Dopo aver paralizzato il sistema scolastico con uno sciopero di massa, gli insegnanti del Montenegro sembrano essere riusciti ad ottenere l'agognato aumento. L'accordo col governo rischia però di scatenare la protesta di altre categorie insoddisfatte nell'amministrazione pubblica
Nella tarda serata di martedì 20 febbraio, il sindacato degli insegnanti e il governo hanno raggiunto un accordo che prevede un aumento degli stipendi del 10% dal prossimo primo luglio, e poi un ulteriore aumento del 17% dall’inizio del prossimo anno scolastico. Gli studenti però non torneranno subito sui banchi di scuola poiché, come spiegato dopo l’incontro con il governo, il sindacato aspetta di ricevere un documento che confermi per iscritto quanto concordato.
“Siamo contenti di esserci incontrati e di aver sciolto tutte le perplessità", ha dichiarato il premier Milojko Spajić al termine dell’incontro con i rappresentanti del sindacato. "Gli insegnanti si prendono cura del futuro dei nostri figli e del nostro paese, e il loro malcontento riguardo alle retribuzioni è del tutto lecito. Su questo punto eravamo d’accordo, il problema era trovare un modo per andare avanti”, .
Radomir Božović, presidente del sindacato, ha confermato che hanno ricevuto la proposta di un aumento degli stipendi del 10% dal primo luglio, precisando però che nulla ancora è stato formalizzato. “Ora siamo in attesa di una conferma scritta. Finora abbiamo sentito solo discorsi generici”.
Lunedì 19 febbraio, dopo ventidue anni, in Montenegro è stato proclamato lo sciopero degli insegnanti. La richiesta principale era di aumentare gli stipendi del 10% dal primo gennaio di quest’anno. Il governo inizialmente si è detto invece disposto ad innalzare le retribuzioni del 15% dal primo settembre.
Il presidente del sindacato di categoria ha fatto sapere che le lezioni sono state sospese in 160 scuole. Secondo il ministero dell’Istruzione, della Scienza e dell’Innovazione l’attività didattica si svolge in 104 scuole elementari (in 76 a pieno regime e in 28 con un orario ridotto), mentre in 32 le lezioni sono state del tutto sospese. I dati – come si afferma nel comunicato diffuso dal ministero – riguardano 136 su un totale di 163 scuole elementari.
“Per quanto riguarda l’istruzione secondaria – si legge nel comunicato – delle 44 scuole superiori (su un totale di 50 a livello nazionale) da cui finora il ministero ha ricevuto i dati, in 38 l’attività didattica prosegue (di queste in 24 a pieno regime e in 14 con un orario ridotto), mentre in sei scuole l’attività è stata sospesa”.
Reagendo alla decisione degli insegnati di proclamare lo sciopero, l’associazione “Roditelji” [genitori] ha affermato che si tratta di una misura drastica che colpirà solo i ragazzi, e di certo non il governo, i ministeri e il sindacato. I genitori sono amareggiati perché – come hanno sottolineato – per l’ennesima volta si sentono traditi e interpretano l’intera vicenda come uno scontro tra sindacato e governo in cui non si pensa minimamente agli studenti, che negli ultimi anni hanno già perso molto nel loro percorso scolastico.
Lo sciopero è stato proclamato dopo lunghe trattative tra sindacato e governo sul nuovo contratto collettivo nazionale del comparto istruzione, firmato il 30 dicembre 2022 dal precedente governo guidato da Dritan Abazović.
L’allora ministro dell’Istruzione Miomir Vojinović aveva affermato che gli stipendi degli insegnati sarebbero stati aumentati del 20% dal primo gennaio del 2023, confermando poi due ulteriori aumenti del 10%, il primo dall’inizio del 2024 e il secondo dal 2025.
In occasione dell’approvazione della legge di bilancio 2024 era però diventato chiaro che il nuovo esecutivo non aveva stanziato ulteriori risorse per l’aumento delle retribuzioni degli insegnanti.
