Nei giorni scorsi in Montenegro si è assistito ad un susseguirsi di arresti – a partire da quello di Milivoje Katnić, ex procuratore speciale, e quello di Zoran Lazović, alto funzionario di polizia ai tempi del vecchio potere – che porta a pensare che il cerchio attorno a Milo Đukanović ormai si stia stringendo
Dopo l’arresto, avvenuto nelle prime ore della mattinata di domenica 14 aprile, Katnić e Lazović sono stati interrogati dalla procura speciale, e poi sottoposti a custodia cautelare della durata di trenta giorni. L’accusa è quella di associazione a delinquere e abuso d’ufficio.
Milivoje Katnić è stato una figura chiave nella gerarchia del potere del Partito democratico dei socialisti (DPS), che ha governato il Montenegro ininterrottamente per tre decenni. Dal 2015 al 2022 è stato procuratore speciale del Montenegro. L’inizio della sua carriera da procuratore è stata segnata dall’arresto di Svetozar Marović alla fine del 2015. Marović, che per decenni è stato un fedelissimo di Đukanović, è stato condannato a tre anni e dieci mesi di reclusione per corruzione. Tuttavia, poco dopo la pronuncia della sentenza è fuggito in Serbia, che ancora rifiuta di estradarlo.
Katnić sarà ricordato anche per aver sollevato un atto di accusa contro i sospettati del presunto tentato colpo di stato dell’autunno 2016. Tra gli imputati, che poi sono stati condannati in primo grado per terrorismo, c’erano Andrija Mandić, attuale presidente del parlamento di Podgorica, e Milan Knežević, leader del filoserbo Partito popolare democratico (DNP) che fa parte dell’attuale maggioranza. Nel frattempo, la sentenza di primo grado è stata annullata, portando all’avvio di un nuovo procedimento penale, tuttora in corso.
Durante il primo processo per il presunto golpe, accompagnato da numerose polemiche, c’era chi sosteneva che l’intera vicenda fosse stata orchestrata per agevolare la vittoria del DPS alle elezioni tenutasi il giorno dell’arresto dei due ex leader dell’opposizione.
Diversi esponenti del settore non governativo, giornalisti, ma anche oppositori politici del DPS hanno criticato pubblicamente Katnić, accusandolo di essere “il bastone di Đukanović”. Critiche principalmente basate sul fatto che, nel periodo in cui Katnić era a capo della procura speciale, sono stati insabbiati diversi scandali di corruzione e casi di criminalità organizzata legati ai vertici politici di allora, Milo Đukanović compreso.
Emblematico il caso dei cosiddetti “Pandora papers”. Un consorzio di giornalisti investigativi ha scoperto che nel 2012 Milo Đukanović e suo figlio Blažo avevano stipulato una serie di contratti segreti per gestire il loro patrimonio, nascondendosi dietro ad una complessa rete di società con sede in Gran Bretagna, Svizzera, Panama e Gibilterra. Nel 2021 la procura, all’epoca guidata da Katnić, ha aperto un fascicolo partendo dalle rivelazioni dei giornalisti, senza però portare avanti le indagini.
Katnić è stato rimosso dall’incarico di procuratore speciale nel 2022, quindi due anni dopo il cambio di potere.
Zoran Lazović, padrino di Katnić, è stato a lungo una figura centrale all’interno della polizia. Era considerato “l’agente più influente” del vecchio potere. Nel 2019, quindi quattro anni dopo il suo allontanamento dall’Agenzia per la sicurezza nazionale, Lazović ha ottenuto un incarico nella Direzione della polizia, ben presto diventando il vice più influente dell’ex capo della polizia Veselin Veljović, anch’egli attualmente in carcere.
Nel corso degli anni Lazović ha ricoperto diversi incarichi importanti nel ministero dell’Interno, partendo da quello di capo delle unità per le operazioni speciali e l’antiterrorismo, per diventare uno degli agenti più esperti dei servizi segreti montenegrini, dove per un certo periodo ha guidato la Direzione per la lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo.
Zoran Lazović è stato spesso criticato per i suoi legami con alcuni esponenti di spicco del sottobosco criminale, da Safet Kalić di Rožaje, da anni sospettato di essere coinvolto nel traffico internazionale di stupefacenti e nel riciclaggio di denaro, a Naser Kelmendi, tra le figure più influenti degli ambienti criminali europei.
Il nome di Zoran Lazović compare spesso anche nelle trascrizioni dei messaggi - trapelati in pubblico nel 2022 - scambiati utilizzando l'applicazione Sky, soprattutto tra i membri del clan di Kavač, uno dei più potenti gruppi criminali montenegrini, contrapposto a quello di Škaljari.
Nel 2022, su richiesta della procura speciale del Montenegro, è stato arrestato anche Petar Lazović, figlio di Zoran. Ad oggi la procura ha sollevato diversi atti di accusa contro di lui, indagandolo per legami con il clan di Kavač.
Dopo Katnić e Lazović, gli agenti dell’unità speciale della polizia hanno arrestato Jelena Perović, direttrice dell’Agenzia per la prevenzione della corruzione. Pur non appartenendo alla cerchia dei più stretti collaboratori di Đukanović, anche Perović poteva sfruttare la sua posizione per far passare in secondo piano, se non addirittura insabbiare diversi casi di corruzione ad alto livello. Date queste premesse, il suo arresto potrebbe rivelarsi molto importante.
Sembra che con la recente serie di arresti si sia chiuso il cerchio attorno alle figure dell’establishment politico ed economico che si sospettava avessero contribuito con la loro (in)azione al dilagare della corruzione e della criminalità nella società montenegrina. A finire dietro le sbarre sono stati anche Vesna Medenica, ex presidente della Corte suprema, Veselin Veljović e Slavko Stojanović, ex capi della polizia. Inoltre, sono stati avviati diversi procedimenti penali, ancora in corso, contro molti funzionari del precedente regime.
Ciò che però suscita forte preoccupazione è il fatto che ad oggi – quindi quasi quattro anni dopo il rovesciamento del regime del DPS alle elezioni del 30 agosto 2020 e un anno dopo l’uscita di scena di Milo Đukanović, sconfitto alle presidenziali da Jakov Milatović del Movimento Europa adesso (PES) – nonostante numerosi arresti, indagini e atti di accusa, ancora non è stata emessa alcuna sentenza definitiva.