Con la firma lo scorso venerdì dello storico accordo tra Belgrado e Pristina si apre un nuovo capitolo delle relazioni tra Serbia e Kosovo. E la Serbia otterrà la data di avvio dei negoziati con l’Ue il prossimo giugno
Non vi sono dubbi che il governo e il parlamento serbo nel corso di questa settimana accoglieranno a larga maggioranza l’accordo con Pristina, parafato venerdì scorso a Bruxelles dal premier Ivica Dačić e dal primo vicepremier Aleksandar Vučić. Questo significa l’inizio della fine di un periodo tormentato della nuova storia serba, contrassegnata da sforzi vani e futili di mantenere la sovranità sul Kosovo. All’ombra di questi sforzi è stata drammaticamente infranta la credibilità internazionale del paese, la sua economia è stata devastata e la sua società non è mai cambiata sul serio.
Tutti i dubbi sull'eventualità di un rigetto parlamentare dell'accordo sono evaporati dopo che l’Assemblea generale del Partito progressista serbo (SNS) di Aleksandar Vučić a grande maggioranza ha accettato l’accordo. Un esito di questo genere dimostra che Vučić ha infranto le resistenze delle correnti più radicali interne al suo partito e che tutti i suoi deputati al parlamento voteranno a favore dell’accordo. Cosa che faranno anche altri partiti di governo, così come praticamente tutta l’opposizione, ad eccezione del Partito democratico della Serbia (DSS) dell’ex premier Voijslav Koštunica.
Dopo la caduta del regime di Slobodan Milošević, Koštunica era ed è rimasto il principale promotore dell’idea di subordinare praticamente tutti gli obiettivi nazionali alla lotta per mantenere la sovranità formale sul Kosovo. L’ex premier non si è certo sentito vincolato dalla situazione sul campo né sulle reali relazioni di forza sulla scena politica internazionale, insistendo sulla posizione che non si può togliere ad uno stato una parte del suo territorio. Questa politica è stata definitivamente sconfitta, ma Koštunica e il suo partito continuano ad insistervi categoricamente, nonostante ormai sia evidente che sono isolati.
Cosa prevede l’accordo
L’accordo in questione regola l’autonomia dei serbi all’interno del Kosovo, il che in pratica significa che non saranno parte della Serbia. Verrà costituita un'Unione dei comuni serbi che godrà di un suo statuto, ma la cui esistenza sarà garantita dalle leggi del Kosovo, e non da quelle della Repubblica di Serbia. Questa Unione, quindi, sarà parte del sistema giuridico del Kosovo e non di quello della Serbia.
I serbi nella futura Unione dei comuni serbi del Kosovo avranno una propria polizia la cui composizione rispetterà la composizione etnica dei comuni. Proporranno i comandanti della polizia sul territorio di questi comuni, ma questi verranno formalmente nominati da Pristina, scegliendo uno dei candidati proposti dai comuni serbi. In Kosovo, quindi, formalmente non esisterà altra polizia oltre a quella kosovara e la polizia nei comuni serbi godrà di una sorta di autonomia e si atterrà alle leggi del Kosovo.
Detto in parole chiare, la parte serba ha mantenuto l’ingerenza in loco, ossia nei comuni serbi, mentre il governo kosovaro ha ottenuto una soluzione che gli offre lo spazio per potere trattare formalmente i comuni serbi come parte del Kosovo. Questa sorta di politica di scambio è davvero il massimo che entrambe le parti in gioco potevano ottenere in questo momento. A Pristina è chiaro che prendere i comuni serbi con la forza non sarebbe stata una buona opzione, e Belgrado comprende che della sovranità sul Kosovo non c’è più niente e che la situazione in Serbia degenererebbe rapidamente se non si accettasse di migliorare le relazioni con Pristina.
Ultranazionalisti indeboliti
Difendendosi dalle critiche degli ultranazionalisti di aver “tradito” il Kosovo, il governo serbo ha messo in risalto che l’esercito kosovaro non potrà essere dislocato sul territorio dei comuni serbi, oltre al fatto che la Serbia non si è impegnata ad appoggiare i desideri del Kosovo di diventare membro delle Nazioni Unite. Con questo si cerca di mettere in chiaro che i serbi del Kosovo non possono essere attaccati militarmente e che la Serbia non riconoscerà mai l’indipendenza del Kosovo.
Gli ultranazionalisti hanno organizzato proteste a Belgrado, ma l’affluenza è stata piuttosto debole. Questi ultimi ripongono speranza nella possibilità che all’interno del SNS, partito nato dalle ceneri dell’ultranazionalista Partito radicale serbo, arrivi a prevalere chi ha una posizione intransigente rispetto al Kosovo. Ipotesi che sembra però molto lontana. Potrebbe anche accadere che anche la resistenza all’accettazione dell’accordo che vi è attualmente nel nord del Kosovo - dove i serbi locali orientati su posizioni radicali non vogliono saperne di avere rapporti con il governo di Pristina - inizi a indebolirsi.
Da Bruxelles di sicuro arriverà il premio, cioè la data di avvio dei negoziati con l’Unione europea già il prossimo giugno. Questo potrebbe essere un passo spinto da un forte pragmatismo, considerando il fatto che Dačić e Vučić, nonostante il grande sostegno in parlamento, avranno qualche difficoltà nell’implementazione dell’accordo. La determinazione della data e in particolare l’avvio dei negoziati con l’UE, aprono la possibilità di una maggiore influenza di Bruxelles sullo stesso processo di implementazione dell’accordo.
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