Sale di nuovo la tensione tra Belgrado e Pristina a seguito di un’operazione delle forze di polizia speciali kosovare nel nord del Kosovo, azione che ha portato all’arresto di una ventina circa di persone sospettate di traffici illeciti
È stata, almeno secondo la maggior parte dei media serbi e degli esponenti del governo di Belgrado, una vera e propria piccola guerra (per fortuna solo virtuale), iniziata nella prima mattinata di martedì 28 maggio e conclusasi poco prima dell’ora di pranzo dello stesso giorno.
Tanto infatti è durata un’operazione delle forze speciali della polizia kosovara nell’enclave serba e in alcuni comuni a maggioranza albanese nel nord del Kosovo, durante la quale sono state arrestate una ventina circa di persone.
L’operazione, secondo quanto riferito dalle autorità di Pristina, è stata intrapresa dopo un anno di indagini allo scopo di arrestare alcune persone sospettate di essere coinvolte in contrabbando e in altre attività illecite.
Il governo serbo e i media filogovernativi hanno cercato di presentare l’intervento della polizia kosovara come un attacco diretto contro la popolazione serba del Kosovo e come una sorta di prologo a un attacco contro la Serbia.
L’operazione della polizia kosovara si è svolta mentre a Belgrado era in corso una seduta straordinaria del parlamento serbo in cui si discuteva della questione del Kosovo. La seduta, durata due giorni, è iniziata lunedì 27 maggio con un lungo discorso del presidente serbo Aleksandar Vučić, e l’operazione della polizia kosovara si è svolta nella mattina del 28 maggio.
Vučić si è subito affrettato, durante la seduta parlamentare, ad accusare le autorità kosovare di non aver agito allo scopo di combattere la criminalità organizzata e la corruzione bensì con l’intenzione di intimidire la popolazione serba. Il presidente serbo ha fatto sapere di aver ordinato alle forze armate di innalzare il livello di allerta al massimo grado, aggiungendo che anche il livello di allerta delle forze di polizia serba è stato alzato.
Nella mattinata di martedì 28 maggio i media serbi hanno parlato con insistenza del rischio di uno scontro, ma la tensione ha cominciato ad attenuarsi già nel primo pomeriggio, quando le autorità di Pristina hanno reso noto che l’operazione della polizia era ormai conclusa.
Nel frattempo è emerso che c’è stato uno scambio di informazioni tra le autorità serbe e le forze internazionali presenti in Kosovo. Il giorno dopo l’operazione della polizia kosovara il portavoce della KFOR [forze internazionali a guida NATO], colonnello Vincenzo Grasso, ha dichiarato che le autorità di Belgrado erano state informate in anticipo degli arresti avvenuti martedì e quindi non si trattava di una sorpresa.
“Ieri la situazione era sotto controllo e l’abbiamo monitorata costantemente. Abbiamo avuto un buon scambio di informazioni e siamo stati in contatto con le autorità serbe”, ha dichiarato Grasso all’emittente TV Prva. Il presidente Vučić ha negato quanto detto da Grasso, affermando che le informazioni sull’intervento della polizia kosovara sono arrivate a Belgrado troppo tardi.
Il portavoce della KFOR, dal canto suo, ha smentito le affermazioni di Vučić secondo cui le truppe KFOR avrebbero cercato di intervenire durante l’operazione della polizia kosovara, ma il comandante della KFOR avrebbe impedito loro di farlo.
La procura speciale del Kosovo e la polizia kosovara hanno fatto sapere che sono state arrestate 19 persone – 11 serbi, 4 albanesi e 4 bosgnacchi – tra cui alcuni funzionari di polizia, un capitano e tre sergenti maggiori, e sono stati sequestrati diversi dispositivi elettronici, armi da fuoco e somme di denaro.
Secondo quanto riferito da polizia e procura, durante l’operazione due membri delle forze di polizia kosovara sono rimasti feriti da colpi di arma da fuoco, e altri tre hanno riportato contusioni varie. Sono rimasti feriti anche sei civili che hanno innalzato barricate a Zubin Potok [comune a maggioranza serba nel nord del Kosovo, ndt].
Inoltre, sono stati fermati un membro russo dell’UNMIK [missione delle Nazioni Unite in Kosovo. ndt] e un suo collaboratore che, con un veicolo dell’UNMIK, avrebbero preso parte alla costruzione delle barricate a Zubin Potok dove, secondo quanto riportato dai media serbi, la polizia ha fatto ricorso a un uso eccessivo della forza.
Minacce
La piccola guerra svoltasi “dalla colazione al pranzo” si è perfettamente inserita nello scenario della seduta straordinaria del parlamento serbo dedicata alla questione del Kosovo. Durante la seduta non è stata avanzata alcuna nuova proposta, né sono stati resi noti dettagli su eventuali piani del governo serbo per risolvere la crisi kosovara.
