Non soffochiamo Belgrado si batte da mesi contro il progetto urbanistico Belgrado sull’acqua. Con Ksenija Radovanović, architetto, abbiamo ripercorso le tappe di questa lotta per la difesa degli spazi pubblici cittadini
“Pensare alla città significa prenderne in conto gli aspetti conflittuali”, scriveva Henri Lefebvre a metà degli anni novanta. Le città sono da sempre il precipitato spaziale di problematiche sociali e politiche a carattere nazionale o transnazionale, i luoghi in cui diventano visibili, spesso sotto forma di conflitto.
I recenti sviluppi del progetto di rinnovo urbano Belgrado sull’acqua, riguardante la trasformazione di un'area dismessa a pochi passi dal centro che si distende lungo la riva destra del fiume Sava, rappresentano un buon terreno d’analisi delle strategie d’azione pubblica legate al governo della città. E parallelamente un termometro per misurare la vitalità di gruppi e singoli cittadini che a queste strategie si oppongono, aprendo nuovi spazi per la critica sociale.
Quando il pubblico si sottomette all’interesse privato: i primi mesi di vita di Belgrado sull’acqua
Belgrado sull’acqua venne presentato lo scorso gennaio dall’attuale primo ministro Aleksandar Vučić durante la campagna elettorale per le politiche, alla guida del Partito progressista serbo (SNS). Affiancato dal magnate arabo Mohammed El-Abbar, partner commerciale con la sua compagnia Eagle Hills, Vučić mostrò all’opinione pubblica un avveniristico progetto comprendente negozi di lusso, il più grande centro commerciale della regione, una torre alta 220 metri, appartamenti, uffici, ristoranti e una marina per gli yacht.
In quel periodo la città di Belgrado era governata da un consiglio provvisorio a seguito della destituzione del sindaco Dragan Đilas. Tre dei cinque “tecnici” a capo del consiglio
ricopriranno poi ruoli di primo piano nel successivo governo comunale guidato dall’SNS: Siniša Mali (ex consigliere di Vučić) ne diverrà sindaco, Andreja Mladenović vicensindaco, mentre Nikola Nikodijević presidente del consiglio comunale. Il mandato di questo “governo tecnico” permetteva unicamente l’adozione di provvedimenti di emergenza, rimandando le questioni ordinarie alla formazione della nuova giunta.
Due mesi dopo la presentazione di Vučić, a metà marzo, Siniša Mali presentò Belgrado sull’acqua a Cannes in occasione del Mipim, patinata fiera internazionale del settore immobiliare che si tiene ogni anno sulla Costa Azzurra. Le categorie professionali belgradesi (architetti, pianificatori urbani, ingegneri) erano convinte si trattasse dell’ennesima mossa politica in vista delle elezioni comunali alle porte, contestandone la fattibilità in quanto si poneva al di fuori di qualsiasi misura prevista dal piano regolatore in vigore a Belgrado dal 2003. All’interno di quest'ultimo, denominato Belgrado 2021, è ad esempio vietata l’edificazione di grattacieli nel centro cittadino, al fine di tutelarne il paesaggio urbano.
“Il consiglio provvisorio ha però annullato tale disposizione, violando quindi il suo mandato che gli permetteva di adottare solo ‘misure di emergenza’, e dunque operando al di fuori della legge - spiega Ksenija Radovanović, architetto belgradese membro dell’iniziativa civica - a metà aprile il consiglio provvisorio ha infatti proposto una serie di cambiamenti al precedente piano regolatore. Di fatto hanno preso il piano regolatore del 2003 e hanno letteralmente cancellato i paragrafi riguardanti l’Anfiteatro della Sava, l’area cittadina lungo il fiume Sava interessata dal progetto Belgrado sull’acqua. In questi paragrafi si definiva l’Anfiteatro della Sava come ‘area di interesse cittadino’, comprendente anche la riva opposta del fiume. Tale area era posta sotto la regolamentazione di gare d’appalto internazionali. Il cinquanta percento di tale territorio doveva essere destinato a spazi pubblici e culturali”.
Il mese successivo - e siamo a maggio - il neoeletto governo di Aleksandar Vučić nomina Belgrado sull’acqua “progetto di interesse nazionale”.
