall’oligarca in esilio Ilan Shor che chiedono le dimissioni dell’esecutivo, fino alle affermazioni incrociate da parte delle autorità ucraine e russe che paventano rispettivamente un colpo di stato organizzato dal Cremlino e un attacco militare da parte di Chișinău contro la regione indipendente de facto della Transnistria.
Eppure, secondo Alexandru Flenchea – esperto nella gestione dei conflitti, direttore della Ong i4p-Initative for Peace che dal 10 gennaio scorso è stato nominato a capo della delegazione moldava nella Commissione di Controllo Unificata, la piattaforma trilaterale di peacekeeping che dal 1992 si occupa di negoziare e mantenere i termini del cessate il fuoco al confine con la repubblica separatista di Tiraspol – la situazione rimane la stessa che si è creata dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. Al di là dei grandi proclami e dei pur fondati timori che il conflitto possa allargarsi oltre il campo di battaglia attuale, non bisogna infatti dimenticare che nei rapporti fra Moldavia e Transnistria esistono processi di mediazione che proseguono da anni e che contribuiscono a evitare che divergenze e disaccordi degenerino in uno scontro aperto. Abbiamo dunque chiesto ad Alexandru Flenchea di commentare con noi che cosa sta succedendo nel paese e quali sono le sfide più urgenti che l’esecutivo retto da Maia Sandu si troverà ad affrontare nei prossimi mesi.
Le notizie delle ultime settimane parlano di possibili golpe organizzati dal Cremlino così come di fantomatici piani di aggressione militare contro la repubblica indipendentista della Transnistria da parte di Chișinău. Ci può confermare che la Moldavia è invece impegnata a fare tutto il possibile per risolvere la questione della Transnistria in maniera pacifica?
La situazione della sicurezza in Moldavia e della regione è tesa, con molte minacce alla sicurezza che riguardano il nostro paese e i nostri cittadini. Si tratta di una situazione che prosegue fin dal primo giorno dello scoppio della guerra in Ucraina e che non è cambiata nel corso degli ultimi giorni o delle ultime settimane, nonostante le affermazioni minacciose da parte della autorità russe che si sono susseguite recentemente. C’è infatti in atto una campagna di disinformazione riguardante la Transnistria, la Moldavia e un presunto piano dell'Ucraina per invadere la Transnistria, che il Cremlino sta cercando di diffondere in tutto il pianeta. Nonostante tutto questo, insisto, la situazione sul campo non è cambiata.
La Moldavia non ha alcun piano né intenzione di intervenire militarmente nel conflitto: non sto parlando solo dell'impegno da parte del governo moldavo di risolvere la questione della Transnistria con mezzi politici e attraverso negoziazioni politiche, ma anche del fatto che esiste un largo quando non unanime consenso sia nella classe politica che nella società moldave per una risoluzione pacifica del conflitto. Anzi se c'è qualcosa che unisce tutte le persone moldave – e quando dico "moldave" intendo tutte le persone residenti sia sulla riva destra che sulla riva sinistra del Nistru – è la paura della guerra e il desiderio di pace. Mosca lo sa molto bene, e la sua campagna di disinformazione sfrutta precisamente questo sentimento di paura. Parallelamente, stanno creando una serie di narrazioni false per cui il governo moldavo o la Moldavia starebbe progettando un intervento militare contro la Transnistria, per cui la Moldavia starebbe per unirsi alla Nato nel giro di pochissimo tempo, oppure che la Moldavia e l'Ucraina starebbero tramando contro la Transnistria.
Come mai il Cremlino sta portando avanti questa campagna di disinformazione?
L'obiettivo di Mosca è doppio. Da un lato, gli permette di influenzare la politica interna moldava: in autunno ci saranno elezioni locali, cui seguiranno l'anno prossimo quelle presidenziali e infine da quelle parlamentari nel 2025. Si tratta di tre tornate elettorali consecutive, in cui la Russia di certo si sta impegnando per orientarle a sua favore. Dall'altro lato, è chiaro che con la sua campagna di disinformazione Mosca sta tentando di creare confusione ai danni dell'Ucraina ma anche più in generale ai danni del resto del mondo. Si tratta di mettere pressione psicologica su Kyiv per distogliere parte dell'attenzione e delle risorse dal campo di battaglia in Donbass e ridirezionarle verso il confine con la Transnistria. Inoltre, si tratta di manipolare più in generale l'opinione pubblica europea e internazionale, che ha allo stesso modo paura di una possibile escalation o di possibile ricadute della guerra all'esterno del territorio dove ora si svolgono le operazioni militari. È uno schema che si inserisce perfettamente nelle dinamiche di "guerra ibrida" utilizzate dal Cremlino.
Come stanno reagendo le autorità transnistriane a questo quadro di crescente tensione e più in generale alla guerra? Come stanno procedendo le discussione nella Commissione di Controllo Congiunta, che lei presiede dal lato moldavo a partire dallo scorso gennaio?
