Non si placa in Serbia l'ondata di indignazione provocata dalla morte di quindici persone, schiacciate lo scorso primo novembre dalla tettoia della stazione ferroviaria di Novi Sad. Tra proteste e tentativi di insabbiamento, si cerca ancora la verità sulle responsabilità della tragedia
Quindici persone sono morte schiacciate dalla tettoia della stazione centrale di Novi Sad; tristezza, indignazione e rabbia dei cittadini; una delle più massicce proteste di sempre a Novi Sad, accompagnata dal vandalismo degli hooligan che hanno preso di mira anche l’edificio del municipio; quattordici politici e attivisti messi in stato di fermo, le proteste di massa quotidiane in tutta la Serbia, le dimissioni di due ministri e della direttrice di un’azienda pubblica, il rilascio di alcuni politici e attivisti fermati, il silenzio della procura di Novi Sad, altre proteste e blocchi stradali accompagnati da disordini, l’arresto di tredici persone a causa del crollo della tettoia, le risse in parlamento.
Questi, in sintesi, gli eventi che hanno segnato il mese di novembre in Serbia.
Il primo novembre la città d Novi Sad, come tutta la Serbia, è stata travolta da una tragedia senza precedenti. Alle ore 11.52 di quel giorno la tettoia della stazione di Novi Sad è crollata provocando quattordici morti e diversi feriti, di cui tre gravi. Una delle persone ferite è poi deceduta in ospedale.
L’intero paese è rimasto scioccato, mentre gli esponenti del potere, dopo un iniziale silenzio, hanno cercato di ridurre i danni.
Ivica Dačić, ministro dell’Interno, recatosi prontamente sul luogo della tragedia, ha definito quanto accaduto “un incidente senza precedenti”, complimentandosi con tutti quelli che hanno compiuto “enormi sforzi per sgomberare l'area e recuperare le vittime”.
Il ministro, con la solita retorica maldestra, ha poi precisato che “non c’era molto lavoro per le squadre di pronto soccorso perché c’erano più morti che feriti”.
In serata anche il presidente Aleksandar Vučić si è rivolto all’opinione pubblica, confermando il primo bilancio della tragedia che parlava di quattordici morti. Vučić ha chiesto alla procura di Novi Sad e al governo di impegnarsi per identificare i responsabili che, secondo il presidente, devono essere perseguiti e puniti severamente.
Già allora, a poche ore dalla tragedia, Vučić ha affermato che la tettoia crollata non solo non era stata coinvolta dal recente intervento di ricostruzione della stazione, ma non era mai stata ristrutturata dal 1964, anno di costruzione dell’edificio. Affermazione che, nei giorni successivi, è stata ripetuta con insistenza da altri esponenti della leadership al potere.
Tuttavia, Zoran Đajić, ingegnere che fino al 2023 ha partecipato alla ricostruzione della stazione, ha spiegato che anche la tettoia era stata sottoposta a interventi di ristrutturazione. Lo hanno confermato anche altri esperti edili.
Quattro giorni dopo il tragico evento, Goran Vesić, ministro dell’Edilizia, dei Trasporti e delle Infrastrutture, ha convocato una conferenza stampa annunciando le sue dimissioni.
Vesić ha affermato di aver deciso di dimettersi “da persona seria, consapevole che quella tragedia non doveva accadere”, aggiungendo però che né lui né i suoi collaboratori sono minimamente responsabili di quanto accaduto. Successivamente è emerso che l’edificio ristrutturato è stato inaugurato senza aver mai ottenuto il certificato di agibilità.
I cittadini di Novi Sad hanno partecipato in massa alla prima manifestazione di protesta, organizzata lo scorso 5 novembre, per rendere omaggio alle vittime e chiedere responsabilità. Dopo un minuto di silenzio e la lettura dei nomi delle vittime, il corteo si è diretto verso il palazzo del municipio.
Prima di raggiungere il centro città, la fiumana di persone è passata davanti alla sede del Partito progressista serbo (SNS), imbrattata con vernice rossa e scritte “le vostre mani sono sporche di sangue”. Sono stati registrati anche alcuni scontri verbali tra i manifestanti e “gli addetti alla sicurezza” della sede dell’SNS.
Arrivati davanti al municipio, Miša Bačulov, consigliere comunale rappresentante della lista civica “Heroji” [eroi], da una cisterna ha riversato sull’asfalto sostanze liquide che in un primo momento sono state definite come “escrementi”. Con questo gesto, Bačulov, come affermato da lui stesso, ha voluto restituire quello che negli ultimi dodici anni l’élite al potere ha offerto ai cittadini.
Il giorno successivo Bačulov ha spiegato che le sostanze riversate non erano gli escrementi, bensì l’acqua del rubinetto di Zrenjanin, città della Vojvodina da decenni ormai alle prese con l’inquinamento dell’acqua potabile.