L’iniziativa “Non soffochiamo Belgrado”
In questo periodo la nostra interlocutrice Ksenija Radovanović si avvicina ai membri di “Ministarstvo Prostora” (Ministero dello spazio, un collettivo che dal 2011 pubblica analisi sulle trasformazioni urbanistiche di Belgrado), i quali a inizio luglio organizzano un’assemblea pubblica per informare i cittadini sui cambiamenti proposti al piano regolatore dal consiglio provvisorio.
L'intento è quello di coinvolgere i cittadini che, in mancanza di forme di partecipazione democratica riguardanti le scelte di interesse collettivo, sono spesso vittime di forti asimmetrie informative: non riescono a decifrare la reale portata del progetto, salvo essere inondati su giornali e televisioni di futuristici modelli architettonici.
In quest’alveo nasce l’iniziativa civica Non soffochiamo Belgrado (in serbo Ne da(vi)mo Beograd, in cui si gioca sul doppio significato “non consegniamo / non soffochiamo Belgrado) che il 23 luglio 2014, in occasione dell’audizione pubblica sulle proposte di cambiamento al piano regolatore, consegna quindici note firmate da milleduecento cittadini.
In questa prima fase della protesta il diritto (leggi, regolamenti, piani) e la denuncia della sua violazione è il terreno d’azione di Ksenja Radovanović e degli altri attivisti di Non soffochiamo Belgrado: “Purtroppo però a seguito dell’audizione pubblica nessuna nota presentata dai cittadini di Belgrado è stata presa in considerazione. Il governo ha poi presentato, a settembre, un piano riguardante quell’area di Belgrado coinvolta nel progetto. Un piano che violava la legislazione vigente in quanto la normativa nazionale non prevede tale strumento all’interno di aree urbane già regolamentate dai piani regolatori. Così durante l’estate il governo ha varato un disegno di legge che permetterebbe se approvato l’attuazione di piani del governo all’interno di progetti definiti di interesse nazionale”.
Venendo alle disposizioni contenute nel piano, sembrano ricalcare unicamente gli interessi privati di Mohammed El-Abbar, trasformando l’Anfiteatro della Sava in una cittadella del lusso specchio di quella mercificazione dello spazio pubblico definita dalla sociologa Margit Mayer come “città imprenditrice”. Di contro, solo il 1% dell’area sarà destinata a spazi culturali, in contrasto con il già citato piano regolatore del 2003.
Opachi restano poi gli accordi legali stipulati tra il potenziale investitore e il governo serbo (non è prevista alcuna gara d’appalto o concorso pubblico), e nemmeno si sa su quali basi d’analisi sia stato preparato il piano: “Il governo in pratica sta investendo soldi pubblici in un progetto ancora incerto e senza reali coperture finanziarie. E se per caso dovesse andare storto qualcosa chi si assumerà i costi?”, si chiede Ksenja Radovanović.
Una domanda che è stata posta lo scorso 23 ottobre anche da Goran Milićević, professore presso la Facoltà di economia di Belgrado, durante un’assemblea pubblica organizzata presso il Centro per la decontaminazione culturale. Milićević ha fatto notare che prima di poter iniziare qualsiasi lavoro deve essere messo a disposizione circa un miliardo di euro per la bonifica dell’area: “Ciò significa che ogni cittadino di Belgrado si dovrebbe indebitare di circa mille euro”.
Interventi altrettanto critici verso il piano sono arrivati dalla sociologa urbana Ksenija Petovar (la quale ha tratteggiato la sinistra immagine di una futura “comunità recintata”, “un luogo pieno di muri e telecamere a circuito chiuso, con cerberi a guardia delle entrate”) e da Nemanja Nenadić del capitolo serbo di Transparency International.
Papere volanti
Si arriva così allo scorso mercoledì 5 novembre. E’ una mattinata radiosa di luce e di un inconsueto tepore primaverile. Assieme a Ksenja Radovanović e agli altri attivisti di Non soffochiamo Belgrado entriamo nella sala comunale di piazza Nikola Pašić, dove alle 12 è prevista l’audizione pubblica riguardante il piano di governo del territorio, presieduta da una commissione nazionale composta da nove membri. Come per la precedente audizione di luglio, anche in questo caso il movimento ha preparato sette note al piano firmate da centinaia di cittadini.
