Olga Jevrić accanto a Ritratto di Slobodan Petrović, Belgrado 1952 © Digitalna arhiva Kuće legata

Olga Jevrić accanto a Ritratto di Slobodan Petrović, Belgrado 1952 © Digitalna arhiva Kuće legata

La mostra "Olga Jevrić – Composizione e struttura" (Belgrado, Galleria SANU, 18 ottobre – 11 dicembre 2022) segna il centenario della nascita di Olga Jevrić (1922-2014). Božidar Stanišić tratteggia l'opera e il carattere della scultrice europea, jugoslava e serba

17/11/2022 -  Božidar Stanišić

Con la mostra “Olga Jevrić – Composizione e struttura” l’Accademia serba delle scienze e delle arti (SANU) e la Casa delle collezioni memoriali rendono un omaggio del tutto particolare ad una delle grandi scultrici europee e jugoslave della seconda metà del Novecento. Gli ideatori e curatori della mostra dedicata a Olga Jevrić sono Žaklina Marković curatrice senior per la scultura della Casa delle collezioni memoriali presso la SANU e Dejan Vučetić [1], curatore senior presso la Casa delle collezioni memoriali. Al pubblico hanno presentato tutte le opere della scultrice donate alla SANU e alla Casa delle collezioni memoriali, nonché alcuni dei suoi lavori custoditi in varie collezioni private, nel Museo d’arte contemporanea della Vojvodina e nel centro Terra di Kikinda. Oltre duecento opere di piccole, medie e grandi dimensioni, realizzate con una grande varietà di materiali – terracotta, gesso, ossido di ferro, cemento, ferro – ripercorrono tutte le fasi della produzione artistica di Olga Jevrić, dalle sue Proposte per i monumenti degli anni Cinquanta, che rappresentano un primo tentativo dell’artista di distanziarsi dalla tendenza figurativa della scultura serba e jugoslava del dopoguerra e di avvicinarsi alle forme astratte, ai suoi ultimi lavori in cui, come hanno notato alcuni critici, prevale una sensibilità tattile.

In occasione della mostra belgradese è stato pubblicato un catalogo molto interessante [2]. Olga Jevrić per anni aveva praticato la fotografia, quindi nell’ambito della mostra è stata presentata anche una selezione dei suoi scatti, nonché un documentario intitolato Skulptura u svetu predmeta i pejzaža – Olga Jevrić [La scultura nel mondo degli oggetti e dei paesaggi – Olga Jevrić] (sceneggiatura di Ljubomir Simović e Marko Karadžić, regia di Marko Karadžić). Sono state organizzate anche alcune conferenze dedicate alla vita e all’opera della grande scultrice. Se nelle prossime settimane doveste recarvi a Belgrado, non perdete l’occasione di visitare questa mostra, ne vale la pena. Vi è anche la possibilità di richiedere una visita guidata.

Olga Jevrić nacque nel 1922 a Belgrado, da una famiglia benestante. Nel 1946 si diplomò in pianoforte presso il Conservatorio di Belgrado, per poi decidere, attratta dal fascino dei materiali scultorei, di iscriversi all’Accademia di Belle Arti, dove studiò con Sreten Stojanović, conseguendo, nel 1948, il diploma di primo livello e l’anno successivo quello di secondo livello. Avendo scelto coraggiosamente il mestiere di artista indipendente, Olga si dedicò all’esplorazione delle caratteristiche di materiali innovativi, come cemento, ferro, ossido di ferro. La sua prima mostra personale, organizzata nel 1957 nella galleria dell’Associazione degli artisti figurativi della Serbia (ULUS), suscitò grande interesse in tutta la ex Jugoslavia. Ad attirare l’attenzione del pubblico e della critica fu anche la minuscola statura di Olga. Ci si chiedeva come riuscisse a “lottare” con materiali difficili da domare, un interrogativo a cui la scultrice rispondeva affermando semplicemente che per completare un lavoro che gli altri riuscivano a portare a termine in tre giorni lei impiegava tre mesi.

