Dopo un decennio di silenzio la società civile serba si risveglia e scende in piazza. Il 25 maggio a Belgrado oltre 10mila persone hanno manifestato contro i silenzi del governo sulla vicenda Savamala
Oltre 10mila persone hanno dimostrato il 25 maggio scorso a Belgrado. Si tratta della più massiccia protesta civica organizzata negli ultimi anni. Il motivo riguarda l'abbattimento di una serie di edifici a Savamala, una zona del centro di Belgrado. In sostanza i cittadini sono preoccupati perché né la polizia né altri organi competenti sono intervenuti per impedire che un gruppo di persone ancora non identificate operassero queste demolizioni.
I fatti
In una zona della città storica, in cui si dovrebbe costruire il nuovo complesso denominato “Belgrado sull’acqua”, nella notte tra il 24 e il 25 aprile una trentina di persone vestite di nero, con mazze da baseball, ha bloccato un'intera area - con edifici non abitati e in parte già cantiere - mentre alcune ruspe demolivano gli edifici che vi sorgevano. Uno dei guardiani notturni dell'area è stato legato e maltrattato, mentre a nessuno veniva permesso di avvicinarsi. Alcuni cittadini hanno richiesto l’intervento della polizia, ma questa non si è presentata per un sopralluogo. Si può quindi affermare che nel momento della demolizione in quella parte di territorio della Serbia è stato sospeso lo stato di diritto e sono state annullate le leggi in vigore.
Le organizzazioni civiche, l’opposizione e le ong hanno reagito duramente a quanto avvenuto, mentre l’ombudsman Saša Janković ha avviato un procedimento di indagine, verificando l'operato della polizia e confermando che gli organismi preposti non hanno agito in accordo con la legge e ordinando infine che gli errori vengano riparati. Il premier Aleksandar Vučić ha dichiarato di non aver letto il rapporto dell’ombudsman, ma ha ordinato di agire in accordo con esso. Contemporaneamente i tabloid e alcuni funzionari di governo hanno iniziato a ordire una campagna contro lo stesso Janković.
Il premier ha a più riprese sottolineato che quelle distrutte sarebbero state costruzioni abusive. Vero solo in parte, perché è emerso che tra gli edifici distrutti ve ne sarebbero sia di abusivi che in regola, rispetto ai quali i proprietari hanno presentato denuncia nei confronti del comune di Belgrado. Vučić ha evitato invece di commentare il fatto che una parte della città è stata distrutta con l’”aiuto” di un’intera orda di gente incappucciata. Una tecnica per spostare l’attenzione dalla domanda cruciale: perché la polizia e gli altri organismi competenti non hanno protetto i diritti dei cittadini e l’ordinamento giuridico?
Dimostrazioni
Per le strade il 25 maggio sono scesi quei cittadini che sono intimoriti dai segnali sempre più evidenti di indebolimento dello stato di diritto e dall’aumento del potere dei partiti e di altri gruppi informali che, con l’accordo tacito o esplicito delle istituzioni, possono imporre le loro volontà e i loro interessi. I cittadini quindi hanno manifestato per paura di un indebolimento dello stato e delle sue istituzioni e per il desiderio di giustizia e di sicurezza.
“In cerca dello stato”, stava scritto su un cartellone portato da due giovani ragazzi durante la manifestazione. Questo messaggio illustra forse al meglio i motivi e i timori dei cittadini che hanno aderito alla manifestazione di protesta. Questi sono sì preoccupati per la distruzione degli edifici, ma ancora di più lo sono per il sospetto che le istituzioni il cui compito, secondo la legge, è di proteggere i loro diritti e la loro sicurezza, al primo posto pongono invece gli interessi di alcuni potenti non ancora identificati.
La maggior parte dei manifestanti erano persone giovani, il che ha sorpreso molti dal momento che vi è una tendenza diffusa a vedere la generazione di giovani come passiva e poco motivata rispetto alla lotta per i cambiamenti sociali. Hanno parlato i rappresentanti delle organizzazioni civili e le associazioni di Belgrado e di altre città, senza una manifesta presenza dei partiti politici. Alcuni funzionari dell’opposizione hanno marciato coi cittadini, ma senza cercare di mettere in mostra il proprio partito di appartenenza.
