Boris Tadić

Boris Tadić (foto St. Gallen Symposium / flickr)

C’è profonda insoddisfazione a Belgrado per il parere della Corte di giustizia internazionale sull’ indipendenza del Kosovo. Una doccia fredda per il governo serbo. Che però rilancia la battaglia diplomatica. Con una risoluzione indirizzata all’Assemblea generale dell’Onu

28/07/2010 -  Petra Tadić Belgrado

Con 192 voti a favore, 26 contrari e 2 astenuti il Parlamento serbo ha accolto la Risoluzione del governo sul Kosovo. Dopo dodici ore di dibattito parlamentare, a favore della mozione hanno votato la maggioranza, il Partito serbo per il progresso (SNS), Nova Srbija (NS) e il Partito radicale (SRS). Contrari: il Partito democratico della Serbia (DSS) e quello liberale democratico (LDP).

Dopo la lettura del parere consultivo della Corte di giustizia internazionale (CIG) in cui si dice che la dichiarazione di indipendenza di Pristina non viola le norme del diritto internazionale, in Serbia si è ricominciato alla grande a discutere di Kosovo. Per le forze di maggioranza, il parere dell’Aja è stato una doccia fredda, per l’opposizione un “asso nella manica” per criticare il governo, per i giuristi e gli analisti, benché attesa, una nuova sfida nazionale.

Fin dalle prime reazioni, i membri del team negoziale serbo, così come la maggior parte dei politici e degli esperti, hanno espresso grande insoddisfazione perché la Corte non si è occupata della questione cruciale, limitando invece il parere ad una pura questione tecnica.

La presa di posizione del team che ha condotto la “battaglia” davanti alla Cig, convincendo l’opinione pubblica nazionale che sarebbe stata la miglior mossa politica, in grado di aprire nuovi negoziati sullo status del Kosovo, oggi è sul banco degli imputati. Ma va segnalato che non erano state sollevate polemiche prima della presentazione della richiesta alla Corte.

Il ministro degli Esteri Vuk Jeremić e il team legale incaricato hanno insistito sul fatto che per Belgrado, nell’ottica di una politica di tutela dell’integrità territoriale e della sovranità con mezzi diplomatici e pacifici, era di importanza capitale il parere della Corte. Una posizione, questa, presentata per mesi come una battaglia che la Serbia non avrebbe potuto perdere perché dalla sua c’erano il diritto e molti argomenti giuridici. Per giorni l’atmosfera è stata rovente. I media anticipavano che il parere della Corte sarebbe stato positivo per la Serbia e che tutto segnalava un'imminente vittoria. Erano state già annunciate le prossime mosse governative, e per lo più si parlava della soluzione del problema kosovaro con nuovi negoziati.

Poi, l’(in)atteso schiaffo dall’Aja. Alla domanda: “la dichiarazione unilaterale di indipendenza da parte delle istituzioni amministrative temporanee in Kosovo è in accordo con il diritto internazionale?”, la Corte ha risposto che “la dichiarazione d’indipendenza non viola il diritto internazionale”. Dunque il collegio delle toghe Onu, presieduto da Hisashi Owada, non ha voluto occuparsi di secessione, perché questo non le era stato richiesto dall’Assemblea generale dell’Onu. La Corte ha lasciato la questione “secessione”, in quanto questione politica, alla futura discussione dell’Assemblea generale dell’Onu, variante che in Serbia nessuno aveva immaginato.

Il parere della Corte ha innescato una serie di discussioni nazionali: la domanda serba era davvero ben formulata e precisa? La richiesta di un parere alla Corte non è stata fin dall’inizio un passo falso? E non si poteva pensare di denunciare tutti quegli Stati che hanno riconosciuto la dichiarazione unilaterale di indipendenza di Pristina?

“La Corte ha evitato di pronunciarsi su quelle questioni su cui esistono posizioni contrastanti, non ha detto se è più forte l’autodeterminazione o l’integrità territoriale. Non ha nemmeno definito i criteri secondo i quali un popolo può autodeterminarsi. Tutto ciò è stato elegantemente evitato. E dall’altra parte la Corte si è limitata a risolvere una questione molto delicata e concreta: il ruolo del Kosovo dopo la risoluzione 1244 dell’Onu”, ha spiegato alla radio B92 Vojin Dimitrijević, ordinario di diritto internazionale.