La Commissione sta regolarmente portando avanti i propri incontri ogni settimana. Da parte nostra, posso dire che stiamo cercando di forzare le dinamiche di discussione per portare sul tavolo dei negoziati questioni più sostanziali, perché pensiamo che l'operazione di peacekeeping e la stessa Commissione che presiede questa operazione abbiano oramai perso rilevanza ed efficacia. Sono strumenti obsoleti e ci serve un cambiamento. Occorre modificare immediatamente il modo in cui la Commissione affronta le proprie sfide relative alla zona di sicurezza fra Moldavia e Transnistria. Questo perché le sfide e le problematiche che siamo chiamati ad affrontare e risolvere riguardano soprattutto violazioni dei diritti umani (trattamento delle donne, prima di tutto, questioni riguardanti il diritto di proprietà privata, ecc), mentre l'operazione di peacekeeping, che ha carattere militare ed è condotta secondo logiche militari, non è lo strumento giusto. Quello che la Moldavia chiede esplicitamente è che l'operazione di stampo militare venga rimpiazzata da una forza di natura civile, composta da membri di più nazioni, sulla base di un mandato internazionale.
Le posizioni e la retorica portate avanti delle autorità di Tiraspol sono contraddittorie e confuse. Il Presidente Vadim Krasnosel'skij, leader ufficiale della Repubblica di Transnistria, è stato estremamente cauto nel commentare i possibili sviluppi della sicurezza nell'area. Insisto, estremamente cauto: non ha mai chiamato esplicitamente "guerra" la guerra in corso, ma nemmeno la ha mai definita "operazione speciale". I messaggi che ha reso pubblici – che peraltro sono stati molto pochi, dal momento che il suo orientamento principale è andato, a mio modo di vedere, nella direzione di ignorare la guerra – hanno avuto un tono massimamente pacifico e amichevole nei confronti della Moldavia. Non solo ha rammentato in ogni occasione che la Transnistria è una nazione pacifica, ma similmente ha anche sempre affermato che non ci sono elementi che indichino che la Moldavia stia per prendere iniziative di carattere militare. Al contrario, si è sempre detto convinto che la presidente moldava Maia Sandu non avesse alcun piano aggressivo nei confronti della Transnistria. Tuttavia, in contrasto con tutto questo, uno dei suoi subordinati, il ministro degli Esteri Vitaly Ignatiev, ha rilasciato nel corso dell'anno appena passato dichiarazioni che contraddicono quanto afferma il suo stesso Presidente. A tutti gli effetti, Ignatiev ha citato letteralmente e in più occasioni le dichiarazioni delle autorità russe e ha diffuso false narrazioni del Cremlino. Questo dice tutto su dove si trovi la "catena di comando" in cui è inserito il ministero degli Esteri transnistriano: ogni azione che compie, ogni messaggio che rende pubblico, il suo comportamento nei processi di negoziato è di fatto contraria agli interessi sia del governo di Tiraspol sia delle 300mila persone che risiedono in quel territorio. È invece in linea con gli interessi di Mosca.
Fra i vari interessi russi in Transnistria, c’è sicuramente la presenza sul territorio di truppe sotto il controllo di Mosca così come di munizioni e materiale militare di proprietà della Federazione. Il primo ministro moldavo ha di recente dichiarato che la Transnistria andrebbe “demilitarizzata”, ma è possibile nello scenario attuale?
La presenza delle truppe russe sul territorio sovrano della Moldavia sarebbe dovuta terminare dal primo giorno di indipendenza del nostro paese. Soprattutto, dopo che la Moldavia ha adottato nel 1994 la propria Costituzione in cui veniva dichiarata la neutralità dello stato, in conseguenza della quale si rendeva illegale ospitare truppe straniere sul proprio territorio, la Russia era chiamata a ritirare le proprie in maniera incondizionata. Nel 1999, al summit Osce di Istanbul, la Russia si è inoltre impegnata, firmando un documento, a ritirare tutte le sue truppe, le sue munizioni e il suo equipaggiamento militare dal territorio moldavo appunto in maniera incondizionata e con tempistiche le più brevi possibili, cosa che sappiamo non è mai avvenuta fino a oggi.
Al momento, è chiaro che non si possono aprire discussioni riguardanti questo tema per via della guerra in corso in Ucraina e per lo stato delle relazioni diplomatiche fra Russia e il cosiddetto "Occidente collettivo" - termine che rifiuto, ma che utilizzo per comodità - tuttavia sono le stesse autorità russe che hanno riconosciuto che le 20mila tonnellate di munizioni presenti nel deposito militare di Cobasna in Transnistria costituiscano una fonte di preoccupazione. Qualsiasi incidente, volontario o involontario, potrebbe infatti avere conseguenze molto gravi non solo per tutto il territorio moldavo, ma anche per quello ucraino che dista solo pochi chilometri da quel deposito e avrebbe un risolvo negativo molto grande nei confronti della Russia. Nel 2019, quando il ministro degli Interni russo Shoigu visitò la Moldavia, dichiarò che la Russia era pronta a riprendere le discussioni riguardanti la distruzione e il ritiro di tali munizioni.
