Il cinema romeno torna a conquistare premi ed attenzione internazionale: "L’anno nuovo che non venne mai" di Bogdan Mureşanu - che racconta un giorno alla vigilia della rivoluzione del 1989 - ha vinto a Venezia il premio per il miglior film nella sezione "Orizzonti"
Il film romeno L’anno nuovo che non venne mai (Anul Nou care n-a fost) di Bogdan Mureşanu ha vinto la settimana scorsa il premio per il miglior film nella sezione “Orizzonti” della Biennale di Venezia. Dal 2004, il Premio Orizzonti viene assegnato al miglior lungometraggio di un regista esordiente.
Sempre a Venezia, il film ha ricevuto inoltre i premi collaterali Bisato d’Oro per la miglior sceneggiatura ed il premio FIPRESCI (International Federation of Film Critics).
Da diverso tempo un film romeno non si aggiudicava un premio di tale rilevanza in una competizione internazionale. Questo non significa, ovviamente, che il cinema romeno abbia rallentato; al contrario, negli ultimi anni ha attraversato un processo di continua evoluzione e trasformazione.
Film di natura più commerciale e serie televisive hanno acquisito maggiore spazio; registi affermati e giovani autori si sono dedicati a sperimentare nuove tematiche.
Curiosamente però, è ancora una pellicola che esplora il passato storico della Romania, in particolare la rivoluzione del 1989, a ottenere un riconoscimento notevole.
Questo evidenzia come il comunismo rappresenti ancora una ferita aperta, trasmessa attraverso generazioni, e continui a essere oggetto di riflessione, ispirazione e profonda emozione.
Registi come Cristian Mungiu, Radu Mihaileanu, Cristi Puiu, Corneliu Porumboiu e Radu Jude si sono fatti conoscere a livello internazionale affrontando proprio questo tema, ognuno con il proprio stile espressivo e la propria prospettiva.
Bogdan Mureşanu, nel suo film L'anno nuovo che non venne mai, offre una visione a mosaico, un puzzle di situazioni che rievocano storicamente vari aspetti dell'oppressione sotto il regime comunista, portando lo spettatore in un viaggio tra lacrime e sorrisi.
Il film è una produzione della Kinotopia (Romania), in coproduzione con SRTV (Società Televisiva Romena), All Inclusive Film (Serbia) e in associazione con Chainsaw Europe.
I membri della giuria FIPRESCI - Jean-Philippe Guerand (Francia), Martin Horyana (Repubblica Ceca), Hanna Pilarczyk (Germania), Gaia Simionati (Italia), Alissa Simon (USA) e Simone Soranna (Italia) - hanno elogiato il film per "la sua accurata visione politica, la narrazione sofisticata e coinvolgente, l'equilibrio artistico e l'eccezionale qualità del casting."
Narrazione sofisticata, perché il film intreccia sei storie inizialmente distinte e apparentemente indipendenti, che gradualmente si connettono, esplorando emozioni e stati d’animo comuni come paura, fame, desiderio di libertà, amore, amicizia e confusione.
Gli eventi si svolgono alla vigilia della rivoluzione romena , concentrati in un unico giorno: il 20 dicembre 1989. Il fatto di condensare tutto in un solo giorno amplifica l’intensità dell’azione, trasformandola in una tragicommedia, proprio come la vita stessa.
Mentre le strade sono invase da manifestanti in rivolta contro la repressione e gli studenti sfidano il regime attraverso l'arte, in televisione gli spettacoli di fine anno continuano a glorificare Ceaușescu. Le famiglie, intanto, affrontano gli stessi drammi quotidiani sotto la costante minaccia della polizia segreta, e i bambini scrivono lettere a Babbo Natale.
I protagonisti si trovano a vivere situazioni estreme che rivelano il livello di disperazione e amarezza di quei tempi: una donna non riesce ad accettare la demolizione della propria casa, situata in un’area destinata a nuovi edifici imposti dal regime; un’attrice, per salvare la sua carriera, è costretta a cantare un inno patriottico natalizio e lo fa solo sotto l’effetto di farmaci che le offuscano la mente; uno studente, deciso a fuggire, tenta di attraversare il confine nuotando nelle gelide acque del Danubio, in pieno inverno.
Riguardo alla particolare scelta di raccontare un solo giorno alla vigilia della rivoluzione romena, Mureşanu ha commentato durante la competizione: “Sono sempre stato interessato al concetto dell’adesso, in particolare quando riguarda un adesso storico, un singolo momento nel tempo che collega tutti a una coscienza comune”.
“Alcuni di questi momenti sono cruciali cambiamenti di paradigma storico, come la rivoluzione romena, che è stata forse, se non la prima, la rivoluzione con la maggiore copertura televisiva della storia”, ha aggiunto Mureşanu. “Volevo però affrontare quest’argomento dalla prospettiva microscopica delle persone comuni, piuttosto che con uno sguardo dall’alto verso il basso”.
Bogdan Mureșanu (Bucarest, 1974) ha iniziato la sua carriera nel mondo della letteratura e della pubblicità, prima di dedicarsi alla sceneggiatura. Il suo ingresso nel mondo del cinema è stato segnato dalla vittoria della HBO Tiff Scriptwriting Competition con la sceneggiatura breve The Human Torch.
Successivamente, ha diretto i lungometraggi Tuns, ras și frezat (2013) e Spid (2016), ma il vero successo è arrivato con il cortometraggio di circa ventitré minuti - Cadoul de Crăciun (2018) - Il regalo di Natale.
Questo racconto segue una famiglia romena durante l'ultima notte prima della caduta del comunismo, in cui il figlio scrive una lettera a Babbo Natale chiedendo di esaudire il desiderio del padre di vedere morto il dittatore Nicolae Ceaușescu.
Il cortometraggio ha ottenuto circa 70 premi, tra cui il Gran Premio al Clermont-Ferrand International Short Film Festival, considerato il festival più prestigioso al mondo per i cortometraggi. Ha anche vinto l'European Film Academy Award come miglior cortometraggio ed è stato selezionato tra i 10 finalisti per gli Oscar nella categoria Live-Action Short Film.
In quanto alla dittatura, Mureșanu ha espresso in un’intervista un pensiero particolare, definendo la regia come l'unica forma di dittatura legittima.
A suo dire, essere un regista significa “essere capaci di dire ciò che si desidera, essere esigenti e pretendere che i propri desideri vengano soddisfatti. Essere quasi viziati e autoritari, al punto da chiedere molto, talvolta l'impossibile. Al contrario, in letteratura non c’è bisogno di essere dittatori: bisogna solo essere in pace con sé stessi e con la propria solitudine”, cosa che, ammette, “è tutt’altro che facile.”