"Ebrei a Belgrado" (1521-1942) di Čedomila Marinković è una breve guida attraverso la storia, la cultura e i costumi degli ebrei di Belgrado dalla loro immigrazione all'inizio del XVI secolo sino al telegramma del comando tedesco inviato da Belgrado a Berlino nel giugno 1942: Serbia ist Judenrein (la Serbia è senza ebrei)
Con questo libro da leggere e guardare, pubblicato nel 2020 (in due lingue, serbo e inglese) nella collana Ovako se živelo [Si viveva così] del Centro creativo di Belgrado [1], Čedomila Marinković è riuscita a far stare cinque secoli di vita e cultura degli ebrei belgradesi in sole trentadue pagine, arricchite da un cospicuo materiale illustrativo sapientemente selezionato. Una vera e propria impresa!
Un’impresa in cui può riuscire solo chi, oltre a conoscere perfettamente l’argomento trattato, è molto modesto. Non credo infatti che uno di quei baroni universitari accetterebbe di rivelare tutto quello che sa in sole trentadue pagine. Ed è per questo che nell’impresa di Čedomila Marinković intravedo quella profonda saggezza che caratterizza le culture dell’Estremo Oriente, dove il mondo intero si rispecchia in una goccia di rugiada.
Il libro è rivolto agli studenti delle scuole superiori, ma anche a tutti i lettori che vogliono scoprire qualcosa di più sugli ebrei a Belgrado e in Serbia, quindi sui nostri vicini di casa di cui ormai non è rimasta più (quasi) alcuna traccia. Ovviamente, è rivolto anche a tutti quelli che riflettono sulla possibilità che il più grande e più efferato crimine della storia dell’umanità cada nell’oblio (da qualche tempo ormai mi imbatto in interrogativi sollevati dai superstiti dell’Olocausto che parlano di un domani, tutt’altro che impossibile, in cui i negazionisti e i revisionisti prenderanno il sopravvento).
Sì, questo piccolo libro è rivolto a tutti, ebrei e no.
Oggi a Belgrado vivono circa 3.500 ebrei. Nel 1941 ve n’erano 12.000 e in tutto il Regno di Jugoslavia circa 80.000. Solo un ebreo jugoslavo su undici sopravvisse all’Olocausto.
Stando ad alcune recenti ricerche, nei territori serbi occupati dai nazisti vivevano 33.579 ebrei, dei quali 27.024 (80,48%) persero la vita durante la guerra. Se si considerano anche i circa 12.000 ebrei fuggiti dall’Europa centrale che si recarono in Serbia in cerca di salvezza, si giunge alla conclusione che dei 34.779 ebrei che tra il 1941 e 1945 vivevano in Serbia ne sopravvissero solo 6.555.
Conclusa la guerra, molti dei sopravvissuti si trasferirono in quello che di lì a poco sarebbe diventato lo stato di Israele. Prima di andarsene, nella Belgrado liberata assistettero alla distruzione, anziché alla ricostruzione delle sinagoghe. L’emigrazione silenziosa degli ebrei jugoslavi proseguì per tutto il periodo comunista, ma anche durante gli anni Novanta, quando gli ebrei iniziarono ad emigrare anche verso altri paesi. Quelli che decisero di rimanere si riunivano intorno alle comunità e associazioni ebraiche che ancora oggi esistono in tutte le principali città della regione ex jugoslava. In Serbia, oltre a quella belgradese, le comunità ebraiche esistono anche a Novi Sad, Subotica, Pančevo, Zrenjanin, Kikinda, Sombor, Zemun e Niš.
Il libro di Čedomila Marinković ci offre uno sguardo suggestivo e, nonostante la brevità del testo, completo sui cinque secoli di vita degli ebrei a Belgrado, ma anche sui loro legami con la cultura serba e con i centri commerciali e culturali europei. Credo che molti lettori saranno sorpresi di scoprire che in Serbia, oltre ai sefarditi e ashkenaziti, vivevano anche gli ebrei romanioti.
“[I romanioti] sono quegli ebrei che vivevano nel territorio dell’Impero romano, e poi di quello bizantino. Fino alla Seconda guerra mondiale vivevano in Grecia – oggi ne è rimasta solo una trentina a Giannina. Parlavano la lingua ievanica. Anche loro furono annientati durante la Seconda guerra mondiale. Si suppone che a Belgrado vivessero anche prima dell’arrivo dei sefarditi nel Cinquecento. Per quanto ne sappiamo, l’ultimo romaniota belgradese fu Matatja Levi, filantropo, che donò una somma di denaro per la costruzione della Casa comunale. Morì all’inizio del Novecento”, ha spiegato Čedomila Marinković in un'intervista rilasciata al quotidiano belgradese Danas.