L'atelier di Olga Jevrić presso Staro Sajmište, Belgrado 2015, Documentazione Galleria SANU

L'atelier di Olga Jevrić presso Staro Sajmište, Belgrado 2015, Documentazione Galleria SANU

Avendo focalizzato la propria crescita spirituale e creativa sul rifiuto di allinearsi alla dottrina del realismo socialista e su un ostinato perseguimento dell’idea di libertà artistica assoluta, Olga fu costretta a pagare le conseguenze di tale scelta. La sua decisione di non diventare membro del Partito ebbe un inevitabile impatto sulla sua condizione economica. Per fortuna però Olga aveva sempre goduto dell’appoggio della sua famiglia e della simpatia di alcuni esponenti del mondo dell’arte estranei a qualsiasi forma di indottrinamento ideologico.

Nel 1955 la giovane scultrice ottenne una borsa di studio per un soggiorno di un mese a Parigi, ma vi rimase cinque mesi interi. Con i pochi soldi che aveva poteva permettersi solo la baguette, quindi la sua famiglia le mandava pacchi di cibo. A Parigi ebbe la fortuna di trovare le porte aperte degli atelier di alcuni grandi artisti. Così conobbe Brancusi, Arp e Giacometti, nel cui studio – che era ancora più piccolo di quello di Olga situato a Staro sajmište, a Belgrado – la giovane artista capì l’importanza di un costante lavoro, sforzo e desiderio creativo. Nell’ambiente di lavoro del grande scultore Olga si rese conto di quanta creatività magica potesse nascondersi dietro al disordine di un atelier, tra i resti dei materiali utilizzati in cui si inciampava in continuazione. A Parigi Olga capì definitivamente quanto fosse importante per un artista rimanere fedele alla propria poetica, alle proprie idee e al proprio rapporto con il materiale, la massa, la composizione e le proporzioni. Successivamente però, avendo raggiunto la sua piena maturità artistica, alla domanda riguardo alle influenze subite, Olga rispose laconicamente che fu la natura a influenzare maggiormente la sua arte, specificando poi che per anni aveva visitato i musei della natura, meravigliandosi di fronte a forme naturali. Olga Jevrić può infatti essere considerata un’allieva – indubbiamente una delle migliori della storia della scultura europea moderna – della natura intesa come “unità delle forze opposte”.

A contribuire in maniera determinante all’evoluzione del percorso artistico di Olga Jevrić fu il fatto di essere stata scelta da Aleksa Čelebonović, curatore del padiglione jugoslavo all’Esposizione internazionale d’arte di Venezia del 1958, tra gli artisti che rappresentarono la Jugoslavia alla Biennale di quell’anno. Un’altra circostanza fortunata fu il fatto che, proprio mentre era in corso la prima mostra personale di Olga, a Belgrado si trovava il critico d’arte italiano Gillo Dorfles. Anche la stessa scultrice rimase sorpresa dall’interesse suscitato dalle sue opere.

Tra le numerose reazioni positive alle opere di Olga esposte alla 29° Biennale di Venezia, riporto le parole del critico d’arte olandese Cornelius Doelman secondo cui Olga scolpiva i materiali “in modo forte, virile”, “senza mai sforzarsi di rendere le sue opere piacevoli, creando un’arte caratterizzata da una struttura solida che interagisce con lo spazio in tutte le direzioni”, “una forma forte, che sembra riflettere le tracce delle pietre dei tempi primordiali”. Quella Biennale segnò il trionfo dell’arte informale, ma Olga Jevrić non sarebbe stata Olga Jevrić se non avesse rifiutato di allinearsi alla corrente dominante, sostenendo che gli effetti provocati dalla sua arte fossero solo una fantasmagoria, un’illusione prodotta dalla patina delle sue opere.

