Il nuovo governo del Montenegro, arrivato dopo 30 anni di dominio politico incontrastato di Milo Đukanović, si trova a subire ampie critiche dalla sua stessa maggioranza parlamentare. E il paese rischia di affondare nelle divisioni del passato
Ai montenegrini piace esagerare, nel bene e nel male. Se non possono essere i migliori, preferiscono essere i peggiori. In pochi mesi si è passati da un paese in cui il potere non è stato mai cambiato alle elezioni - e dove ha governato sempre ed esclusivamente un uomo solo, a prescindere che parlassimo di presidente o premier (o principe o re) - ad un potere policentrico, senza punti di riferimento fissi.
Dagli albori del parlamentarismo montenegrino, nei primi anni del ‘900, la “Skupština” (il parlamento) è sempre stato sotto il controllo del sovrano di turno. Nessun primo ministro, prima di Zdravko Krivokapić, né de iure né de facto, dipendeva dall’appoggio della maggioranza parlamentare: del destino dei premier decideva sempre un uomo solo, dal re Nikola al presidente Đukanović. Niente è cosi duraturo nel Montenegro come il potere. Solo l’imperatore austroungarico Francesco Giuseppe ha governato più del “primo suocero europeo” come si autocitava il re Nikola, il padre della regina Elena. Dall’altra parte, nessun leader europeo è così longevo come il presidente del Montenegro: quando arrivò al potere Đukanović in Italia alla guida dell’esecutivo c'era Andreotti, in Germania Kohl e in Gran Bretagna la Thatcher.
“Un governo criticato dalla maggioranza che lo sostiene in parlamento rappresenta una novità assoluta nella nostra storia”, afferma a OBC Transeuropa l’onorevole Miodrag Lekić, leader del partito Demos. L’ex ambasciatore jugoslavo a Roma rileva inoltre alcune somiglianze tra il governo Monti e il nuovo governo montenegrino: oltre che essere composto da tecnici vi è anche il fatto di avere dietro di sé una maggioranza parlamentare estremamente eterogenea.
Slavoljub Šćekić, il direttore del Centro per il giornalismo investigativo (CIN), sottolinea che gli attacchi più violenti nei confronti del governo Krivokapić arrivano proprio dagli esponenti della maggioranza. “I rapporti tra i partiti che compongono la maggioranza e tra i membri del governo sono talmente tesi che il gabinetto di Krivokapić sta traballando giorno dopo giorno. La disputa sulla nomina del direttore della polizia è un esempio calzante per mostrare quanto il campo sia minato e scivoloso”, osserva Šćekić.
La direttrice del think-tank Politikon Jovana Marović evidenzia un'altra anomalia: ”Noi, a dire il vero, non sappiamo su quanti deputati può contare realmente il governo. Demokratski front (DF, la coalizione dei partiti filo-serbi, ndr) che fa parte della maggioranza, non si riconosce nel governo Krivokapić, anche se vorrebbe volentieri partecipare alla spartizione delle poltrone, nei ministeri e nelle altre istituzioni”.
L’onorevole Lekić cita il dato secondo il quale il 90 per cento dei partiti parlamentari non ha propri rappresentanti al governo. Praticamente solo URA, del vicepremier Dritan Abazović, fa parte del governo. “Tutte i dissidi nella maggioranza sono frutto del fatto che la composizione e il programma del governo non sono stati concordati e definiti. Credo che non sia ancora troppo tardi per un accordo serio, programmatico e basato su valori condivisi. Ora, non è facile arrivare a un accordo, ma non è del tutto impossibile”.
I nostri interlocutori ritengono che le maggiori carenze del nuovo governo siano l’inesperienza, la comunicazione inadeguata e spesso confusa, la frettolosità, e gli errori dovuti alla scarsa conoscenza delle procedure. A differenza del professor Monti, che è stato commissario europeo per due mandati prima di diventare il premier italiano, il professor Krivokapić non ha alcuna esperienza utile per fare il capo del governo.
La gestione del fallimento della compagnia di bandiera Montenegro Airlines, come le proposte della riforma della giustizia e dell’impiego pubblico, avviate senza un dibattito pubblico serio e senza una consultazione con l’UE, sono, secondo la Marović, esempi lampanti di una comunicazione contraddittoria e controproducente.
Una difficile coabitazione
Il governo Krivokapić ha anche difficoltà con il vocabolario europeo. Šćekić ritiene che dietro l’apparente dedizione al futuro europeo del Montenegro non ci sia niente di concreto, nessuna strategia o piano su come accelerare il percorso verso l’UE. "Si ha la sensazione che i ministri rendano pubblici i loro dubbi e le perplessità perché non vedono soluzioni, sperando che le reazioni dei cittadini possano indicare una strada. Manca il coordinamento e l’applicazione di una regola semplice: concordare prima le posizioni e poi uscire in pubblico", sottolinea l’ex direttore di “Vijesti”, il più importante quotidiano montenegrino.