La sala è gremita, sono presenti anche alcuni membri dell’Accademia serba delle scienze e delle arti, i quali hanno presentato ventidue pagine di note al piano criticandone gli aspetti ecologici, sociali e di copertura finanziaria. I firmatari sono perlopiù anziani docenti di architettura in pensione, siedono tutti in prima fila davanti alla commissione sottolineando in tal modo l’autorità che rappresentano. Alle loro spalle, un nutrito gruppo di studenti dalla facoltà di Pianificazione territoriale, sguardi annoiati come durante una tediosa lezione di statistica.
All’apertura dell’audizione ha inizio la protesta, che dal campo del diritto si sposta su un registro d’azione di tipo creativo: salvagenti, papere e palloni gonfiabili vengono fatti volare tra la curiosità dei ragazzi e il cipiglio ostile dei membri della commissione: “Il nostro obiettivo è salvare Belgrado da un progetto dannoso per la sua comunità. Per questo abbiamo scelto i salvagenti come simbolo”.
Partecipare alla seduta significherebbe accettare la legittimità di una commissione che opera in un regime di illegalità. Per questa ragione gli attivisti di Non soffochiamo Belgrado – a differenza degli architetti dell’Accademia delle scienze e delle arti – hanno deciso di boicottarla.
Ogniqualvolta il presidente della commissione prova a far ripartire l’audizione, dai banchi dell’aula si innalzano i versi di Beograde, Beograde , vecchio inno schlager jugoslavo cantato agli inizi degli anni sessanta da Đorđe Marjanović. Un inno alla città: “Beograde, Beograde / svi vole tvoje nasmejane ulice / Beograde, Beograde / sa nama i u nama živiš ti (Belgrado, Belgrado / tutti amano le tue vie sorridenti / Belgrado, Belgrado / tu vivi con noi e dentro di noi).
Nelle parole di Ksenja Radovanović: “La seduta pubblica è stata solo un simulacro della partecipazione di cittadini e rappresentanti di categorie professionali alle scelte pertinenti il piano, è un rituale puramente formale. Quest’audizione non è necessaria né ai pianificatori che miseramente ricopiano i desideri dei fantasmagorici investitori, né ai cittadini che presentano delle note che saranno rigettate senza alcuna discussione”.
Lo spazio della critica
“Le istituzioni pubbliche serbe sono sottomesse alla politica, molto spesso connivente con gli interessi privati. Quindi l’investitore di turno entra negli uffici del dipartimento all’urbanistica del comune di Belgrado e dice semplicemente ‘voglio costruire in quest’area’. Nessuno glielo impedirà. Questo si è visto negli anni passati su piccola scala senza che nessuno potesse fare nulla, ed oggi è emerso a livello nazionale con il progetto Belgrado sull’acqua”.
Riflessioni amare queste di Radovanović, a cui si potrebbe aggiungere il fatto che oggi in Serbia non esiste una reale alternativa politica. Il Partito Democratico (DS), che ha governato per dieci anni, non gode più di alcun credito presso il suo elettorato e dopo il crollo alle recenti elezioni politiche si è sgretolato in due diverse fazioni. Ma forse proprio a partire dal silenzio della politica si è aperto lo spazio per una presa in carico “dal basso” di questioni dirimenti come le strategie di governo della città.
All’assemblea del 23 ottobre si sono riversati migliaia di cittadini a formare un’arena pubblica in cui riflettere su un territorio che è loro caro, valorizzandolo come bene comune da tutelare.
Sulle reali probabilità di successo di un’iniziativa civica come Non soffochiamo Belgrado, Radovanović rimane tuttavia molto scettica: “Come visto nei mesi scorsi in Croazia con le mobilitazioni a Zagabria e Dubrovnik, le istanze espresse dai cittadini sono rimaste inevase, e i progetti di speculazione edilizia hanno potuto proseguire indisturbati”.
Esperienze come Non soffochiamo Belgrado rappresentano comunque un terreno di rafforzamento della democrazia, stimolando i cittadini a battersi per il rispetto della legge agendo diritti troppo spesso tacitati. Verso un futuro in cui poter deliberare sui propri territori e le scelte alla base del loro sviluppo.