Radovan Karadzic, ex presidente della Republika Srpska e uno dei principali ricercati dal Tribunale Internazionale de L'Aja per i crimini di guerra commessi in Bosnia, è ritornato a farsi sentire.
Radovan Karadzic, ex presidente della Republika Srpska e uno dei principali ricercati dal Tribunale Internazionale de L'Aja per i crimini di guerra commessi in Bosnia, è ritornato a farsi sentire, con una lettera inviata al prof. Kosta Cavoski, presidente del "Comitato internazionale per la verità su Radovan Karadzic". La lettera inviata il 17 aprile è stata pubblicata sull'ultimo numero del settimanale Nedeljni Telegraf e ripresa dall'agenzia Beta.
Karadzic, nella lettera, ha confermato il suo rifiuto dell' appello che il parlamento federale ha emesso nei giorni scorsi circa la consegna volontaria al Tribunale internazionale, perché secondo lui "questo tribunale non solo è privo di basi legali, ma sarà anche motivo di vergogna per una parte dell'Occidente perbenista, che in questo momento gli sta dietro".
Nello scritto, Karadzic fa inoltre esplicito riferimento al comandante della SFOR, il generale americano John Silvester. A quest'ultimo viene rivolta l'accusa di aver trasgredito al mandato, secondo il quale - continua Karadzic - "il signor generale potrebbe arrestarmi solo se i suoi soldati per caso dovessero incontrarmi durante le loro attività ordinarie. Già da sette anni io mi impegno con zelo affinché questo incontro non accada, ma sarebbe meglio che lo facesse anche il generale Silvester. Poiché da questo incontro io potrei uscirne tanto in un modo che in un altro, ossia sotto l'aspetto tecnico ne uscirei molto male, ma sotto il profilo morale sarei sicuramente il vincitore".
Nella lettera viene sottolineato che l'esercito del generale Silvester si trova nella RS e nella BiH prima di tutto a causa della sua (di Karadzic) firma sull'accordo di Dayton e ha sottolineato che "sul territorio serbo nessun soldato regolare del generale Silvester e della alleanza militare di cui lui è ufficiale è mai rimasto vittima né durante la guerra né dopo essa".
"Noi di ciò ne siamo felici - scrive Karadzic - e questo è possibile solo per l'enorme bontà e per la tolleranza di questo popolo che distingue i veri soldati, che sono i figli di qualcuno, dai crudeli cacciatori di taglie, che non apprezziamo più del dovuto".
Alla fine della lettera Karadzic manda a dire al comandante della SFOR di lasciare in pace e di non "terrorizzare" i suoi vecchi amici. "Nel frattempo - ribadisce l'ex presidente - ho acquisito mille nuovi amici, dei quali i miei persecutori non sono a conoscenza. E ogni giorno ne ho sempre di più. Non è necessario che io mi trovi in due o tre villaggi della RS, perché siamo rimasti in una Bosnia intera, e dunque perché dovrei rinunciare all'intera Bosnia? Forse ci hanno anche lasciato in Bosnia affinché un giorno possa essere tutta nostra".
Aldilà di questa ambigua precisazione sulla Bosnia, ciò che forse più preoccupa nella conclusione è proprio quel riferimento agli amici di Karadzic. Occorre considerare infatti che il 16 aprile scorso a Belgrado sono stati trovati dei manifesti riportanti la scritta "Ogni serbo è Radovan" affissi dall'Associazione religiosa "Obraz" (la guancia). Gli appartenenti di questa associazione, ci si ricorderà, si erano ben distinti nei pestaggi durante la manifestazione per i diritti degli omosessuali, la prima della storia della capitale balcanica.
Di questi manifesti ne aveva dato notizia il 16 aprile stesso l'emittente B-92 in un articolo pubblicato sul portale web nella sezione "Tema". Nell'articolo viene intervistato il segretario generale dell'Associazione "Obraz", Miladin Obradovic e vale la pena riportare le sue parole: "ogni autentico e ogni vero serbo è Radovan, sente veramente Radovan Karadzic come il più grande serbo vivente di oggi, e tutti quei serbi che desiderano essere degni discendenti dei nostri santi antenati, che desiderano camminare in modo degno lungo la nostra strada di Sveti Sava, la pensano in questo modo e lo testimoniano con la loro vita e il loro atteggiamento".
Ovviamente la figura di autentico serbo delineata da Obradovic è mero frutto del suo cieco nazionalismo. Tuttavia, questa vicenda non ha destato la benché minima preoccupazione di alcuni politici serbi, quali il ministro di giustizia Vladan Batic che, riguardo ai manifesti affissi, ha commentato dicendo che "ognuno ha il diritto alle proprie opinioni politiche, non ho commenti da fare, non ho letto quel manifesto", mentre il vice presidente del partito di Kostunica la DSS, Dragan Marsicanin ha dichiarato che ognuno ha "il diritto di appiccicare quello che vuole".
Una forte critica a questo atteggiamento viene da Milanka Saponja, membro del Comitato di Helsinki per i diritti umani. La Saponja ha commentato queste parole come un segno di non serietà e di immaturità del potere riguardo la situazione in cui si trova lo stato. "In nessun paese nessuno può fare quello che vuole, né quello che gli viene in mente, ma piuttosto si sa cos'è nell'interesse dei cittadini, cos'è quello che viola le condizioni elementari per la stabilità e quale influenza ciò può avere sulla posizione del paese. Perciò non si può commentare in quel modo né tanto meno tolleralo". Milanka Saponja fa esplicito riferimento al comportamento noncurante del potere attuale, cosa che considera altamente pericolosa per il destino della Serbia e al contempo dimostra tutta la sua impreparazione per un vero cambiamento democratico.
Vedi anche:
Federazione Jugoslava: costituitevi!
Comitato di Helsinki per i diritti umani