Dušan Makavejev (foto Anefo/wikimedia)

Dušan Makavejev (foto Anefo/wikimedia )

In occasione del primo anniversario della morte di Dušan Makavejev (1932-2019), uno sguardo alla vita e all’opera di questo grande cineasta serbo, jugoslavo ed europeo

06/04/2020 -  Božidar Stanišić

Durante la mia permanenza in Italia, che dura ormai da parecchi anni, non ho mai smesso di leggere articoli e saggi dedicati al regista Dušan Makavejev, spentosi a Belgrado nel gennaio dell’anno scorso. La notizia della sua morte è rimbalzata nell’intero mondo del cinema; nelle rubriche culturali dei più importanti giornali europei e statunitensi [1] sono apparsi articoli dedicati alla vita e all’opera di questo regista che è presente in tutte le enciclopedia del cinema; i più importanti cineasti internazionali gli hanno reso omaggio; si sono susseguite molte iniziative in suo onore [2] in Serbia, e non solo.

Makavejev, un buco nell’anima

Dopo la Rivoluzione d’ottobre e la guerra civile russa, un’ondata di emigrati russi si riversò nel Regno di Jugoslavia, e soprattutto in Serbia e a Belgrado. Per decine di migliaia di emigrati russi Belgrado rappresentò solo un punto di passaggio nel loro viaggio verso altri paesi, come la Francia, l’Inghilterra, gli Stati Uniti… Ma per tanti altri la capitale serba divenne la destinazione finale. Tra quelli che scelsero di rimanere a Belgrado c’era anche Sergej Makavejev. Dal suo matrimonio con Jelka Bojić, la prima donna in Jugoslavia laureata in veterinaria, nacque Dušan.

Nel suo film “A Hole in the Soul” [Un buco nell’anima], un documentario autobiografico tipico del suo stile, Dušan Makavejev racconta (in inglese): “Sono nato in una via intitolata ad un re medievale che sposò una principessa di cinque anni, accecò il padre e uccise il fratello…”. (Il poeta Raša Popov, amico del regista, sostiene che Makavejev sia nato nove anni prima della nascita di Mickey Mouse, quindi nel 1932, in via Kralja Milutina).

Makavejev si laureò in Psicologia alla Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado. Durante gli studi conobbe l’opera dello psicoanalista tedesco Wilhelm Reich, il più grande sostenitore dell’amore libero, che nel 1939 fuggì dalla Germania. Negli anni Cinquanta le tesi di Reich sulla sessualità e sulla società furono duramente condannate negli Stati Uniti, dove lo psicoanalista aveva trovato rifugio dopo la fuga dalla Germania.

Makavejev avvertì ben presto “il miracolo e la magia del cinema”. Attratto dal rumore della telecamera a mano, cominciò a frequentare il Kino club di Belgrado, dove si riunivano giovani cineasti anticonformisti. Nel 1955 si iscrisse all’Accademia di Cinema e Teatro. Dopo alcuni documentari amatoriali, realizzò un breve film intitolato “Antonijevo razbijeno ogledalo” [Lo specchio rotto di Antonije], premiato al Festival del cinema amatoriale di Cannes nel 1957, che gli spianò la strada per una carriera professionale di successo. In quel periodo Makavejev subì anche l’influenza degli esponenti della Nouvelle Vague francese, e soprattutto di Sergej Ejzenstejn, padre del montaggio cinematografico. Continuò a girare documentari provocatori, ma fu solo con il suo primo lungometraggio intitolato “Čovek nije tica” [L’uomo non è un uccello] del 1965 che riuscì ad attirare l’attenzione di un pubblico più vasto. Il film sconvolse l’establishment del Partito comunista jugoslavo con il suo messaggio: in una società autoritaria è vietato volare. Makavejev era membro del Partito, era uno di quei giovani che credevano che un comunismo dal volto umano che rispettasse le libertà fosse meglio di un comunismo del tutto privo di umorismo.

Con il passare degli anni, per Makavejev il cinema divenne sempre di più un mezzo per criticare un’ideologia i cui valori fondanti iniziarono a sgretolarsi già verso la fine della Seconda guerra mondiale. Tra i tanti documentari di Makavejev il mio preferito è “Parada” [Parata] del 1962. Per evitare che questo mosaico cinematografico pieno di umorismo, che ironizza sulla Parata del primo maggio, venisse “messo nel bunker” [con questa espressione viene indicato il metodo di censura messo in atto dal regime jugoslavo, che consisteva nel bloccare la circolazione di un film, senza però vietarlo formalmente], Makavejev decise di tagliare una scena in cui una donna rom vuole leggere la mano a Tito che sta scendendo da un’automobile.

