Di chi si circonda il presidente russo Vladimir Putin? Perché? Cosa si può dedurre dal protocollo e dai rituali sociali che traspaiono in pubblico? Una rassegna

24/02/2015 -  Marilisa Lorusso

Fin dall’inizio del conflitto in Ucraina si dibatte sempre più su chi ha in mano il processo decisionale a Mosca. La diagnosi più condivisa - da osservatori dentro e fuori la Russia - è che il numero di chi ha diretto accesso al presidente si sia ultimamente ristretto e abbia assunto una maggiore compattezza negli orientamenti espressi.

Parla ad esempio di un “Collettivo Putin in riduzione” Radio Free/Europe in un podcast di The Power Vertical , di uno scivolamento su posizioni più radicali The Institute for Modern Russia , mentre alcuni osservatori russi hanno preferito concentrare la loro attenzione sullo strumento istituzionale che  raccoglierebbe gli uomini più vicini al presidente: il Consiglio di Sicurezza Nazionale.

Oltre a questo dibattito legato alla contingenza esistono un gran numero di studi che si sono concentrati sulla ricostruzione dei processi decisionali al Cremlino, sulla sua catena di comando, sulle sue caratteristiche ed efficacia (fra gli altri si segnala State Building in Putin's Russia: Policing and Coercion after Communism , non aggiornato all’ultimo mandato, ma molto ben documentato). La metodologia di analisi varia da contributo a contributo e si va da ricostruzioni giornalistiche a studi statistici frutto di ricerche approfondite.

Il mito dell’Uomo Forte

Il regime putiniano è imperniato sul mito dell’Uomo Forte: solo l’uomo forte può dirigere lo Stato e la sua saggezza e la sua autorevolezza garantiscono il buon governo. Senza di lui solo il caos. Questa idea affascina molti elettori - anche altrove peraltro - che vedono il loro leader sgridare come scolaretti imprenditori, ministri o chiunque sgarri per volontà o incapacità. Questa leadership autocratica attrae di più ovviamente i circoli conservatori e i cultori del controllo come principale strumento di stabilità sociale. Il che porta direttamente al profilo professionale che caratterizza l’attuale leadership russa.

Il mito dell’Uomo Forte è anche appunto un mito, soprattutto quando si parla di sistemi complessi come gli stati, non di gruppi umani di poche decine di persone. Nello Stato chi riveste la massima carica, de jure o de facto, ha sempre un gruppo di persone intorno con i quali crea rapporti di interdipendenza, non esclusivamente di comando, i “suoi uomini”.

Nel caso della Russia l’espressione è particolarmente azzeccata, perché si tratta di un gruppo ristretto di uomini con un passato o un presente in divisa. Unica eccezione, se si estende il nocciolo duro a tutti i membri del Consiglio di Sicurezza, Valentina Matviyienko, di origini ucraine, che presiede il Consiglio Federale ed ha un seggio permanente all’interno del Consiglio di Sicurezza. Quest'ultimo però - pur nella sua rilevanza - non è la proiezione esatta della coorte putiniana. Vi è infatti qualche nome di troppo, per esempio il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, più volte presidente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e qualche mancanza troppo illustre, come Igor Sechin , a capo della compagnia petrolifera Rosneft.

I nomi

L’intersezione dei vari metodi per identificare il gruppo di governo si restringe a pochi nomi, molti dei quali risiedono nei cosiddetti ministeri forti: gli Interni, la Sicurezza Federale (FSB), la Procura Generale , e – forse appena più periferico – la Difesa, i famosi Siloviki. Quindi l’elenco a livello apicale si riduce a pochi nomi:

Vi è Nikolaj Patrushev, ex capo della FSB, attualmente alla presidenza del Consiglio di Sicurezza nazionale (CSN). Fu membro del KGB di Pietroburgo dove si è formato Putin (anni 1975-1984). Ha rilasciato interviste da cui traspare la sua linea dura in tema di autonomia della società civile, e in cui si è espresso a favore dell’utilizzo del nucleare anche in conflitti regionali. A lui è legato Rashid Nurgaliev, KGB della Carelia, ex ministro degli Interni, ora suo vice. E’ ancora del suo entourage Boris Gryzlov, alla Duma per Russia Unita e nel CSN. Il figlio di Patrushev ha invece ottenuto il posto di consulente di Sechin.

Vi è anche Vladimir Ustinov, a cui si arriva anche via Sechin, visto che sono consuoceri. Ex procuratore generale, ministro della Giustizia, e poi Plenipotenziaro per il Distretto Federale Meridionale. Viene conosciuto da Putin nel suo primo periodo moscovita, quello che ha preceduto i suoi incarichi federali (1996-1999).

Nella lista dei più vicini al presidente anche Sergey Ivanov, sempre del KGB di Pietroburgo, a capo dell’amministrazione presidenziale. Vi sono poi due ministri, degli Interni Vladimir Kolokolcev, e della Difesa Sergey Shoigu, che non rientrano nel gruppo delle conoscenze storiche di Putin, ma che per incarico e per divisa, rientrano nel gruppo dei "siloviki". E' un'aggiunta relativamente recente, Aleksander Bortnikov, il nuovo capo delle FSB, pure KGB/FSB di Pietroburgo dal 1975 al 2004, ma originariamente più vicino a Medvedev.

Oltre ai "siloviki", gli uomini in [ex]divisa della politica, ci sono i “silovarch i”, i siloviki-oligarchi. Primo fra tutti Igor Sechin, del così detto KGB Angola, dove aveva prestato servizio. L’incontro con Putin è negli anni di Pietroburgo ’91-’96. Sempre nel settore dell’energia, ma a Transneft, c’è Nikolaj Tokarev, collega KGB negli anni della Germania est, come Sergey Chermezov, amministratore delegato del gruppo industriale statale russo RosTec.

Militocrazia

Un elenco ridotto all’osso esclude necessariamente i vari Batrykin, Cherkesov (compagni di scuola di Putin, poi anche entrati nei ministeri forti), l’eterno Viktor Ivanov, del KGB di San Pietroburgo, i Belyaninov o Zolotov, ripresi dagli anni del KGB nella Germania dell’est (1985-990), o negli anni nel governo di Pietroburgo, 1991-1996... Vari pezzi di vita putiniana assurti a incarichi federali, con sorti e fortuna differenti.

Il quadro che emerge è comunque chiaro: una logica di fedeltà cementata da legami personali spesso di lunga data. In questo, come in altri aspetti la Russia pare un paese con una forte connotazione patrimonialistica in cui la cosa pubblica viene amministrata come un bene privato, e in cui si raggiunge un incarico non tanto per cosa si conosce, ma per chi si conosce. Un fenomeno che per il profilo di chi governa ha avuto un effetto piuttosto particolare sul paese: dal vertice agli organi di potere regionali ha preso forma una “militocrazia ”. Per citare un esempio, dei sette distretti federali tutti hanno avuto a capo almeno un “uomo in divisa”, che fosse militare, KGB o abbia avuto un passato da procuratore.