In Montenegro, il recente incontro tra il presidente del parlamento Andrija Mandić e il metropolita montenegrino Joanikije si è presto trasformato in un'accesa polemica su questioni identitarie, mai sopite nel paese
Nella vivace vita politica del Montenegro, una notizia prettamente protocollare – quella di un incontro tra il metropolita montenegrino Joanikije e il presidente del parlamento di Podgorica Andrija Mandić – ben presto si è trasformata in un pretesto per suscitare l’ennesima polemica su questioni identitarie, che continuano a dominare la scena politica locale.
L’incontro ha avuto luogo lo scorso 15 gennaio nell’ufficio di Andrija Mandić, nel palazzo del parlamento. Il gabinetto del presidente del parlamento ha fatto sapere che Mandić ha accolto il metropolita Joanikije “dandogli il benvenuto nel parlamento del Montenegro, per poi sottolineare che lui personalmente, come anche il partito di cui è a capo, ha sempre guardato con particolare rispetto al ruolo del metropolita e della stessa Chiesa che ha creato il Montenegro, aggiungendo che nel corso della storia i metropoliti della dinastia dei Petrović Njegoš, oltre che da guide spirituali, hanno avuto il ruolo anche di leader laici del Montenegro”.
Proprio quando sui social è partita la valanga di commenti sul baciamano di Mandić (nel corso dell’incontro il presidente del parlamento ha baciato la mano al metropolita) e di polemiche sull’affermazione che “la Chiesa ha creato il Montenegro”, è stata pubblicata una fotografia, scattata durante l’incontro nell’ufficio di Mandić, in cui, oltre alla bandiera del Montenegro, si vede anche un tricolore rosso, blu e bianco. A quel punto è scoppiata la bufera.
“Visto che non ha potuto partecipare alla festa nazionalista di Milorad Dodik perché coincideva con la sua krsna slava [celebrazione del santo della famiglia], il presidente del parlamento Andrija Mandić ha trovato il modo per redimersi agli occhi degli ideologi del nazionalismo grandeserbo, accogliendo il metropolita al parlamento montenegrino con bandiere tricolori e un’iconografia simile a quella che abbiamo visto a Banja Luka”, ha affermato Andrija Nikolić, capogruppo dei deputati del Partito democratico dei socialisti (DPS), attualmente all’opposizione.
In un post pubblicato su X, Boris Mugoša, deputato del parlamento di Podgorica eletto tra le fila del Partito socialdemocratico (SDP), ha addossato la responsabilità della “performance di Mandić” a quelle strutture politiche insieme alle quali la coalizione guidata da Mandić esercita il potere, perché “sono state loro a influenzare in modo decisivo la sua scelta”.
“Emerge per l’ennesima volta l’artificiosità dei discorsi focalizzati su UE, economia e altre frasi vuote”, ha scritto Mugoša.
Jelena Marović, vicepresidente del Partito liberale (LP), ha spronato le forze sovraniste a chiedere la rimozione del tricolore dal gabinetto di Mandić, affermando che “il voivoda cetnico si comporta come se il parlamento fosse una sua proprietà privata”.
Per il PEN Montenegro, la bandiera tricolore presente nell’ufficio di Mandić “non fa parte né della simbologia ufficiale del Montenegro, definita dalla legge sui simboli nazionali, né della tradizione araldica montenegrina”. L’Associazione degli scrittori indipendenti del Montenegro ritiene invece che il tricolore esposto da Mandić durante l’incontro con il metropolita sia la bandiera della Serbia.
Il parlamento di Podgorica ha risposto alle critiche affermando che il tricolore esposto da Mandić accanto all’attuale bandiera del Montenegro non è la bandiera di un altro stato, bensì un simbolo del Principato del Montenegro e del Regno del Montenegro che – in virtù dell’art. 28 della legge sui simboli nazionali – è tutelato allo stesso modo dei simboli nazionali stabiliti dalla legge.
