Nel fine settimana si è insediato in Montenegro il nuovo metropolita della Chiesa ortodossa serba. Di fatto una pesante sconfitta politica per il presidente Milo Đukanović e per quello serbo Aleksandar Vučić. Il perché in questo commento
Il presidente del Montenegro Milo Đukanović ha subito, questo week-end, una disfatta ancora più pesante che alle elezioni parlamentari dell'anno scorso o nella sua città natale Niksić la scorsa primavera. Đukanović non ha fallito solo nel suo intento di impedire l'insediamento del nuovo metropolita del Montenegro e del Litorale Joanikije nel Monastero di Cetinje, ma si è visto in modo plateale che la polizia non è più sotto il suo controllo e che il suo partito (DPS), insieme al resto dell’opposizione, non riesce a radunare, nemmeno a Cetinje, la loro roccaforte, più di qualche migliaio, se vogliamo essere generosi, di persone.
Il fallimento di Đukanović ed i suoi alleati è ancora più pesante perché da settimane aizzavano i propri seguaci a presentarsi a Cetinje parlando dell’occupazione del Montenegro, della minaccia dell’egemonismo serbo e del dovere di impedire, costi quel che costi, l’intronizzazione di Joanikije. A parte i media sotto controllo di Đukanović e del DPS in Montenegro, la campagna di creazione di clima di guerriglia è stata aiutata sia a Sarajevo che a Belgrado e in maniera minore a Zagabria.
L'insediamento di Joanikije doveva essere solo una cerimonia ecclesiale, con la presenza del clero e del patriarca serbo Porfirije visto che la Metropolia del Montenegro e del Litorale (MCP) ha rinunciato ad una organizzazione di una festa popolare davanti al monastero proprio per evitare le tensioni a Cetinje ed eventuali scontri tra le due frazioni. Il presidente del DPS e del Montenegro ed i suoi seguaci non riconoscono la continuità alla MCP con quella prima del 1918 e la chiamano in maniera spregiativa la chiesa della Serbia.
Qua va ricordato che la MPC ha fondato, dopo la Prima guerra mondiale, la Chiesa ortodossa serba (SPC), insieme con le altre metropolie e le diocesi ortodosse del territorio del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, sorto sulle ceneri dei due imperi Austro-Ungarico e quello Ottomano. Il metropolita del Montenegro dell'epoca Mitrofan Ban presiedé il Santo Sinodo a Cetinje nel dicembre 1918 che decise di fondare la Chiesa ortodossa serba, e poi il Santo Sinodo nel 1919-1920 che implementò la decisione presa a Cetinje.
Dall’altra parte, la Chiesa ortodossa montenegrina (CPC) è stata fondata nel 1993 ed è stata riconosciuta dallo stato di Montenegro come una organizzazione non governativa nel 1999. La CPC non è riconosciuta da nessuna chiesa ortodossa nel mondo e tanto meno dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli. Anzi, il metropolita della CPC Mihailo è stato scomunicato dallo stesso patriarca Bartolomeo I perché ha commesso gravi e ostinate infrazioni alla morale mentre era sacerdote della Chiesa ortodossa greca in Italia. La CPC in questi tre decenni non è riuscita a moltiplicare né le file dei fedeli, né quelle del clero. Per questo motivo Đukanović pretendeva che la MCP si staccasse dalla Chiesa ortodossa serba e diventasse la chiesa nazionale del Montenegro.
Đukanović non ha perso solo il sostegno della maggioranza dei cittadini del Montenegro, ma anche la legittimità internazionale a causa dei suoi legami con il mondo della criminalità organizzata e per aver creato un regime cleptocratico. Ha provato a giocare la solita carta della vittima del nazionalismo serbo e del progetto sedicente chiamato “sprski svet” (il mondo serbo) sulla falsariga del “mondo russo” (Russkiy mir), ma nessuno gli ha creduto a parte alcuni politici e media croati, bosgnacchi e albanesi per ovvi motivi.
Non esce solo Đukanović ridimensionato dal fine settimana di passione in Montenegro. Anche il presidente della Serbia Aleksandar Vučić ha subito una cocente sconfitta. Il governo del Montenegro, con il supporto dell'UE e la NATO, è riuscito a mantenere la pace, ha evitato l’escalation della violenza e ha assicurato l’intronizzazione del metropolita Joanikije. Così è stata smentita in maniera evidente le teoria che i media sotto controllo di Vučić diffondevano da settimane secondo le quali il governo di Krivokapić faceva il doppio gioco lavorando con gli alleati occidentali per impedire o posticipare l’insediamento di Joanikije a Cetinje.
L’ambizione di Vučić è di essere il presidente di tutti i serbi, a prescindere da dove vivano, ma specialmente nello spazio dell'ex Jugoslavia. E' consapevole che non sarà possibile cambiare i confini degli stati, almeno nella nostra epoca, e vuole compensarlo con il titolo del non “incoronato” leader di tutti i serbi, ovunque vivano. Per una buona fetta dei serbi del Montenegro che vota per il partito “Demokrate" del presidente del parlamento Aleksa Bečić, ma anche per le forze politiche più piccole in appoggio al governo di Krivokapić, questo rappresenta un problema e sono sotto attacco, perché non sono e non vogliono essere vassalli di Vučić.
In questo contesto va inserito il comportamento della coalizione Demokratski front (DF) che fa parte della maggioranza parlamentare ma agisce come se fosse all'opposizione. I loro leader, particolarmente il presidente del partito “Nova srpska semokratija” Andrija Mandić e il capo del “Demokratska narodna partija" Milan Knežević, cercano con qualsiasi mezzo di mettere i bastoni nelle ruote del governo a Podgorica.
Mandić e Knežević, insieme al terzo leader della coalizione Nebojša Medojević, il presidente del partito “Pokret za promjene", si aspettavano che il governo di Krivokapić fallisse per quanto riguarda l'insediamento di Joanikije per accusarlo di non essere in grado di governare il paese e di assicurare il rispetto della legge.
Il trio della coalizione Demokratski front, con l'aiuto della propaganda della macchina mediatica di Vučić, sta provando a far cadere il governo e di insediarsi algoverno o almeno inserirvi propri uomini di fiducia. A differenza del primo ministro Krivokapić, di Bečić, ma anche di Goran Danilović (Ujedinjena Crna Gora) e Vladimir Joković (Socijalisticka narodna partija) - che non ascoltano gli ordini da Belgrado - i leader dalla coalizione DF sono marionette nelle mani di Vučić.
Il governo montenegrino, pur essendo tra due fuochi, è riuscito a raggiungere il proprio obiettivo grazie all'aiuto degli alleati occidentali che hanno dato un appoggio netto al vicepremier Dritan Abazović e al ministro dell’Interno Sergej Sekulović. Gli ambasciatori di USA, Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna - come l’UE - hanno rilasciato comunicati che non hanno lasciato molto spazio per le interpretazioni per quanto riguarda la loro posizione.
A differenza dei tempi quando Đukanović controllava il governo e il suo consigliere Veselin Veljović dirigeva le forze della polizia, l'uso della forza dei poliziotti, il sabato e la domenica, è stato molto limitato e mai eccessivo. Nessuno dei leader politici, a parte Veljović che ha provato a dare ordini ai poliziotti, è stato arrestato e nessuno dei manifestanti è stato pestato o maltrattato. Quando il DPS era al potere i pestaggi dei dimostranti e gli arresti dei politici e dei parlamentari dell'opposizione di allora erano molto frequenti. Anche questo è un cambiamento in direzione europea del nuovo governo che non vuole essere al servizio della criminalità organizzata e neanche vassallo di Belgrado.