In Serbia sui media locali e nel dibattito pubblico il recente arresto di Darko Šarić è più un tema politico che una storia di criminalità. Le implicazioni politiche e le possibili conseguenze in questa analisi del nostro corrispondente
È stato arrestato il maggiore investitore straniero in Serbia: così sui social network, in tono scherzoso, è stato accompagnato l’arresto del “re della cocaina” balcanico, Darko Šarić, la scorsa settimana. La battuta, in realtà, descrive in modo adeguato la posizione che Šarić per anni si è costruito in tutta la regione. In sostanza, il suo “lavoro” principale era il contrabbando di grosse quantità di cocaina proveniente dal Sud America destinata ai ricchi mercati europei, mentre in Serbia e in Montenegro investiva il denaro, cercando di crearvi un impero affaristico e un rifugio sicuro.
L’indagine lo accusa di aver “lavato” in Serbia almeno 22 milioni di euro anche se in via ufficiosa si nominano somme molto più ingenti. La procura, tra le varie cose su cui sta indagando, sta verificando ad esempio se il magnate serbo Miroslav Mišković abbia preso in prestito da Šarić una somma di 100 milioni di euro, per portare a termine il grande complesso residenziale Belvil a Belgrado e i media serbi da tempo speculano sui legami d’affari che Šarić avrebbe con il businessman serbo Stanko Subotić.
I più dispiaciuti per l’arresto di Šarić sono gli abitanti di Pljevlja, la sua città natale in Montenegro. Qui Šarić gode dello status di persona estremamente rispettabile visto che ha investito notevoli somme di denaro negli affari locali. Ma ha legami d’affari e finanziari anche in altri luoghi del Montenegro, e l’opposizione montenegrina accusa il governo di avergli permesso l’accesso alla costa montenegrina e alle banche, e così facilitato il contrabbando di cocaina in Europa.
L'inizio della fine dell’impero di Šarić ebbe inizio nell’ottobre 2009, quando prese il via l’operazione “Guerriero balcanico” (Balkanski ratnik), durante la quale in uno yacht al largo dell’Uruguay furono sequestrate più di due tonnellate di cocaina. All’inizio del 2010 fu spiccato a suo nome un mandato di cattura dell’Interpool. Poco prima del mandato Šarić soggiornava a Pljevlja. La caccia a Šarić è iniziata quindi nel 2009 e da allora sono stati bloccati praticamente tutti i suoi grandi affari.
Šarić non è stato arrestato durante uno spettacolare inseguimento o azioni degne di film ma si è arreso da solo, dopo che il suo avvocato aveva parlato con il governo serbo. La resa, come dicono a Belgrado, è stata del tutto incondizionata e lui non potrà essere un testimone protetto. Il fatto che si sia arreso porta alla conclusione che i suoi “affari” erano in cattive condizioni e i legami di cui godeva nella regione ormai inutilizzabili.
Politica
Il contrabbando di diverse tonnellate di cocaina e il riciclaggio di decine, e forse anche centinaia, di milioni di euro è impossibile senza stretti legami col sistema di potere, polizia inclusa. Ecco perché per l’opinione pubblica serba e per i media locali l’arresto di Šarić è più un tema politico, che una storia sull’attività della criminalità. Si parla quindi molto delle conseguenze che questo arresto potrebbe avere per alcuni politici e funzionari dei vari ministeri.
Gli alti funzionari del Partito democratico (DS), che prima occupavano i posti chiave della giustizia e dei servizi di sicurezza, non vengono nominati sino ad ora come possibili vittime collaterali dell’arresto di Darko Šarić. Al contrario, il leader del Partito progressista serbo (SNS) Aleksandar Vučić, attuale coordinatore dei servizi di sicurezza, nella dichiarazione rilasciata dopo l’arresto di Šarić si è complimentato per il lavoro del governo precedente, e in particolare del coordinatore dei servizi secreti, Miodrag Rakić, nel periodo in cui prese il via l’operazione Guerriero balcanico.
L’operazione Guerriero balcanico fu realizzata in stretta collaborazione con DEA, Interpool e altre organizzazioni internazionali e fu caldamente accolta sia a Washington che a Bruxelles. Rakić in quel periodo era il capo del gabinetto dell’allora presidente della Serbia nonché leader del DS, Boris Tadić, mentre ministro della Giustizia era Snežana Malović.