Nel libro di Čedomila Marinković la storia degli ebrei belgradesi è presentata in modo conciso e chiaro. Ci sono tutte le informazioni importanti, dai primi dati sulla presenza degli ebrei a Belgrado fino ad un telegramma del comando tedesco risalente a giugno 1942, con cui Belgrado e la Serbia venivano dichiarati judenrein (puliti dagli ebrei). Gli ebrei belgradesi finirono nei lager di Staro Sajmište (Judenlager Semlin, l’unico campo di concentramento in Europa ad essere esplicitamente chiamato “ebraico”), Banjica, Crveni krst, Topovske šume, e alcuni furono fucilati a Jajinci e Zasavica. Molti morirono nelle cosiddette dušegupke, un’invenzione del Genio del Male (per chi volesse saperne di più, consiglio il romanzo Goetz e Meyer di David Albahari, un romanzo documentario che – almeno questa è la mia impressione – l'autore scrisse seguendo la voce della memoria).
Il libro si apre con le informazioni sulle prime tracce della presenza degli ebrei nel territorio dell’odierna Belgrado, contenute in una lettera di Hasdāy Ibn Shaprūt, dignitario alla corte del califfo ‘Abd al-Rahmān III a Cordoba, inviata nel 950 al khan dei chazari. Seguono poi le informazioni sull’insediamento degli ebrei, la costruzione delle sinagoghe, la deportazione a Osijek e Mikulaš all’epoca delle conquiste di Eugenio di Savoia, il ritorno degli ashkenaziti nella prima metà del Settecento, la persecuzione e la conversione forzata nella Belgrado dei Karađorđević (“qualcuno” ne rimarrà sorpreso), l’atteggiamento favorevole del principe Miloš Obrenović verso la presenza degli ebrei, l’arrivo di molti ebrei a Belgrado dopo essere stati cacciati da Smederevo, Šabac e Požarevac, l’apertura di una scuola elementare ebraica a Belgrado nel 1860, la persecuzione nel 1861, poi il ritorno e la rinascita della cultura ebraica, i diritti garantiti dalla costituzione serba, il rafforzamento degli ideali civili all’interno della comunità ebraica, la partecipazione alle guerre combattute dalla Serbia nel periodo 1912-1918, un periodo in cui gli ebrei iniziarono a sentirsi e presentarsi come serbi di fede di Mosè…
Inoltre, vi è il materiale illustrativo, a cui ho accennato prima, presentato in modo sobrio e discreto. Un materiale molto interessante che ci spiega, in una lingua del tutto peculiare, come sono andate le cose. Le illustrazioni suggestive di Siniša Brajović si intrecciano con una serie di fotografie custodite in alcuni musei e collezioni private. Il challah, pane ebraico dello Shabbat, rappresentato in una delle fotografie incluse nel libro, è stato fatto dall’autrice stessa.
“Nonostante il libro contenga poche illustrazioni, dietro a ciascuna di esse c’è molto impegno e, sul piano visivo, rappresentano il risultato delle scoperte scientifiche riguardanti determinati temi. Abbiamo fatto una ricostruzione di un tipico kurtižu sefardita, ossia del cortile in cui vivevano le donne sefardite a Jalija [quartiere di Belgrado un tempo abitato esclusivamente da ebrei, parte dell’odierno quartiere di Dorćol]. Ci sono molti dettagli: le donne e le ragazze cucinano, preparano la pasta, setacciano la farina, separano gli alimenti – tutto quello di cui poi si parla nel capitolo sul cibo; i bambini giocano, le donne anziane cantano le antiche romanze sefardite, in fondo si vede una porta, come quella che collegava molti cortili a Jalija. Nell’illustrazione che rappresenta la čaršija si vede un ingresso ricostruito nella mahala ebraica intorno al 1740. A sinistra si vede un imponente palazzo in stile classicista che in seguito diventerà noto come ‘Pirinčana’, a destra invece c’è il bezistan di Mehmed Paša Sokolović con il caravanserraglio. Sappiamo che all’inizio di via Jevrejska c’era uno šedrvan [fontana], anch’esso si vede nell’illustrazione. Le donne non frequentavano la čaršija, come emerge chiaramente da questa illustrazione, come anche il fatto che gli ebrei spesso erano impegnati in attività legate al settore tessile, quindi in primo piano si vedono alcuni tessuti esposti in una vetrina. Un intero team, guidato dal rabbino Isak Asiel ha partecipato alla ricostruzione della scena legata al bat mitzwah che si svolge davanti all’ingresso della vecchia sinagoga di Dorćol. Grazie a questo lavoro di squadra siamo riusciti a decifrare una scritta che sovrasta l’ingresso della sinagoga, il cui significato per molto tempo era rimasto sconosciuto”, ha spiegato Čedomila Marinković nella summenzionata intervista.
