Nessuna donna è mai stata a capo di nessun partito albanese in Macedonia e non è andato meglio per le colleghe della comunità macedone, sono infatti solo due i casi in cui una donna ha guidato un partito

05/07/2018 -  Lumi Bekiri

(Originariamente pubblicato da Kosovo 2.0 )

Sin dalla sua indipendenza dalla Jugoslavia, 27 anni fa, in Macedonia vi sono stati 12 governi e solo 18 donne ministro. Solo due di queste erano albanesi: Merie Rushani, del Partito democratico degli albanesi (DPA) come ministro per la Scienza (1998-2002) e Teuta Arifi dell'Unione democratica per l'integrazione (DUI), che è stata vice-primo ministro per gli Affari europei (2011-13).

Attualmente, nel parlamento macedone, che ha 120 poltrone, solo cinque sono occupate da donne albanesi, due del DUI e rispettivamente una a testa dei socialdemocratici (SDSM), del movimento Besa e del DPA.

Una situazione simile la troviamo a livello locale dove delle 80 municipalità macedoni solo sei sono governate da sindaci donna, due albanesi: la sindaca di Tetovo, Teuta Arifi e la sindaca di Aracinovo, Milikije Halimi.

Ciononostante, l'11,5% dell'intera popolazione della Macedonia è composto da donne albanesi.

Anche quando sono al potere le donne albanesi tendono a rimanere in secondo piano nei processi di decisione politica per evitare di entrare in rotta di collisione con i propri partiti politici di appartenenza, anche quando si discute di tematiche che riguardano in particolare le donne.

Uno di questi casi riguarda la Legge sull'aborto del 2013, una legge che restringe la libertà di scelta delle donne e votata senza alcuna discussione dalle donne albanesi che erano in parlamento in rappresentanza del DUI.

Machocrazia nei Balcani

Dal 2012 la Macedonia ha una nuova legge su “Pari opportunità per donne e uomini” che garantisce un'equa partecipazione di donne e uomini nella sfera pubblica e politica. La legge prevede anche una percentuale del 40% garantita a candidate donne per le elezioni locali e parlamentari.

La legge dovrebbe assicurare pari opportunità nel partecipare al processo elettorale. Ma nella realtà non funziona così.

La maggior parte delle candidate viene messa in fondo alle liste elettorali e questo abbassa la possibilità che loro vengano elette in parlamento o nei consigli comunali. Questa è una pratica diffusa in particolare tra i partiti politici che rappresentano la comunità albanese.

Karolina Ristova-Aasterud è professoressa presso la Facoltà di Legge Iustinianus Primus presso l'Università Ss. Cirillo e Metodio di Skopje ed è una teorica del femminismo. Ritiene che i partiti albanesi in Macedonia siano uno degli esempi più estremi di quello che lei chiama la “machocrazia dei Balcani”.

“Dei veri campioni, ve lo assicuro” dice “non hanno di fatto alcuna politica sui diritti individuali e collettivi delle donne o politiche che riguardino gli interessi o i problemi delle donne in generale, e nemmeno nello specifico delle donne albanesi”.

Aggiunge che le donne albanesi in Macedonia hanno parte della responsabilità per questa situazione, standosene in silenzio senza opporre alcuna resistenza quando si tratta di questioni che le riguardano. “Questo va mano nella mano con l'ancora esiguo numero di donne attive nei partiti politici, e quindi parte del problema è proprio lì. Devono lottare per loro stesse in modo più aggressivo e più apertamente, in modo che la loro voce critica e il voto che raccolgono cambi le cose”.

Democratizzare i partiti

Anita Latifi, è una manager del marketing del Teatro albanese di Skopje ed è un'attivista per i diritti umani. Ritiene che le donne albanesi, in Macedonia, non abbiano le stesse opportunità in politica dei propri colleghi maschi aggiungendo che a suo avviso i partiti politici non hanno alcuna intenzione di intaccare quest'ineguaglianza.

“Una vera ed adeguata inclusione delle donne può avvenire solamente attraverso una piena democratizzazione dei soggetti politici. Sino a quando questo non avviene, le donne continueranno ad essere il 'male necessario' o solo un numero con cui adempiere alla normativa”, afferma Latifi.

La situazione non è molto migliore per quanto riguarda le donne in generale e la politica macedone, anche se rappresentano circa la metà della popolazione. Non vi è mai stata una donna ad occupare le principali tre cariche del paese: presidente, primo ministro o presidente del parlamento.

L'unica donna che ha osato tentare la corsa alla presidenza del paese è stata l'intellettuale albanese Mirushe Hoxha, che si è presentata per il DPA alle elezioni del 2009. È finita al settimo posto.

Nessuna donna è mai stata a capo di nessun partito albanese nel paese e non è andato meglio per le colleghe della comunità macedone. Lì è accaduto due volte: Radmila Sekerinska è stata a capo dell'SDSM tra il 2006 e il 2008 e Liljana Popovska, attualmente leader del partito di matrice verde Rinnovamento democratico.