I manifestanti hanno richiesto le dimissioni dei funzionari del comune, con vigore si è applaudito contro il fascismo, e a volte si è applaudito contro il capitalismo. Nessuna violenza alla manifestazione, e a nessuno hanno dato fastidio le bandiere arcobaleno portate da alcuni giovani. La presenza della polizia è stata più che altro simbolica e limitata alla conduzione del traffico dove si muoveva la colonna di manifestanti.
Cittadini e partiti
La protesta di Belgrado, osservata nella sua interezza, è apparsa come una protesta civile in un qualunque stato democratico, ma ha poco in comune con le attuali circostanze politiche in Serbia. Nella realtà politica, infatti, regna l'insofferenza politica, al posto del dialogo sociale si conducono infinite campagne mediatiche sui tabloid e i partiti di orientamento populista e nazionalista hanno un dominio completo.
Dato questo contesto possiamo spingerci ad affermare che la protesta dei cittadini di Belgrado segni l’inizio del risveglio della società civile serba, che già da un decennio giace in letargo? L’unica risposta possibile è che la protesta indica che una parte di società non è del tutto assopita. Ogni altra conclusione sarebbe pretenziosa, per il fatto che le leve del potere sono sotto stretto controllo di nazionalisti e populisti.
I partiti che sono considerati vicini a chi è sceso in piazza, filoeuropei e filo occidentali, non hanno la capacità né la credibilità per valorizzare una protesta di queste dimensioni. Per fare un confronto, una decina di giorni prima della manifestazione di massa a Belgrado, alcuni partiti hanno chiamato alla protesta nel luogo dove sono stati distrutti gli edifici. Si sono viste solo poche centinaia di persone, per lo più attivisti dei partiti, mentre i cittadini se ne sono rimasti a casa.
Il fatto che alla protesta senza i partiti ci fossero invece oltre 10mila persone è un chiaro messaggio all’opposizione: in sostanza, una buona fetta della popolazione desidera e vuole cambiare la pessima situazione politica e sociale in Serbia, ma è in cerca di una cornice in cui farlo e organizzazioni in cui riporre la propria fiducia.
Il governo
Il blocco di governo, guidato dal Partito progressista serbo (SNS) di Aleksandar Vučić, in questo momento non ha molti motivi di essere preoccupato per la manifestazione. Vučić è sì nervoso perché le proteste minano i suoi sforzi di crearsi un’immagine di leader indiscusso che gode del sostegno dei cittadini, tuttavia è difficile che venga così facilmente messo in discussione il sostegno della stragrande maggioranza degli elettori che lo hanno votato.
Vučić ha appena ottenuto il mandato per la formazione del nuovo governo e nelle prossime settimane sarà impegnato su questo fronte. Sfruttando la dominante influenza sui media, Vučić e i suoi più stretti collaboratori quotidianamente danno in pasto all’opinione pubblica informazioni sui grandi successi economici e sulle prospettive che si aprono alla Serbia. Non c’è alcun dibattito pubblico su questi temi e le critiche all’ottimismo delle stime del governo non riescono a raggiungere tutti gli strati sociali della popolazione.
Per un cambiamento e per una seria rivolta sociale non è sufficiente che una parte considerevole della popolazione sia preoccupata del proprio futuro e della propria sicurezza economica e sociale. La società civile e i gruppi di cittadini possono innescare e incoraggiare questo senso di preoccupazione, ma, almeno per ora, non hanno la capacità di canalizzarlo e di trasformarlo in un movimento forte in grado di far retrocedere il governo.
Le proteste molto probabilmente proseguiranno, resteranno come una sorta di valvola per il crescente malcontento della classe media dei cittadini, finché non si creeranno nuovi gruppi politici in grado di cambiare la società oppure finché gli attuali partiti politici che si dichiarano democratici, civili e filoeuropei non avranno trovato la forza di riformarsi e di tornare ad essere attraenti per la maggior parte degli elettori della classe media.