Con l’intesa raggiunta ieri a Bruxelles tra il premier serbo Ivica Dačić e quello kosovaro Hashim Thaçi, si apre un nuovo capitolo nelle relazioni tra Belgrado e Pristina. La storica svolta potrebbe portare alla Serbia la data di avvio dei negoziati con l’UE già il prossimo 28 giugno
Con la stessa risolutezza con cui hanno lavorato all’accordo sul Kosovo, il premier serbo Ivica Dačić e il primo vicepremier Aleksandar Vučić lavorano alla sua applicazione. Un nuovo e importantissimo passo è stato raggiunto ieri, 22 maggio, a Bruxelles, dove Dačić e il premier kosovaro Hashim Thaçi hanno raggiunto un'intesa di massima sul piano di implementazione dell’accordo. Questa intesa potrebbe consegnare alla Serbia la data di avvio dei negoziati con l’Unione europea. La decisione in merito dovrebbe essere presa il prossimo 28 giugno.
Gli sforzi di Belgrado
Belgrado nelle ultime settimane ha concentrato i propri sforzi per assicurarsi il prezioso appoggio della Germania e convincere gli USA ad agire con la loro influenza sul governo del Kosovo, per far sì che Pristina ammorbidisca le sue posizioni rispetto alla Serbia.
Lo scorso weekend il capo della diplomazia tedesca, Guido Westerwelle, ha fatto visita a Belgrado e ha discusso con i funzionari serbi il piano di applicazione dell’accordo. Westerwelle ha presentato una delle richieste fondamentali: l’eliminazione delle cosiddette strutture parallele serbe nel nord del Kosovo. Westerwelle è stato accolto e seguito con grande ottimismo, il che può essere interpretato come segno che la Serbia ha accettato le condizioni chiave che sono state poste sul tavolo.
Il fatto che Dačić e Thaçi abbiano raggiunto un’intesa di principio sul piano di applicazione dell’accordo di Bruxelles indica che la parte serba ha dato delle garanzie, e che Pristina e Belgrado si stanno dirigendo seriamente, grazie all’accordo stesso, verso la soluzione dei problemi. Le due parti entrano così in una nuova fase di relazioni durante le quali, con la supervisione della comunità internazionale, cercheranno per quanto possibile di normalizzare i rapporti reciproci. Questo, si crede a Belgrado, dovrebbe essere più che sufficiente per far sì che i paesi dell’UE decidano positivamente sulla data di avvio dei negoziati con la Serbia.
Ora l’accordo raggiunto dai due premier dovrà essere confermato dai rispettivi governi. Il gabinetto di Dačić potrebbe farlo senza indugio, dal momento che tutti i partiti al governo sono fortemente coinvolti nello sforzo di voltare pagina nelle relazioni con il Kosovo. Al governo resta da superare la resistenza dei serbi di orientamento radicale del nord Kosovo che si oppongono all’accordo con Pristina, e di resistere alle pressioni dei partiti di opposizione di matrice nazionalista, cosa che potrebbe riuscire a fare senza troppe difficoltà.
I serbi del Kosovo ammorbidiscono le loro posizioni
Il giorno stesso in cui Westerwelle era a Belgrado, è arrivata anche la delegazione di serbi del Kosovo i cui membri si sono comportati in modo molto più accomodante rispetto alle precedenti visite. Questi hanno precisato apertamente che non impediranno l’applicazione dell’accordo, il che dovrebbe significare che non ci saranno più barricate, dimostrazioni violente e azioni simili che sarebbero di forte impedimento a Belgrado. I partiti di opposizione contrari all’accordo forse cercheranno di organizzare delle proteste a Belgrado, ma sono troppo deboli per poter far oscillare il blocco di governo e distruggerne la credibilità agli occhi degli elettori.