Entrambi sono oggi nel Nuovo partito democratico (NDS), che Tadić ha fondato poco prima delle elezioni del 16 marzo, spaccando così il DS in due correnti. Il partito di Tadić è entrato in Parlamento, e i media speculano che l’SNS potrebbe offrirgli di far parte del nuovo esecutivo.
Potrebbe invece accadere che nel mirino finiscano alcuni funzionari locali del DS, nello specifico della Vojvodina, dove questo partito mantiene ancora il potere fin dalla caduta del regime di Milošević. Sembrerebbe infatti che molti degli investimenti condotti da Šarić in Serbia, cercando di riciclare denaro sporco, sarebbero stati fatti proprio in Vojvodina, e questo non sarebbe stato possibile senza il sostegno dei funzionari locali.
È chiaro, quindi, che quello che Šarić dirà durante l’indagine potrebbe influire sulla composizione del nuovo governo che dovrebbe essere formato entro il 1° maggio. I partiti i cui funzionari si troveranno sulla lista dei politici con i quali Šarić ha collaborato avranno, naturalmente, meno possibilità di entrare in coalizione con l’SNS, visto che Vučić non vorrà certo trovarsi nella situazione di dover scegliere un partner di coalizione che potrebbe essere tacciato di collaborazione con l’ambiente mafioso.
Vittime
Per come stanno adesso le cose, i maggiori motivi di preoccupazione li nutrono il leader del Partito socialista serbo (SPS) Ivica Dačić, alcuni funzionari del ministero degli Affari Interni di cui Dačić è stato a capo per due mandati, così come il magnate Miroslav Mišković. Elencando i meriti per l’arresto, la polizia non è stata quasi nominata, anche se è difficile immaginare che tutto il lavoro sia stato fatto senza la partecipazione di quest'ultima.
Tutto questo può essere relazionato con precedenti inchieste secondo le quali Šarić avrebbe avuto sue "talpe" presso il ministero degli Interni, grazie alle quali era riuscito più volte ad evitare l’arresto. L’ex capo di gabinetto di Dačić, Branko Lazarević, è sospettato di aver informato Šarić che lo stavano intercettando, e la polizia di recente lo ha interrogato al riguardo.
Secondo quanto riportato dalla stampa serba, è stato proprio Dačić a presentare a Lazarević il collaboratore di Šarić, Rodoljub Radulović detto “Miša banana”. In seguito i media hanno iniziato a scrivere del legame di Radulović con la criminalità, come anche dei suoi incontri con Dačić. Dačić non nega la conoscenza ma afferma che non sapeva di cosa si occupasse Radulović.
Ad ogni modo, è chiaro che dai dati che finora sono giunti all’opinione pubblica si può concludere che il governo serbo, negli anni passati, sapeva dei movimenti di Šarić, ma che non si è mai arrivati al suo arresto perché, grazie alle informazioni tempestive che gli arrivavano da Belgrado, è sempre riuscito a sfuggire alla cattura.
Un altro uomo vicino a Dačić è stato arrestato dopo la cattura di Šarić. È il direttore dell’Ispettorato del lavoro, Dragoljub Peurača, accusato di aver ricevuto tangenti. In precedenza, sempre all’interno dell’ufficio di Dačić, era a capo del settore per gli affari tecnici e di sicurezza. Anche questo arresto, ovviamente, è piuttosto scomodo per lo stesso Dačić, ed anche per il suo Partito socialista della Serbia (SPS) che alle elezioni ha ottenuto il 14 percento di voti ed è in attesa dell’invito per rinnovare la coalizione con l’SNS.
Nel caso in cui le speculazioni sul prestito di 100 milioni di euro che Šarić avrebbe dato a Mišković fossero vere, una sua eventuale dichiarazione potrebbe essere una delle prove chiave nel processo in corso contro Mišković. Arrivare ad un valido e difficilmente impugnabile verdetto in questo processo sarebbe un grosso punto per Vučić e l’SNS che in questo modo dimostrerebbero di essere in grado di processare in modo efficace tanto i capi dei narco-cartelli quanto i magnati immischiati in affari sporchi.