Il suo film “Ljubavni slučaj ili tragedija službenice PTT” [Un affare di cuore o tragedia di un’impiegata delle Poste] segnò la nascita del Crni talas serbo e jugoslavo [3], un movimento cinematografico che affrontò la realtà socialista da una prospettiva anticonformista. In una scena del film, diventata ormai leggendaria, la protagonista, interpretata da Eva Ras, è distesa sul letto, completamente nuda: è il primo nudo integrale della storia del cinema jugoslavo. Sul corpo bianco della donna c’è un gatto nero.

Nel film “Un buco nell’anima” – in cui il regista parla senza reticenza di sé, del comunismo, del capitalismo, della sua città natale ormai preda dell’euforia nazionalista – Makavejev “supera” tutte le sue opere realizzate prima del 1971, compreso il film “Nevinost bez zaštite” [Verginità indifesa] del 1968. “Un buco nell’anima” ci getta subito in medias res: scopriamo il motivo per cui Makavejev “ricevette un biglietto del treno” di sola andata. I censori jugoslavi non riuscirono infatti a digerire il suo film “Misterije organizma – W.R” [I misteri dell’organismo] del 1971 [4]. Il film ovviamente non venne presentato al festival di Pola di quell’anno (nonostante avesse ottenuto una menzione speciale al Festival di Cannes), ma l’anno successivo Makavejev lo presentò a Trieste, prima di proseguire il suo viaggio verso la Francia, dove presto lo raggiunse la moglie Bojana “con le lenzuola, un vecchio ferro da stiro a vapore, le scarpe in tessuto batik e le tazzine da caffè”.

Il metodo di censura messo in atto dal regime jugoslavo era ben noto: il regime non dichiarò indesiderati tutti quelli che avevano partecipato alla realizzazione del film “I misteri dell’organismo”, scagliandosi solo contro il regista, mentre alcuni attori furono messi sulla lista nera, per dare un esempio agli altri artisti, affinché correggessero il loro modo di pensare.

Bojana e Dušan hanno poi conservato l’elenco di oggetti per “l’esportazione temporanea” regolarmente timbrato dalla dogana jugoslava.

In quegli anni solo i cittadini dei paesi occidentali ebbero l’opportunità di vedere “I misteri dell’organismo”, che muove una critica non solo al comunismo ma anche al capitalismo (la prima parte del film parla della persecuzione a cui fu sottoposto Wilhelm Reich negli Stati Uniti, quindi in un paese democratico). Consentire ai cittadini jugoslavi di vedere un film del genere sarebbe stato “troppo” rischioso. I censori – i rompiscatole, come li chiamava Makavejev – non capirono, o non vollero capire, l’atteggiamento del regista nei confronti della rigidità delle vedute ideologiche sul sesso e sulla libertà. Makavejev, già condannato dai media per “pornografia”, venne estromesso dal partito.

In una scena indimenticabile del film “I misteri dell’organismo”, girata in un laboratorio di medicina legale, la testa mozzata di Milena Dravić pronuncia un monologo – breve ma indimenticabile – sul comunismo e sull’amore libero, contrapposti al fascismo e alla repressione sessuale. Il monologo si conclude con una provocazione, cioè con una frase pronunciata da Tito durante un processo penale svoltosi prima della Seconda guerra mondiale: “Compagni, non mi vergogno del mio passato comunista nemmeno oggi!”.

Makavejev, il periodo occidentale

Dopo la censura del film “I misteri dell’organismo” iniziò la seconda fase, quella occidentale – e in un certo senso capitalistica – della produzione cinematografica di Dušan Makavejev. I censori comunisti rimasero in Jugoslavia, mentre Makavejev se ne andò in Occidente, dove conobbe diversi produttori, la piramide dell’organizzazione cinematografica e vari “sistemi” usati per esercitare influenza sugli artisti cinematografici allo scopo di generare profitto. Tuttavia, Makavejev riuscì ad attirare l’attenzione di quelli che non si aspettavano di guadagnare milioni con un film. Il suo “Sweet movie” (1974) fu finanziato da produttori francesi, tedeschi e canadesi; “Montenegro” (1982) dagli svedesi; “Coca-Cola kid” (1984) dagli australiani; “Manifesto” (1988) da americani e (finalmente) jugoslavi; “Gorila se kupa u podne” [Il gorilla fa il bagno a mezzogiorno, 1993] da produttori tedeschi e belgradesi. Ma viene da chiedersi quale Makavejev sia più convincente, quello jugoslavo o quello occidentale? Io ho già una risposta, ma lasciamo parlare gli esperti.

Lo stesso Makavejev, nel suo film “Un buco nell’anima”, affronta questa questione in modo sintetico e provocatorio. In una scena del film, girata a Los Angeles, Makavejev osserva un grande poster del film “L’ultimo grande eroe” con Arnold Schwarzenegger nel ruolo principale. Il film aveva deluso le aspettative, i produttori erano rimasti a tasche vuote. “Come si fa a distinguere il lato giusto dello schermo da quello sbagliato?”, si chiede Makavejev. Possiamo solo intuire la sua risposta.

