Dalle corriere alle aule scolastiche, le campagne di alfabetizzazione mediatica in Moldavia utilizzano gli strumenti più fantasiosi e innovativi per raggiungere tutti gli strati della popolazione e istruire le nuove generazioni nella lotta alla disinformazione
La Moldavia è il paese più povero dell'Europa centrale e secondo il rapporto di Freedom House , oltre ad essere tra i più corrotti, affronta qualche difficoltà nel garantire il pluralismo dei media, visto che più dell'80% delle stazioni televisive è di proprietà di gente legata a partiti politici. E così la lotta alle fake news e l'attività di alfabetizzazione ai media, implementate da associazioni di giornalisti e organizzazioni finanziate da donatori esteri, cercano nuovi mezzi. Compresi quelli di trasporto.
È il caso della campagna di “media literacy” lanciata lo scorso marzo da Internews , associazione internazionale attiva da oltre trent'anni in più di 100 Paesi: per fornire strumenti di autodifesa mediatica agli abitanti delle zone rurali della Moldavia, aiutandoli a identificare vero e falso nelle notizie, sono stati stampati circa 10mila pannelli con infografiche da collocare sul retro dei sedili di 111 minibus che giornalmente trasportano pendolari verso i grandi centri.
Una delle tabelle riporta una sorta di prontuario di riconoscimento delle notizie “professionali”, compresa la classica regola delle 5 w in base all'iniziale inglese del pronome interrogativo (Chi? Che cosa? Quando? Dove? Perché?); su un'altra, intitolata “Come possiamo bloccare la diffusione di notizie false?”, una serie di domande di verifica che il lettore è invitato a porsi ogni volta che si trova davanti a una lettura online.
Ad elaborare i contenuti e la grafica delle tabelle, anche i giornalisti del Centro per il Giornalismo Indipendente (IJC), che da anni sviluppano programmi di alfabetizzazione ai media rivolti ad ogni fascia di età. La piaga delle fake news e la difficoltà degli utenti a discriminare il vero dal falso sono in Moldavia una questione che i giornalisti hanno deciso di prendere di petto, uscendo dalle redazioni per andare non solo sugli autobus ma anche nelle scuole.
“L'alfabetizzazione ai media nelle scuole è un'attività strategica per la nostra associazione – ha detto Nadine Gogu che dirige l'IJC – perché vogliamo che sia un processo continuo in modo da garantire la salute mediatica delle nuove generazioni”.
Dal 2017 sono stati formati 124 insegnanti di scuole inferiori e 101 di scuole superiori che nell'ultimo anno scolastico hanno incontrato più di 1500 alunni in oltre 40 scuole. Si tratta di corsi opzionali di “educazione ai media” ritagliati su misura secondo l'età degli alunni, con giochi di ruolo, esercitazioni di gruppo, esempi e lezioni frontali. Lo scopo è far sviluppare nei ragazzi la capacità di analisi e il pensiero critico, in modo da arrivare a riconoscere la veridicità dell'informazione e distinguere i casi di manipolazione.
Oltre ad aiutare i più giovani a difendersi “nell'oceano della disinformazione”, il programma e gli incontri propedeutici con gli insegnanti tentano di colmare le distanze comunicative tra generazioni: gli adulti rischiano “di non essere preparati ad affrontare i nativi digitali”, intrappolati come sono “in un ambiente di comunicazione interpersonale”, come ha spiegato una degli autori dei libri di testo, Loretta Handrabura, in una delle presentazioni pubbliche. I ragazzi invece “vivono online”.
Per cui agli insegnanti, che hanno imparato tattiche di fact-checking e sicurezza online, è stato lanciato un chiaro invito: “Abbandonate la carta!”.
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