Con l’ammorbidimento della retorica dei serbi del Kosovo è stato superato anche l’ultimo dei pericolosi ostacoli verso l’applicazione dell’accordo con Pristina, e con ciò verso l’ottenimento della data di avvio dei negoziati con l’UE. L’esecutivo serbo ha dimostrato ancora una volta che, almeno per quel che riguarda il Kosovo, la sua svolta politica in direzione dell’euro-integrazione non è affatto un manovra momentanea ma bensì un orientamento definitivo.
Forti della data di avvio dei negoziati, Vučić, Dačić e il presidente serbo Tomislav Nikolić potranno tranquillamente analizzare la situazione e decidere se andare ad elezioni anticipate in autunno, oppure procedere ad un rimpasto di governo, oppure ancora rinforzare le posizioni attuali.
Il problema maggiore nei colloqui sull’applicazione dell’accordo di Bruxelles era il timing per la formazione dei nuovi organi locali serbi che dovrebbero essere scelti secondo le leggi kosovare. Belgrado ha insistito sul fatto che gli attuali poteri locali non si cambiano finché non si terranno nuove elezioni, mentre Pristina aveva chiesto di ottenere subito l’ingerenza su tutto il territorio del Kosovo e in seguito organizzare le elezioni. A giudicare dalle dichiarazioni fatte al termine degli incontri tra Dačić e Thaçi, Pristina avrebbe ceduto.
I funzionari serbi avevano sollevato questo problema anche prima dell’inizio del nuovo round negoziale tra Dačić e Thaçi a Bruxelles, affermando che Pristina desidera far passare dalla “porta di servizio” elementi che non sono presenti nell'accordo. Il Kosovo ha provato a giocare sul fatto che la Serbia ha fretta, perché non può sperare di ottenere la data di avvio dei negoziati con l’UE senza garanzie chiare sull’applicazione dell’accordo, e il giorno in cui i paesi UE devono decidere sulla data si è ormai avvicinato. Questo tentativo, a quanto pare, non è riuscito, quindi Dačić può dire all’opinione pubblica locale di essere stato un negoziatore di successo.
28 giugno, tra passato e presente
Il giorno in cui dovrebbe essere presa la decisione sulla data di avvio dei negoziati con l’UE, il 28 giugno, è una data storica e assai significativa per i serbi. In quel giorno nel 1389 la Serbia medievale perse la battaglia decisiva contro i turchi in Kosovo. Lo stesso giorno, nel 1914, Gavrilo Princip uccise l’arciduca Ferdinando a Sarajevo, fatto che diede inizio alla Prima guerra mondiale e al conflitto aperto tra la Serbia e la molto più potente monarchia austroungarica.
La data di cui stiamo parlando è anche fortemente legata alla nuova storia della Serbia e del Kosovo, perché in quel giorno nel 1989 iniziò l’ascesa di Slobodan Milošević, l’uomo che gettò le basi politiche per la riduzione dell’autonomia di cui godeva il Kosovo. La sua politica partiva dalla posizione secondo la quale il Kosovo è parte inalienabile della Serbia e solo le istituzioni serbe vi possono avere legalità e legittimità. Persino dopo l’intervento della NATO e l’ingresso delle forze di sicurezza internazionali in Kosovo, Belgrado non rinunciò a questa politica, ribadendo che la Serbia è uno stato internazionalmente riconosciuto con il Kosovo come sua parte.
Oggi l’atteggiamento di Milošević sul Kosovo è patrimonio degli ultranazionalisti guidati dall’extraparlamentare Partito radicale serbo e dal partito conservatore DSS (Partito democratico della Serbia) dell’ex premier Vojislav Koštunica. Considerando che l’eventuale ottenimento della data di avvio dei negoziati con l’UE significa che la Serbia ha fornito convincenti garanzie che rispetterà l’accordo con Pristina, il 28 giugno di quest’anno potrebbe significare simbolicamente anche la fine ultima di quella politica che quasi 25 anni fa, con autorità e influenza, aveva iniziato a costruire Milošević.
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