7000 persone si sdraieranno davanti al Parlamento serbo il prossimo 11 luglio per ricordare le vittime di Srebrenica. La coraggiosa iniziativa di Dušan Mašić, giornalista serbo
Lo scorso aprile, sulla scorta di una manifestazione degli studenti di Zagabria che in solidarietà coi 147 studenti massacrati in Kenya si sono sdraiati davanti al teatro nazionale croato per alzare l’attenzione sul crimine avvenuto, Dušan Mašić , giornalista e media manager della BBC, ha lanciato su twitter l’idea di fare un’azione analoga a Belgrado: invitando 7000 persone a sdraiarsi il prossimo 11 luglio davanti al Parlamento serbo per ricordare le vittime del genocidio di Srebrenica. Abbiamo chiesto a Mašić di illustrarci l'iniziativa.
Lei è l’iniziatore della campagna 7000 per le vittime di Srebrenica. Ci racconta come è nata l’idea?
L’azione #settemila è ispirata alle proteste studentesche di Zagabria a seguito del massacro di studenti lo scorso aprile in Kenya. L’idea è che 7000 persone si sdraino davanti al Parlamento serbo l’11 luglio rendendo in questo modo omaggio a tutte le persone uccise a Srebrenica.
Lo spazio di fronte al Parlamento è sempre stato il luogo in cui cittadini e cittadine di Belgrado hanno manifestato le proprie idee. È la casa di tutti noi, e non c’è quindi motivo che non lo sia anche l’11 luglio. Il parlamento un paio di anni fa ha adottato una risoluzione su Srebrenica e quello che noi facciamo non può essere in alcun modo inteso come qualcosa contro gli interessi della Serbia. Anzi.
Vi sono ostacoli che potrebbero bloccare l’iniziativa?
L’incontro davanti al Parlamento è stato segnalato alla polizia più di un mese fa da parte delle organizzazioni non governative che ci sostengono. Come individuo non posso fissare un’assemblea pubblica perché non è previsto dalla legge. Subito ci è stato detto che se il Parlamento dovesse riunirsi l’11 luglio la manifestazione non si potrà tenere. Lo capisco, ma in questo momento non vedo alcun motivo per cui il Parlamento dovrebbe riunirsi proprio quel sabato di luglio.
Si è parlato anche di introdurre il divieto di radunarsi davanti al Parlamento, ma credo che se ne discuterà in Parlamento a breve ma non influirà su di noi. Siamo ancora in attesa della risposta finale del ministero dell’Interno, e noi come organizzatori abbiamo ancora parecchio da fare, ma sono piuttosto ottimista che tutto andrà liscio. A condizione, ovviamente, che il governo prenda la cosa sul serio almeno quanto l’organizzazione del Gay pride.
In un’intervista che ha di recente rilasciato per la tv della Vojvodina (RTV), lei ha detto che questo sarà il più grande evento su Srebrenica degli ultimi 20 anni in Serbia. In cosa secondo lei la Serbia è cambiata rispetto a Srebrenica e in generale ai crimini di guerra degli anni novanta?
Non è cambiata poi molto, in particolare rispetto a Srebrenica. Questo è conseguenza di tutti quelli che si sono succeduti al potere negli ultimi venti anni. Ma noi cerchiamo di dire che è ormai giunto il tempo di far partire il cambiamento. Che non bisogna più mettere la testa sotto la sabbia e di vedere come andare oltre. Tutto ciò con la speranza che una cosa del genere non capiti mai più a nessuno. Tutt’oggi è raro trovare qualcuno in Serbia che si può permettere e può usare la parola genocidio quando parla di Srebrenica. Io capisco che sia forse una questione di sopravvivenza sulla scena politica, ma credo tuttavia che senza affrontare la questione non saremo in grado di avviare la realizzazione di un nuovo sistema di valori che sarebbe l’unica garanzia che un crimine simile non accada di nuovo tra 5, 10 o 15 anni.
Oggi come parlano di Srebrenica i media serbi?
Uno dei successi dell’azione #settemila è che parliamo di Srebrenica un mese o due prima dell’anniversario, cosa che finora non è mai stata. Per i media continua ad essere un tema a cui non si dà grande spazio, perché non porta niente di buono con sé. Dall’altra parte c’è da dire che ci sono sempre meno veri media, ma sulla lista di quelli che hanno già annunciato la loro partecipazione a questa azione ci sono parecchi giornalisti, miei colleghi e amici e questo è un incoraggiamento.
Lei è un giornalista ma questa volta veste i panni dell’attivista. Crede che un giornalista qualche volta dovrebbe essere anche un attivista?
Non mi occupo più di giornalismo in senso stretto da oltre un decennio. Scrivo qui e là qualcosa, ma il mio lavoro quotidiano è orientato al management dei media. Credo che la questione dell’attivismo non c’entri con la professione che si svolge. Si tratta di una questione di valori in cui ci si ritrova, a prescindere da chi sei e da cosa vuoi avviare, a cosa vuoi partecipare o sostenere. Sempre. Perché, come sappiamo, per far sì che cose cattive accadono è sufficiente che le brave persone non facciano nulla. I cattivi faranno sempre la loro parte.