La manifestazione di protesta pacifica si è trasformata in violenta con l’arrivo di alcune persone, perlopiù giovani, vestite di nero, con cappucci e passamontagna, armate di spranghe, che hanno iniziato a lanciare pietre, rompendo le finestre e utilizzando tutto quello che trovavano sulla loro strada come mezzo di distruzione. Uno scenario già visti nel dicembre dello scorso anno davanti al parlamento di Belgrado.
A quel punto, i manifestanti si sono allontanati, mentre gli agenti di polizia sono rimasti all’interno del palazzo del municipio senza intervenire. Poi alcuni uomini in borghese, sprovvisti di qualsiasi distintivo, hanno iniziato a fermare i cittadini. Due uomini, di cui in quel momento non si conosceva la vera identità, hanno fermato Relja Stanojević, uno studente che ha cercato di proteggere la sua ragazza.
Anche Goran Ješić, ex vicepremier della provincia autonoma della Vojvodina, è stato messo in stato di fermo per aver spinto uno degli uomini che hanno trattenuto Stanojević. Solo dopo aver inchiodato Ješić su una recinzione, uno degli uomini ha mostrato il distintivo di polizia, probabilmente perché l’intero evento è stato trasmesso in diretta dall’emittente N1.
Quella sera, insieme a Stanojević e Ješić, sono state poste in stato di fermo altre otto persone, tra cui Miša Bačulov. Dopo alcuni giorni, Ješić è stato rilasciato in attesa del processo, mentre Bačulov è stato messo agli arresti domiciliari per trenta giorni.
La procura però ha contestato questa decisione, chiedendo che i due venissero nuovamente sottoposti a custodia cautelare. Ješić e Bačulov sono stati finalmente rilasciati lo scorso 22 novembre, insieme a Stanojević e un paio di altri manifestanti.
Ivan Bjelić, uno degli studenti che hanno partecipato alla protesta, e altre quattro persone sono ancora sottoposti a custodia cautelare. Invece nessuno degli hooligan incappucciati, che hanno assaltato il municipio è stato fermato, nonostante i video diffusi da alcuni cittadini, che mostrano gli uomini mascherati uscire dalla sede dell’SNS poco prima dell’attacco.
Nel frattempo, l’opposizione ha bloccato il tribunale e la procura di Novi Sad, chiedendo, tra l’altro, il rilascio di tutti i partecipanti alla protesta, l’arresto dei responsabili della tragedia avvenuta alla stazione, le dimissioni del sindaco di Novi Sad Milan Đurić e del premier Miloš Vučević. L’opposizione chiede anche che vengano pubblicati tutti i contratti e documenti riguardanti la ricostruzione della stazione.
La tragedia di Novi Sad, la reazione della polizia, i tentativi di insabbiare la verità e creare un clima di caos hanno spinto i cittadini di tutta la Serbia a scendere in piazza per protestare. Ogni venerdì gli abitanti di Novi Sad manifestano i loro dissenso con gli slogan “Le vostre mani sono sporche di sangue” e “La corruzione uccide”.
Come riporta l'Archivio delle manifestazioni pubbliche, alla grande mobilitazione commemorativa e di protesta, organizzata lo scorso 22 novembre, hanno aderito cinquanta città, con una trentina di blocchi stradali. A Belgrado il traffico è stato bloccato per quindici minuti in cinque punti nevralgici.
Durante la manifestazione, nella capitale si sono verificati alcuni incidenti con lo stesso copione. I cittadini, scesi in strada per protestare e rendere omaggio alle vittime di Novi Sad, sono stati aggrediti da alcune persone – che in realtà erano membri dell’SNS come emerso in seguito – che hanno chiesto la rimozione dei blocchi stradali per poter andare al lavoro oppure a causa di un figlio malato.
Gli episodi più violenti sono accaduti davanti alla sede della Radiotelevisione della Serbia (RTS) e di fronte alla Facoltà d’Arte drammatica dove uno studente è stato aggredito dagli automobilisti “impazienti”, riportando lesioni, seppur non gravi.
Dopo questo incidente, gli studenti hanno bloccato la Facoltà d’Arte drammatica, chiedendo l’arresto degli aggressori e dei provocatori.
La procura di Novi Sad è rimasta in silenzio per ben tre settimane dopo il tragico evento alla stazione di Novi Sad. Poi improvvisamente, lo scorso 22 novembre sono stati arrestati Goran Vesić, ex ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Jelena Tanasković, direttrice dell’azienda pubblica che si occupa delle infrastrutture ferroviarie, e altre nove persone.
Non è ancora chiaro se gli arresti e le dimissioni siano conseguenza della pressione esercitata per settimane da cittadini e forze di opposizione, oppure assistiamo all’ennesimo stratagemma della leadership al potere. Lo scopriremo nei prossimi giorni.