Vlora Rechica, scienziata politica e attivista femminista sottolinea che la società albanese in Macedonia è conservatrice e non molto aperta: “La luce in fondo al tunnel è rappresentata dal fatto che non ci si impegna in politica solo attraverso i partiti politici e che le donne albanesi cercano altri modi per essere socialmente attive e trovano altri metodi per prendere parte al miglioramento dei problemi sociali”.

Albanesi e macedoni

Ristova-Aasterud chiarisce che sia le donne della comunità albanese che di quella macedone sono nella stessa posizione per quanto riguarda la loro posizione sociale, nella matrice del patriarcato balcanico ma che, comunque, vi sono anche delle differenze significative.

“Il processo d'emancipazione femminile all'interno della comunità etnica albanese è ancora molto lento, in parte anche perché lo stato macedone non l'ha affrontato da un lungo periodo, non avendo il coraggio o l'interesse – o entrambi - di affrontarlo”, spiega.

Ma, argomenta la Ristova-Aasterud, vi sono fardelli molto rilevanti da ritrovarsi sotto l'ombrello della cultura, della moralità, della religione e un gran numero di donne albanesi sono sotto il loro peso.

“Sono fattori che andrebbero affrontati in modo onesto e coraggioso e dovrebbero essere riformati all'interno della stesa comunità albanese, se vogliamo vedere progressi che siano genuini”, afferma la Ristova-Aasterud. “Non riguarda solo l'educazione, l'occupazione o l'emancipazione economica di queste donne. Ma riguarda anche il loro ruolo nelle relazioni, nel matrimonio, nella famiglia, riguarda anche la sessualità maschio-femmina e l'idea stessa di femminilità”.

Kristina Lelovac, attrice e attivista di Tiiiit! Inc , un'organizzazione femminista della Macedonia, crede che le più grandi regressioni in termini di diritti delle donne in Macedonia siano avvenute negli scorsi 11 anni mentre Nikola Gruevski e il suo partito, VMRO-DPME governavano il paese. Lelovac dice che durante questo periodo le donne erano viste esclusivamente come casalinghe e madri. Non vede dei grandi cambiamenti rispetto al governo presente.

“Il governo della destra conservatrice precedente è la principale causa del degrado dell'immagine della donna in Macedonia”, dice Lelovac. “Tutti i benefici riguardanti l'uguaglianza di genere che abbiamo ereditato dal socialismo, sono stati rimossi dalla sfera pubblica. La più grande sfida per le donne albanesi che vogliono partecipare direttamente alla vita politica, consiste nel vincere la loro partecipazione politica 'decorativa'. I numeri sono importanti per garantire la partecipazione, ma la partecipazione sostanziale è ciò che conta davvero”.

Una società veramente conservatrice

L'attivista Latifi crede che la Macedonia sia una società veramente conservatrice e che le donne albanesi abbiano a che fare con stereotipi che vedono la donna ancora legata alla sfera privata, alla cura della casa e dei bambini, non può avere un ruolo nella vita pubblica né nelle decisioni riguardanti gli interessi di tutta la nazione, cosa che è compito degli uomini.

“Puoi notare facilmente che quando una donna parla, le persone tendono sempre a non essere d'accordo con quello che dice. Non si parla delle sue opinioni ma di lei”, racconta Latifi. “Le critiche alla vita pubblica variano moltissimo a seconda che si tratti di critiche rivolte a uomini o a donne”. Ristova-Aasterud crede che si tratti di una mancanza di forza d'animo e di coraggio intellettuale che impedisce di gestire o anche solo di parlare di questi temi. Questa è la principale ragione per cui le politiche albanesi rimangono in silenzio.

“Si può anche parlare di una sindrome per cui le donne sarebbero anche fiere del loro status di 'persone speciali' in un campo di gioco dominato completamente da uomini”, continua Ristova, aggiungendo che parlare di donne albanesi continua a sembrare un tabù.

“Credo che i media debbano fare la loro parte nel cambiare questo approccio”. Nel paese in cui Ibe Palikuca, una partigiana antifascista albanese che ha sacrificato la sua vita a soli 17 anni nel nome degli ideali in cui credeva, le donne albanesi adesso rimangono in silenzio. Il cambiamento è possibile. Karolina Ristova-Aasterud sostiene che ci siano stati grandi sviluppi a partire dal 2000 in termini legislativi e politici, il passo successivo dovrà essere l'implementazione.

“Il processo è ormai iniziato e voglio credere che le generazioni più giovani approfitteranno di questo vantaggio. Molte delle mie alunne sono donne albanesi forti ed eccezionali, ti mangerebbero viva. Spero che questo possa dire molto a proposito del loro futuro”, conclude la professoressa.