In attesa di un aumento degli stipendi dal primo gennaio 2024, a metà dicembre dello scorso anno il sindacato degli insegnanti aveva annunciato una protesta e una denuncia contro lo stato nel caso in cui non dovesse essere rispettato quanto previsto dal nuovo contratto collettivo.
Nel corso di un recente incontro con i rappresentanti del sindacato, conclusosi senza alcun accordo, il premier Spajić ha dichiarato che il precedente governo non aveva creato i presupposti per mantenere le promesse e adempiere agli obblighi assunti.
Nella serata di lunedì 19 febbraio il gabinetto di Spajić ha emesso un comunicato affermando che il contratto collettivo prevede un’ulteriore analisi dell’andamento degli stipendi “a seconda dei parametri macroeconomici e limiti di spesa stabiliti per il 2023 e il 2024 in conformità alla legge sul bilancio e la responsabilità fiscale […] su cui verrà stipulato un apposito accordo tra le parti contraenti entro la fine dell’anno fiscale 2023 e 2024”.
Con queste parole, scelte attentamente, il premier ha fatto sapere che quei 20 milioni di euro – che dovrebbero essere stanziati nel bilancio per l’aumento dei salari promesso agli insegnanti – semplicemente non ci sono.
Nel bilancio per il 2024, secondo il ministero per l’Istruzione, la scienza e l’innovazione sono stati stanziati 299,4 milioni di euro, circa 11,5 milioni in più rispetto all’anno scorso. Nel bilancio 2023 per l’istruzione erano infatti stati previsti 279,5 milioni di euro e per la scienza 8,5 milioni. Il nuovo bilancio – come precisato dal ministero – prevede maggiori risorse per l’istruzione poiché contiene una voce dedicata ai costi di sviluppo.
Questa spiegazione non aveva però convinto il sindacato che lo scorso 27 dicembre, durante il dibattito sul nuovo bilancio, aveva organizzato una protesta che ha rinito alcune migliaia di insegnanti.
“Qualora il contratto collettivo non venisse rispettato, nel secondo semestre il sindacato inviterà gli insegnanti ad aderire allo sciopero e sporgerà denunce”, aveva dichiarato il leader sindacale Radomir Božović.
Nel frattempo sono state avviate le trattative tra sindacato e governo. Dopo l’incontro di domenica, nel corso del quale non si è riusciti a raggiungere un accordo, lunedì 19 febbraio è stato proclamato lo sciopero che ha paralizzato il sistema scolastico del paese.
L’assurdità della situazione sta nel fatto che entrambe le parti, in un certo senso, hanno ragione. Gli insegnanti certamente hanno il diritto di appellarsi al contratto collettivo nazionale, pur non essendo stato l’attuale governo a firmarlo. D’altra parte, l’esecutivo di Spajić è costretto a fare i conti con un problema di gran lunga più serio dell’aumento dei salari degli insegnanti.
È quasi certo che un’eventuale decisione del governo di cedere a tutte le richieste degli insegnanti provocherebbe una reazione a catena. Lo scorso primo febbraio alcune centinaia di dipendenti pubblici e giudiziari sono scesi in piazza per protestare, chiedendo un aumento delle retribuzioni di almeno il 10%. Anche loro invocano il contratto collettivo nazionale.
Durante la protesta, Nenad Rakočević, presidente del sindacato della pubblica amministrazione e della magistratura, ha lanciato un avvertimento.
“Se [il governo] dovesse ignorare questa protesta, saremo costretti a intraprendere azioni più radicali. Invitate i vostri colleghi a prepararsi ad uno sciopero congiunto con insegnanti, personale sanitario, polizia. Ci hanno fregati tutti”.
È chiaro quindi che gli insegnanti non sono gli unici ad essere insoddisfatti del proprio stipendio. A prescindere da un eventuale accordo con il personale docente, il governo con ogni probabilità a breve dovrà affrontare altre sfide e richieste riguardanti l’aumento dei salari.