Ora, come già accennavo, la situazione internazionale non lascia spazio perché avvengano discussioni in questo senso. Ma, a mio modo di vedere, lascia sì spazio affinché avvengano discussioni e negoziazioni preparatorie affinché, nel momento in cui la guerra in corso sarà finita, ci sarà un largo consenso internazionale e un accordo di principio riguardo a come agire rispetto alla presenza militare russa sul territorio della Transnistria e su come rimpiazzare l'operazione di peacekeeping con una forza civile multinazionale, come ho accennato prima. Tutto ciò si lega al problema più generale di come lo stato moldavo dovrà garantire la propria sicurezza nel nuovo ordine europeo post-bellico, nella nuova realtà in cui vivremo. Penso che, con tutta evidenza, la comunità internazionale dovrà essere ricostruita dalle fondamenta così come l'architettura di sicurezza europea nel suo complesso. In questo senso, le discussioni e i lavori preparatori dovrebbero essere portati avanti prima che la guerra finisca e, sebbene non abbia informazioni di prima mano su questo, suppongo che questo stia già avvenendo da qualche parte nelle capitali europee, a Washington e magari in altri posti. La Moldavia deve far parte di queste discussioni: nessuno si prenderà cura di noi a meno che non saremo noi stessi a farlo in primo luogo e non ci assicureremo di bussare alle porte giuste e di mettere sul tavolo dei negoziati le proposte giuste affinché ciò avvenga.
A questo proposito, dall’inizio della guerra in Moldavia sono state prese decisioni abbastanza importanti quali quella di accelerare il processo di integrazione europea ma anche quella di compiere degli emendamenti legislativi che inaspriscono le pene per il reato di “separatismo” (cosa che ha provocato reazioni negative da parte di Tiraspol). Questo non inficia i negoziati e le discussioni con le autorità della Transnistria?
Gli emendamenti sul separatismo non hanno e non possono avere alcun impatto sul processo di negoziazione e sul lavoro della Commissione nemmeno in generale sui rapporti e sul dialogo che esiste fra Chișinău e Tiraspol. Il separatismo ha sempre costituito un reato nella legislazione moldava e, ciononostante, non ha mai inficiato i negoziati e le discussione in corso. Nemmeno, ha mai servito da pretesto per le autorità transnistriane per ritirarsi da queste discussioni. Quello che è avvenuto con gli emendamenti sulla legge sul separatismo è stato definire meglio i contorni entro i quali c'è la fattispecie di reato e di innalzare le pene per quest'ultimo. L'unico modo in cui hanno dunque influito sui negoziati e in generale sui rapporti fra Chișinău e Tiraspol è rappresentato dal fatto che hanno fornito un pretesto a Vitaly Ignatiev, che è tra l’altro il capo-negoziatore, per ricattare i rappresentanti moldavi nonché i rappresentanti internazionali nel processo di negoziazione attraverso la richiesta di cancellare gli emendamenti e la minaccia di ritirarsi dalle discussioni. A lato, hanno fornito un pretesto a lui e ad altre persone per intimidire gli stessi cittadini della Transnistria in funzione anti-moldava: è stata avanti portata una retorica per cui gli emendamenti avrebbero messo in pericolo qualsiasi persona residente sulla riva sinistra del Nistru, il che ovviamente non è vero.
Si tratta di una bugia palese, nient'altro che un pretesto per rafforzare il controllo sui loro stessi cittadini. Se Vitaly Ignatiev o qualcun altro hanno delle preoccupazioni a riguardo, la mia risposta è che il miglior modo per evitare sia appunto quello di impegnarsi in buona fede nelle discussioni negoziali con lo scopo sincero di trovare una soluzione condivisa al conflitto e di metterla in pratica.
A suo modo di vedere, quali sono i passi più urgenti che il governo moldavo dovrà intraprendere nel prossimo futuro?
Ci sono vari compiti che devono essere portati avanti quotidianamente. In primo luogo, fare tutto ciò che in nostro potere per evitare che la Moldavia venga trascinata nella guerra guerreggiata: la priorità massima è garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini e delle cittadine della Moldavia e per "Moldavia" intendo sia a destra che a sinistra del Nistru. In parallelo, dobbiamo parlare con i rappresentanti degli altri stati europei e definire delle proposte e delle soluzioni per il conflitto in Transnistria ma anche delle proposte e soluzioni riguardanti le opzioni future per la sicurezza del paese: la Moldavia deve cessare il suo stato di neutralità e far richiesta di ingresso nella Nato? Oppure è meglio preservare la nostra neutralità, ma a quel punto occorre capire come garantire la nostra sicurezza in un modo alternativo e in un mondo che sarà ovviamente mutato rispetto a oggi: alleanze di difesa, accordi di collaborazione militare e politica, ecc.? Ad ogni modo, affinché qualsiasi governo del paese possa essere nelle condizioni anche solo di avviare questo tipo di discussioni con i propri partner internazionali su mandato della popolazione moldava occorre un consenso interno molto ampio, un consenso che ha a che fare con il futuro del paese e della sua sicurezza. Un tale consenso può essere costruito solo attraverso un dibattito pubblico il più possibile trasparente e inclusivo. A chiunque abbia qualcosa da dire a questo proposito dovrà essere offerta la possibilità di partecipare al dibattito.