Il giorno seguente al pronunciamento della CIG la Serbia ha inviato i propri emissari in circa 50 Paesi, con un messaggio del presidente della Repubblica Boris Tadić. Obiettivo: impedire una nuova ondata di riconoscimenti dell’indipendenza kosovara. L’opinione pubblica non è al corrente del contenuto del messaggio, ma è certo che la “lotta” continuerà all’Assemblea generale dell’Onu, prevista per l’inizio di settembre.

Sulla mozione Kosovo, formulata dal governo, lo scorso 26 luglio hanno dibattuto e votato i parlamentari, alla presenza del premier, dei ministri e del presidente Tadić. Ai deputati si è rivolto per primo Dušan Bataković, capo del team legale serbo: ha valutato che il parere della Corte è senza dubbio un insuccesso giuridico per la Serbia. Ma che, se pure la Corte ha cercato di trarsi d’impaccio dai nodi politici, di sicuro non lo ha fatto ad arte.

Il ministro Jeremić ha ribadito che il parere della Corte non rappresenta certo la fine delle attività diplomatiche serbe, anche se la situazione ora si fa difficile perché ci sono già 55 Paesi pronti a riconoscere l’indipendenza del Kosovo. Per questo - Jeremić ha annunciato - Belgrado presenterà una risoluzione all’Assemblea generale dell’Onu.

Al termine del dibattito parlamentare, il presidente Tadić ha risposto alle numerose critiche dei deputati. I negoziati sono l’unico modo di trovare una soluzione stabile per il Kosovo, ha sostenuto Tadić. E soprattutto, la Serbia non andrà al confronto diretto con le grandi potenze: “non è il tempo del grande patriottismo, ma delle grandi azioni”, ha precisato Tadić, rilanciando che la Serbia non riconoscerà mai l’indipendenza di Pristina.

Rispondendo alle censure di chi suggeriva che bisognerebbe denunciare quegli Stati che hanno riconosciuto la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, Tadić ha affermato che non sarebbe una buona strada perché le gradi potenze la interpreterebbero come un attacco frontale alla loro politica. “Noi senza integrazione nella UE non possiamo progredire e non possiamo difendere l’integrità del Kosovo e Metohija, così come non potremmo farlo senza le buone relazioni con gli Stati Uniti, la Russia e la Cina”, ha ricordato.

Il presidente della Serbia ha risposto anche alla richiesta dell’opposizione che chiedeva le dimissioni del ministro degli Esteri Vuk Jeremić. “L’idea di rivolgersi alla Corte è sorta nel mio ufficio, Jeremić ha reso quell’idea operativa, e con grande energia” ha rivendicato Tadić.

Infine Tadić ha convinto i deputati che non ci sono negoziati e soluzioni segrete per il Kosovo. “Non nascondiamo niente ai nostri cittadini. Ho detto ripetute volte che il Kosovo è più vicino all’indipendenza che a rimanere nella Serbia, ma ciò non significa che non abbiamo il diritto di proseguire la nostra battaglia”, ha concluso il presidente.

La Risoluzione adottata dal Parlamento richiama all’unità nazionale e annuncia l’impiego di tutti i mezzi diplomatici a disposizione al fine di mantenere l’integrità e la sovranità. “Il Parlamento ritiene che sia necessario, con negoziati pacifici, giungere ad una soluzione stabile, sostenibile e accettabile per il Kosovo e Metohija, in accordo con la Costituzione della Repubblica della Serbia, che renderà possibile una pacificazione storica tra il popolo albanese e serbo, così come la pace e la stabilità della regione. Il Parlamento appoggia il governo nel processo di presentazione della risoluzione presso l’Assemblea generale dell’Onu, la cui adozione aprirebbe la strada ad una soluzione di compromesso, tramite negoziati, per il Kosovo e Metohija”, recita il testo della Risoluzione adottata dall’aula. La Serbia dunque non riconoscerà mai la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo, e considera nulle tutte le decisioni degli organi di amministrazione temporanea.

La prossima sfida ora sarà in Assemblea generale dell’Onu. Ancora non si sa se la Serbia proporrà una Risoluzione autonomamente o con l’aiuto, come si vocifera, dell’Unione europea.

L’analista politico Dušan Janjić ritiene che sia ormai tempo di cambiare la politica serba verso il Kosovo. Janjić crede che la Serbia dovrebbe sfruttare i segnali che giungono da Bruxelles e produrre insieme all’Ue il testo della Risoluzione, in modo da assicurarsi un buon sostegno in sede di discussione Onu.

Per ora comunque a Belgrado non ci sono segnali che indichino imminenti mosse clamorose nel confronto diretto con gli Stati che hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo.