Diversamente dall'Ungheria, il partito al governo in Romania non ha alcuna agenda ideologica illiberale. Si aggrappa solo in modo disperato al potere e ai privilegi acquisiti

06/04/2018 -  Bogdan Nedea

(Pubblicato originariamente da Balkan Insight il 19 marzo 2018)

Se a qualcuno capita di sfogliare la stampa rumena in questi giorni, in particolare commenti ed editoriali, vi troverà numerosi riferimenti alle tendenze e mosse illiberali del Partito socialdemocratico (PSD), attualmente al potere nel paese.

Questo potrebbe portare alla conclusione che la Romania è ben incamminata lungo la strada del divenire un altro paese illiberale nell'Europa centro-orientale.

Ma ci si sbaglierebbe di grosso. Le premesse potrebbero sembrare, ad un primo sguardo, corrette: confinando con paesi che hanno deragliato dal cammino liberale, la Romania sotto il PSD avrebbe scoperto i benefici del condurre una dottrina politica centralistica e conservatrice.

La ricetta è ben rodata: opporre resistenza ad alcune politiche UE adducendo di proteggere mal definiti interessi nazionali; aggiungere variegati attacchi alla libertà di stampa e rendere la gestione del settore pubblico sempre più irresponsabile ed opaca. E poi rimestare il tutto in un calderone di teorie cospirative citando figure quali il miliardario statunitense George Soros, affermando che intende destabilizzare il paese.

Se sembra tutto così familiare è perché lo si è già visto accadere nell'Ungheria di Viktor Orban. Quest'ultimo è colui il quale ha affermato che la democrazia liberale classica ha fallito e che è tempo di prendere in mano le redini del destino ed indirizzarlo verso la democrazia illiberale. Si può riconoscere un qualcosa di tutto questo anche in Polonia.

Ma per quanto induca in tentazione comparare Ungheria, Polonia e Romania, le tre sono molto diverse tra loro. L'Ungheria di Orban è uno stato che si autodefinisce illiberale; la Polonia è una democrazia con tendenze illiberali; la Romania, attualmente, è in gran parte uno stato illiberale per opportunismo. Per metterla diversamente, il suo governo, in questo momento, lo ritiene il guanto che calza meglio.

Essere illiberali conviene

Per meglio capire quest'affermazione si deve comprendere il passato del PSD; creato dopo la rivoluzione del 1989, che ha posto fine al regime comunista, il partito è stato legittimato da figure di secondo e terzo piano dell'ex Partito comunista ereditandone di fatto la discendenza e le pratiche.

Da allora in avanti, salvo per un periodo di quattro anni, è sempre, in un modo o nell'altro, stato al potere, che gli viene garantito da una base elettorale in gran parte rurale e nostalgica dei bei tempi andati.

Nel novembre del 2016 ha ottenuto la maggioranza in parlamento ed ha iniziato a perseguire la propria agenda. Il primo momento e probabilmente quello più significativo nel definire i successivi anni di governo è stato la preparazione di una proposta di legge che prevedeva la depenalizzazione dell'abuso d'ufficio, crimine per il quale il leader del partito Liviu Dragnea, era allora sotto inchiesta ed è successivamente stato condannato.

Quella decisione scatenò le più ampie proteste di strada degli ultimi 27 anni in Romania e il progetto di legge è stato, alla fine, ritirato.

Ma il governo non ha rinunciato all'obiettivo che si era posto dato che è ora in parlamento, largamente dominato dal PSD, che si sta tentando di modificare il codice penale e depenalizzare l'abuso d'ufficio.

Nonostante gli avvertimenti della Commissione di Venezia e di Bruxelles, si sta cercando anche di cambiare le leggi vigenti in modo da far dipendere maggiormente il sistema giudiziario dalla politica. Da sottolineare che negli ultimi 16 mesi in cui il PSD è stato al potere ha già cambiato, attraverso un voto di sfiducia, due governi che aveva in precedenza nominato (ora si è al terzo, ndr).

Ma la somma di questi elementi non porta alla conclusione che siamo di fronte ad uno stato illiberale e non porta al parallelo con l'Ungheria, un paese che apertamente rivendica quest'ideologia.

Orban ha costruito il suo discorso politico sul resistere e sfidare le politiche dell'Unione europea per ragioni elettorali appellandosi in continuazione alla fetta più debole dei suoi cittadini, i cosiddetti “sconfitti dalla transizione”.

Il PSD rumeno ha iniziato a fare questo (ma in modo molto più timido) solo dopo che Bruxelles ha contestato apertamente la riforma della giustizia. Inoltre la retorica dei politici rumeni non è anti-Ue. Vengono solamente rispedite al mittente le considerazioni di Bruxelles sul paese denunciando costantemente che sono frutto di “disinformazione”.

Per quanto riguarda la stampa il leader ungherese aveva bisogno di limitarla per evitare che la sua visione venisse contestata.

Ma in Romania la maggior parte della stampa ha da tempo e volontariamente fatto la sua scelta: la stampa rumena è infatti piena zeppa di giornalisti ed influencer desiderosi di sostenere il politico di turno per qualche soldo in più. Negli anni questo ha portato ad un pubblico sottosviluppato e uniformato, a disinformazione e ad un generale indebolimento della società civile.

Opportunisti

Dato che crede che la democrazia liberale e l'integrazione europea siano irreversibili, la società rumena si è rilassata e questo ha portato all'incontrollata ascesa della gerarchia di lacchè di partito: opportunisti, poco formati e con inclinazioni criminali. Personaggi che hanno accompagnato la loro ascesa con discorsi politici di scarso livello - e questo ha contribuito ad abbassare le stesse aspettative dei cittadini – ed hanno distratto l'attenzione pubblica dalle questioni cruciali attraverso fiammeggianti cicli di notizie.

Esempi se ne hanno anche in questi giorni. In Romani tre quarti del paese è colpito da pesanti inondazioni e il tasso di inflazione ha raggiunto il più alto livello degli ultimi cinque anni come conseguenze dell'innalzamento artificioso dei salari. Nel frattempo il leader del PSD parla di approvare una legge che prevederebbe la punizione dei funzionari pubblici – tra questi anche i parlamentari – che parlano male del loro paese all'estero.

Ma diversamente da quanto accaduto in Ungheria, questi sviluppi hanno prodotto, in Romania, un effetto opposto: si è avuta una veloce resurrezione del giornalismo d'inchiesta che, assieme ad una società civile sempre più attiva, ha svelato molti fatti di corruzione e malacondotta che coinvolgevano politici. E mentre tra la popolazione cresceva il sentimento di protesta, il governo veniva sempre più spesso contestato nelle strade.

Per ultimo è stato necessario, per il PSD, creare un nemico invisibile ed indefinibile (del tipo “Soros” o “Lo stato parallelo”), il “governo grigio della Romania dei servizi segreti e degli ambienti ad essi vicini” per giustificare le mosse antidemocratiche contro il sistema giudiziario e per giustificare i propri errori di governo.

Questa era una tattica già utilizzata dall'ex dittatore rumeno Ceausescu prima del 1989 ed è stata già vista in Russia ed in altri posti. Il fattore “paura” viene utilizzato per spingere determinati strati sociali a votare per il PSD. In questo caso la strategia viene aggiornata con la figura di Soros (che il PSD accusa di aver finanziato le massicce proteste di strada a Bucarest), importata dall'Ungheria dove Orban l'ha utilizzata con efficacia.

In conclusione, la classe politica della Romania è lontana da una ideologia illiberale, perché, in primo luogo, ciò implicherebbe che abbia un'ideologia. Tale ipotesi indicherebbe erroneamente un certo tipo di coerenza.

D'altra parte l'intera regione, in particolare la Romania, ha già vissuto il dramma del delirio illiberale. Dietro al mucchio delle illusioni ideologiche deluse, abbiamo trovato solo gli interessi diretti di pochi.

In questo caso la Romania è solo una conbricola di personaggi indagati o condannati penalmente che si trovano in una posizione di potere, dalla quale stanno semplicemente cercando di cambiare il sistema giudiziario in modo che risponda ai propri bisogni. Nel frattempo tentano di mantenere i propri privilegi e arricchire se stessi e chi è a loro vicino.