Gli ultimi giorni belgradesi

Nell’autunno 2018 Makavejev – che viene menzionato in tutte le enciclopedie del cinema, non solo come un oppositore del regime socialista, ma anche, e soprattutto, come un cineasta che, con il suo metodo creativo, ha dato un grande contributo al cinema jugoslavo, europeo e mondiale del XX secolo – è stato insignito del titolo di dottore di ricerca honoris causa dalla Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado. “Ormai da qualche tempo sono circondato da dottori, ora finalmente posso parlare con loro da una posizione paritaria. […] Non ho ancora capito del tutto cosa significhi essere un artista, e ancor meno un dottore-artista, ma in ogni caso, grazie!”, ha dichiarato in quell’occasione Makavejev con un inevitabile sorriso. Un sorriso che potrebbe facilmente indurre quelli che non conoscono l’opera di Makavejev a pensare che a pronunciare quella frase sia stato un vecchietto a cui piaceva scherzare anziché “una delle figure più sovversive della storia del cinema moderno”.

Makavejev amava gli animali, e nell’ultima fase della sua produzione artistica era particolarmente appassionato di gorilla. Diceva che erano impressionanti, come se fossero degli accademici! (Un paragone per niente casuale.) Il sovversivismo è sinonimo di eresia, giusto? E l’eresia è l’essenza dell’atto creativo, non solo nell’arte cinematografica.

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In una scena del film “Un buco nell’anima” Makavejev e il suo amico Vlada Mijanović parlano con un buddista in un parco in California.

Vlada: Il mio amico… Ha perso la sua anima… Il suo corpo è qui, ma ha perso l’anima.

Buddista: Dove l’ha persa?

Vlada: In un paese chiamato Jugoslavia.

Buddista: Quel posto esiste ancora?

Vlada: Uhm… Poniamo questa domanda…

Buddista: Ve la ponete a voi stessi?

Vlada: Forse sì, forse no. Chi lo sa…

Makavejev: Non siamo nemmeno sicuri che sia mai esistito.

Buddista: Dimmi, lui ha perso la sua anima come se fosse una vecchia scarpa?

Vlada: Si potrebbe dire così…

Buddista: Dimmi, come ti chiami?

Makavejev: Dušan

Buddista: Cosa significa Dušan?

Makavejev: Significa duša… [termine serbo che significa anima]

Buddista: Il tuo nome è la tua anima?

Makavejev: Sì, il mio nome è con me, ma la mia anima è da qualche altra parte.

 

[1] “Il signor Makavejev era, come ha scritto The Nation, ‘la stella più brillante del cielo avanguardista’ dei primi anni Settanta, grazie ai suoi film ‘Čovek nije tica’, ‘Nevinost bez zaštite’ e soprattutto ‘WR: Misterije organizma’, un film audace, diventato il grande favorito al Festival di Cannes del 1971”, si leggeva in un articolo apparso sul New York Times dedicato a Makavejev, i cui film sono intrisi di “politica, sesso e metafore”.

[2] Il Festival internazionale del cinema di Belgrado 2019 ha reso omaggio a Makavejev con la proiezione del documentario “Slučaj Makavejev ili Proces u bioskopskoj sali” [Il caso Makavejev o Processo in una sala cinematografica] di Goran Radovanović, presentato anche al Trieste Film Festival 2020. Il Festival internazionale del cinema di Salonicco 2019 ha omaggiato Makavejev grande regista con una retrospettiva dei suoi lungometraggi intitolata “Omaggio al grande anarchico del cinema jugoslavo”.

[3] Secondo alcuni storici del cinema, il primo film del Crni talas è “Grad” [La città], un omnibus cinematografico realizzato nel 1963 da Marko Babac, Živojin Pavlović e Vojislav Rakonjac Kokan, che finì subito nel bunker. Tra i 431 film realizzati in Jugoslavia fino al 1973 “Grad” è l’unico ad essere stato formalmente vietato [con una sentenza emessa da un tribunale di Sarajevo].

[4] W.R. ha un duplice significato: Wilhelm Reich e World Revolution, cioè la Rivoluzione mondiale. In Jugoslavia il film fu presentato al pubblico per la prima volta solo nel 1986.

[5] In un’intervista rilasciata negli anni Ottanta al quotidiano britannico The Independent, Makavejev ha dichiarato che gli sarebbe piaciuto realizzare un seguito del film “W.R.” in cui “la testa di Milena, la protagonista che alla fine del primo film viene decapitata dal suo amante, le viene ricucita al collo dai chirurghi; lei partorisce tre gemelli, e questi bambini poi vanno in Russia di Michail Gorbačëv per visitare il paese del loro padre”.