Nello specifico, l’articolo 28 prevede che “i simboli statali e militari del Principato del Montenegro e del Regno del Montenegro, i simboli della Repubblica popolare del Montenegro e della Repubblica socialista del Montenegro, nonché i simboli della Repubblica del Montenegro previsti dalla legge sullo stemma e la bandiera della Repubblica del Montenegro, godano della stessa tutela dei simboli nazionali previsti dalla presente legge”.
Il parlamento ha precisato che la bandiera del Montenegro esposta nell’ufficio di Mandić è sempre rimasta al suo posto, ed è stata semplicemente affiancata da una “bandiera del Montenegro tradizionale”.
In un’intervista rilasciata al quotidiano Vijesti, lo storico Miloš Vuković ha affermato che la bandiera del Principato e del Regno del Montenegro non è mai stata definita dalla legge, sottolineando che – in assenza di una chiara disposizione legislativa – i simboli caratteristici dei vari periodi della storia del Montenegro vengono ricostruiti sulla base delle prove materiali e delle pratiche istituzionali.
“Le fotografie e i disegni di cui disponiamo – ha precisato Vuković – dimostrano che il tricolore privo dello stemma nazionale è stato utilizzato solo come parte della decorazione per le cerimonie, mai come simbolo nazionale”.
Le parole degli esperti non sono però bastate a placare la polemica che dai social si è spostata tra i banchi del parlamento. Nel corso di una seduta straordinaria si è accesa una polemica tra alcuni deputati dell’opposizione e Andrija Mandić, per poi trasformarsi in uno scontro tra Oskar Huter (DPS) e Darko Dragović (PES), scatenando una vera e propria bufera.
Huter ha accusato Andrija Mandić di insultare i cittadini montenegrini. “Oggi lei ha detto una falsità. La bandiera che lei ha esposto nel suo ufficio non è la stessa bandiera di cui ha parlato oggi […] Quella bandiera si trova nel Museo del re Nikola, ho avuto l’opportunità di osservarla per ben due decenni. Quello non è il suo ufficio. Attualmente lei ricopre la carica di presidente del parlamento, ma quell’ufficio non è una sua proprietà privata, lei non lo può arredare come le pare, bensì come prevede la legge, ammesso che in Montenegro le leggi valgano ancora”, ha affermato Huter rivolgendosi al presidente del parlamento.
Il primo a replicare è stato Slaven Radunović, membro del partito Nuova democrazia serba (NSD), secondo il quale a rendere comprensibile l’atteggiamento di Huter è la sua provenienza, trattandosi di “un discendente di un soldato austro-ungarico”.
“Lo apprezzo e lo rispetto. Gli è piaciuta la vita in Montenegro, si è sposato ed è rimasto a vivere qui. Non capisco però da dove venga tutta quella rabbia nei confronti del tricolore che ha reso il Montenegro un paese libero”, ha commentato Radunović.
A fargli eco è stato Darko Dragović, deputato del movimento Europa adesso (PES), affermando che Huter, essendo di origini austro-ungariche, non può provare le stesse emozioni di alcuni “montenegrini autoctoni”, come Radunović, nei confronti della lotta per la libertà del Montenegro.
Reagendo alle parole di Dragović, Huter ha spiegato che suo bisnonno, medico alla corte del re Nikola, ottenne il grado di tenente dell’esercito montenegrino e fu sepolto con gli onori militari nel cimitero dedicato a cittadini illustri di Cetinje.
Pur avendo il presidente del parlamento ammonito Dragović, sottolineando che le sue parole potrebbero essere interpretate come un’offesa, l’attacco nazionalista contro Huter è stato la scintilla da cui è divampato lo scontro interetnico, che ben presto si è diffuso coinvolgendo l’intera scena pubblica montenegrina.
Il fatto che alcuni protagonisti della vita politica montenegrina non siano consapevoli delle conseguenze della retorica nazionalista sulla già fragile democrazia e sulle relazioni interetniche nel paese non può che lasciare l’amaro in bocca.