L’unica novità sta nel fatto che il presidente Vučić, nel suo lungo discorso introduttivo, ha descritto con toni foschi le prospettive della Serbia in merito ai negoziati con il Kosovo. Vučić ha ribadito che è inevitabile trovare un compromesso con gli albanesi e che in caso contrario la Serbia sprofonderebbe in rovina, annunciando che gli albanesi del Kosovo a breve potrebbero organizzare un attacco nel nord del Kosovo. A meno di 24 ore dal discorso di Vučić è iniziata l’operazione delle forze speciali della polizia kosovara, confermando così di fatto la previsione di Vučić.
Il presidente serbo ha sfruttato l’intera vicenda per sottolineare la propria posizione patriottica e la prontezza a difendere i serbi del Kosovo qualora gli attacchi nei loro confronti dovessero ripetersi. Vučić ha detto che le forze armate serbe sono pronte a difendere il popolo serbo, e i media filogovernativi hanno prontamente riportato la notizia di presunti movimenti di truppe serbe.
Ma dal momento che l’operazione della polizia kosovara si è conclusa in tempi relativamente brevi, le forze serbe non hanno avuto l’occasione di intervenire, anche se alcuni media e analisti politici vicini al governo di Belgrado hanno suggerito che ciò sarebbe potuto accadere.
La decisione di innalzare il livello di allerta delle forze armate serbe non è stata presa allo scopo di difendere i serbi del Kosovo, bensì per omogeneizzare l’opinione pubblica serba, perché inviare le forze armate serbe in Kosovo sarebbe una mossa estremamente rischiosa che il governo serbo probabilmente non compirebbe mai.
La polizia kosovara, come previsto dall’Accordo di Bruxelles, ha competenza sull’intero territorio del Kosovo, compresi i comuni a maggioranza serba nel nord, e lo stesso vale per le autorità giudiziarie kosovare. Nei casi come la recente operazione della polizia kosovara, le forze armate e di polizia serbe non possono intervenire in quanto non hanno alcuna competenza sul territorio del Kosovo.
Un eventuale ingresso delle forze armate o di polizia serbe nel territorio kosovaro, giustificato con la necessità di difendere la popolazione serba nel nord del Kosovo, sarebbe considerato come un’irruzione in un territorio sotto il controllo formale delle forze internazionali e sarebbe giudicato inaccettabile da Washington e Bruxelles.
Obiettivi
I partiti di opposizione serbi che boicottano il lavoro del parlamento hanno definito i recenti eventi nel nord del Kosovo come l’ennesima farsa, alludendo alla possibilità che si sia trattato di un’azione coordinata tra le autorità serbe e kosovare per fornire l'occasione a Vučić di convincere l’opinione pubblica serba della necessità di trovare un compromesso, ovvero di fare concessioni a Pristina.
Pur non essendoci alcuna prova a sostegno di tali speculazioni, è indubbio che esse attecchiranno in una parte dell’opinione pubblica serba. Inoltre, le reazioni all’operazione della polizia kosovara nell’enclave serba al nord del Kosovo dimostrano chiaramente che i politici serbi, così come l’intera società serba, sono ancora molto restii ad impegnarsi in un vero dialogo sulla normalizzazione delle relazioni con il Kosovo e nella definizione degli obiettivi strategici della Serbia.
Dal discorso di Vučić e dall’andamento della discussione svoltasi nella seduta straordinaria del parlamento serbo si può dedurre che la seduta in questione è stata convocata con un duplice obiettivo: costringere l’opposizione a ritornare in parlamento e far sapere ai cittadini serbi che la Serbia ha praticamente perso il Kosovo e che deve accettare un compromesso, ovvero un accordo con Pristina.
La seduta, infatti, è stata caratterizzata da lunghe e ostinate reiterazioni di posizioni già note e dai tentativi di descrivere la difficile situazione in cui si trova il paese, tutto allo scopo di rafforzare la posizione della coalizione di governo. Non è stata proposta alcuna soluzione concreta, ed è evidente che si è cercato, ancora una volta, di inviare un messaggio all’opinione pubblica serba sulla necessità di raggiungere un accordo con Pristina.
Secondo Vučić, ci sono due possibili scenari per quanto riguarda la questione del Kosovo: la normalizzazione delle relazioni tra Belgrado e Pristina e il congelamento del conflitto. Stando alle sue parole, se dovesse verificarsi questo secondo scenario, gli albanesi potrebbero “scongelare” il conflitto in qualsiasi momento e attaccare i serbi.
Il presidente serbo non ha mai spiegato cosa intende per compromesso, sostenendo di non poter discutere dei dettagli. “Non ha senso andare nei dettagli. Oggi avrei potuto esporre tutti i piani, tutte le mappe, parlare di ogni villaggio e paesino, ma non l’ho fatto perché noi da soli non possiamo decidere niente; decide anche l’altra parte, e ancora di più decidono quelli che incoraggiano l’altra parte a fare tutto quello che ha fatto fino ad oggi”, ha dichiarato Vučić.
Il presidente serbo crede che Pristina non voglia proseguire il dialogo e che questo cambiamento nell’atteggiamento delle autorità kosovare sia una questione di cui dovrebbero occuparsi “i loro mentori occidentali”.