L’ex ambasciatore Lekić nota la tendenza che il governo apre molte questioni o iniziative importanti ma senza portarle fino in fondo: “Questo è abbastanza visibile quando tocchiamo la lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata. Anche se è vero che parliamo di un governo che si è insediato tre mesi fa e che potrebbe giustificasi con il poco tempo che ha avuto a disposizione e che dentro il sistema ci sono ancora uomini e donne che appartengono al regime precedente e stanno provando a fare ostruzionismo”.
“Coabitazione” nello spazio ex jugoslavo suona quasi come una bestemmia. Ancora di più in Montenegro, dove il potere non è mai stato spartito con nessuno. “Anche la coabitazione - dice Lekić - è una novità assoluta. È chiaro che qua non parliamo di Mitterrand e Chirac. Il sistema giuridico-costituzionale montenegrino non è stato concepito per le coabitazioni e le forme democratiche della vita politica. Il presidente Đukanović usa la coabitazione per i suoi obbiettivi: rimanere in politica giocando la carta del difensore del Montenegro. In sostanza, Đukanović sta fomentando le divisioni, è ciò che ha fatto esattamente in 30 anni di potere. Prima era il populista serbo, poi è diventato il protettore del Montenegro applicando una politica anti-serba”.
L’ostruzionismo di Đukanović non ha sorpreso Jovana Marović. Secondo lei sarebbe stato sorprendente se il presidente del Montenegro si fosse comportato in maniera costruttiva. Šćekić ricorda che durante l’interregno, tra le elezioni e la formazione del nuovo governo, il regime di Đukanović ha organizzato molti concorsi pubblici per assumere nella pubblica amministrazione persone fedeli al vecchio regime. Ora il nuovo esecutivo rischierebbe di essere accusato di revanscismo se dovesse iniziare a licenziare.
Prossimo banco di prova
Le imminenti elezioni locali a Nikšić, previste per il 14 marzo, coincidono con i primi 100 giorni del governo Krivokapić. L’appuntamento elettorale nella seconda città più grande del paese si è trasformato in uno scontro totale a livello nazionale: tutti contro tutti. Nel gioco ci sono i destini del governo, del presidente Đukanović e del suo partito DPS, i rapporti di forza nella maggioranza parlamentare e persino la capacità del presidente serbo Aleksandar Vučić di influenzare la scena politica del Montenegro.
“La nuova maggioranza ha sprecato una grande occasione: organizzare le prime elezioni veramente libere e democratiche. L’intromissione degli uomini di Vučić nel processo elettorale è orientata a dare una mano a Andrija Mandić e Milan Knežević (i leader della coalizione pro serba Demokratski front). Nikšić è anche un posto simbolico visto che è la città natale di Đukanović, per lui, Nikšić è la linea del Piave. L’esito delle elezioni a Nikšić ci farà capire cos’è rimasto dell’eredità politica del metropolita Amfilohije e della vittoria delle tre coalizioni che hanno abbattuto il regime di Đukanović dopo 30 anni di governo”, sottolinea Šćekić.
Per il futuro del governo Krivokapić ha un’importanza fondamentale il risultato della coalizione guidata dal partito “Demokrate”, del presidente del parlamento Aleksa Bečić, e il numero dei voti che conquisterà URA del vicepremier Abazović. La vittoria o un risultato estremamente positivo della coalizione “Per il futuro di Nikšić” (appoggiata dal presidente serbo Vučić) metterebbe a rischio il governo di Podgorica e aprirebbe diversi scenari dentro la maggioranza parlamentare. Dall’altra parte un trionfo del DPS rafforzerebbe la posizione del presidente Đukanović e indebolirebbe l’esecutivo provocando ulteriori dissidi tra i maggiori azionisti del governo.
La campagna elettorale a Nikšić nonostante riguardi questioni locali si è trasformata in un’altra partita identitaria tra due blocchi: uno montenegrino e uno serbo-montenegrino. Tra i due litiganti sta provando ad emergere un’opzione civica che tenta di riappacificare la nazione, guidata da due giovani leader, Bečić e Abazović.
“Il Montenegro è diventato un paese tremendamente spaccato a seguito della politica del DPS. Se la sua politica delle divisioni etniche continuasse, senza cambiamenti, il nostro sistema potrebbe prendere la strada di una federalizzazione con tutte le conseguenze che ne seguono. Le forze democratiche e civiche, a queste appartiene il partito che guido, devono fermare questa disintegrazione dei valori basata su principi etnici: è il nostro compito primario”, ha concluso Lekić.