Pochi cittadini di Belgrado sanno che la mahala ebraica (che i turchi chiamavano ćifutana, un nome poco apprezzato dagli ebrei) era delimitata dalle vie Jevrejska, Solunska, Visokog Stevana e Braće Baruh. In questo quartiere si trovavano tutte le principali istituzioni ebraiche: sinagoghe, scuole, bagni rituali, e anche il cimitero probabilmente non era molto distante.
Il libro di Čedomila Marinković rende omaggio anche ad alcune figure che hanno contribuito allo sviluppo della cultura e della letteratura ebraica a Belgrado e in Serbia: rabbini, filantropi, medici, imprenditori… Chi sapeva che la famiglia di Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista, era originaria di Zemun? Fino al 1910 la casa della famiglia Herzl si trovava nella via che oggi porta il nome di Ivan Gundulić. È solo una delle tantissime curiosità che si scoprono leggendo questo libro! Se in questi giorni doveste recarvi a Belgrado, vi ricordo che il libro è disponibile anche in edizione inglese, e costa quanto una porzione di ćevapčići (serviti con cipolle e ajvar).
“Vanto una lunga esperienza in ambito pedagogico, perché per quindici anni ho lavorato come docente presso diverse facoltà. La trasmissione del sapere ai giovani curiosi è la mia grande passione, un’attività che amo e che mi ispira. Oltre a questa missione primaria, il libro Gli ebrei a Belgrado ha un’altra missione particolare: si prefigge di fungere da ponte tra culture, nello specifico tra la cultura della maggioranza serba e quella della minoranza ebraica. Nonostante forti legami storici e una solida convivenza, la cultura ebraica resta poco conosciuta ad un più ampio pubblico serbo. Rendere più nota [la cultura ebraica] contribuisce ad una migliore comprensione e al rafforzamento dei rapporti [tra le due comunità]. È una questione molto importante”, così Čedomila Marinković ha spiegato lo scopo del suo libro.
“Un ponte tra culture”? Ho letto bene? Era da tempo che questa espressione non mi colpiva con la pienezza del suo significato come nel caso di questo libro. Un ponte che l'autrice ha costruito insieme a tutte le persone che hanno contribuito alla realizzazione di questa guida attraverso la vita e la cultura degli ebrei belgradesi.
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[1] Ad oggi il Centro creativo, fondato nel 1990, ha pubblicato oltre 1300 titoli. La pluripremiata collana Si viveva così è nata dal desiderio di presentare ai giovani lettori la vita delle persone comuni in Serbia in diverse epoche storiche. I testi di molti esperti rinomati, le magnifiche illustrazioni, la ricchezza delle collezioni e degli archivi museali, come anche i risultati di diverse ricerche archeologiche, rivelano un passato emozionante, pieno di dettagli per molto tempo rimasti sconosciuti. Circa venti libri pubblicati all’interno di questa collana fanno immergere il lettore nell’atmosfera di diversi periodi storici, facendogli conoscere gli stili di vita caratteristici di ogni epoca. Tra gli autori ci sono diversi esperti in ambito storico, archeologico, storico-artistico, etc. I testi offrono ai lettori contemporanei le conoscenze necessarie per instaurare un legame tra l’epoca attuale e quelle passate.
L'autrice
Čedomila Marinković, storica dell’arte, medievalista e giudaista, ha conseguito un dottorato di ricerca con una tesi dedicata alla Haggadah di Sarajevo . È autrice di due monografie e di numerosi articoli scientifici. Ha partecipato a diverse conferenze in Bosnia Erzegovina e all’estero. Nel 2014 è stata insignita del premio “Ženi Lebl” per i miglior contributo scientifico su temi legati alla storia e alla cultura ebraica. Nel 2017 ha ricevuto il premio dell’Associazione degli artisti impegnati nelle arti applicate e dei designer della Serbia (ULUPUDS) per una mostra internazionale dedicata all’attività sportiva degli ebrei jugoslavi tra le due guerre mondiali. Ha partecipato, come consulente e co-sceneggiatrice, al progetto internazionale Esther, un percorso educativo sull’Olocausto. Per l’emittente televisiva olandese NP1 ha realizzato un documentario sulla famiglia ebraica Belinfante vissuta a Belgrado nel XVII secolo. È fondatrice e direttrice del centro RIMON impegnato nello studio e nella promozione dell’eredità ebraica a Belgrado. Parla sei lingue.