Dopo la Biennale di Venezia del 1958, Olga tenne una serie di mostre a Torino, Padova, Roma (in Italia, a quanto pare, la sua arte fu subito accolta con entusiasmo), Londra, Atene, Bruxelles, Berlino, Helsinki, Vienna, Coblenza,… Le sue opere trovarono posto nei libri del noto critico d’arte Michel Seuphor Scultura del XX secolo (1959) e Dizionario della scultura moderna (1960). Le sue mostre personali organizzate a Belgrado (nel 1981, 1988, 2002 e 2012) saranno ricordate come eventi del tutto particolari. Nel 1974 Olga Jevrić fu ammessa all’Accademia serba delle scienze e delle arti come membro corrispondente e poi, nove anni dopo, come membro permanente. Oggi le sue opere fanno parte di collezioni permanenti di alcune importanti gallerie come Tate Modern di Londra, la Galleria nazionale di Berlino, il Museo d’Israele a Gerusalemme.

Ora proverò a “rimediare” al fatto di aver sin qui basato questo articolo principalmente sui dati di carattere informativo. Nel 1981 visitai, del tutto casualmente, lo ammetto, una mostra personale di Olga Jevrić organizzata nel Museo d’arte contemporanea di Belgrado. Fu una visita molto breve – osservando le forme astratte delle opere esposte ne capii ben poco, per non dire nulla. E non fui l’unico a chiedermi, anche se, a dire il vero, non lo dissi ad alta voce, come alcuni altri visitatori: “va bene, capisco le figure, ma cosa significa tutto il resto?”. Non nego che all’epoca il mio sguardo fosse rigido, uno sguardo influenzato dall’idea che nella scultura conti solo la dimensione figurativa, e nient’altro. Successivamente – quando, grazie alla mia frequentazione sempre più assidua dell’universo delle arti figurative, varie idee (forse anche qualcosa di più) si sono accumulate dentro di me, diventando più chiare – ho iniziato a percepire l’astrattismo come un puro linguaggio di materiali e forme che si aprono verso di noi in correlazione con le nostre sensazioni soggettive.

Riflettendo su questo argomento, mi torna sempre in mente un testo di Andrić incluso nel suo libro Znakovi pored puta [Segni lungo il cammino] in cui lo scrittore afferma: “Solitamente, ci accorgiamo prima di ciò che è in contrasto con le nostre abitudini, inclinazioni e idee, di ciò che ci disgusta, ci spaventa e che non possiamo accettare. Solo successivamente riusciamo a percepire tutto ciò che c’è di ragionevole e utile in quella cosa nuova, ciò che la rende giustificata e inevitabile”.

Non fu un caso che Olga Jevrić, pensando a chi affidare la realizzazione della parte testuale del modesto catalogo della sua prima mostra personale, si fosse rivolta a Vasko Popa (1922 – 1991), quindi ad uno dei più grandi e più originali poeti serbi ed europei del Novecento che in un suo testo intitolato Tajna pesme [Il segreto della poesia] afferma: “Ti chiedono quale sia il significato della tua poesia. Perché non chiedono ad un albero di melo quale sia il significato del suo frutto, ossia della mela? Se potesse parlare, l’albero di melo con tutta probabilità risponderebbe: ‘Date un morso ad una mela e capirete il suo significato!’”.

Ecco la poesia che Popa [3] scrisse per il catalogo di Olga Jevrić.

Cresce il tessuto stellare risalendo il telaio del cielo.

Si nutre di buio, per poter dare voce alla sua luce.

Si imbeve di vacuità, per poter mantenere intatta la sua statura, per poter sviluppare

Le sue ali. Cresce da sé, puro, non deve nulla a nessuno.

Si delinea un nuovo alone stellare. Come se nulla fosse mai esistito.

 

Concludo con due aneddoti [4].

Nel 1961 Tito, in compagnia della moglie Jovanka e del presidente egiziano Nasser, visitò la prima Triennale jugoslava di arti figurative organizzata a Belgrado, alla quale furono presentate anche tre sculture di Olga Jevrić. Durante la visita di Tito, tutti gli artisti stavano accanto alle loro opere. Ad un certo punto Jovanka si fermò cortesemente davanti a Olga con l’intento di presentarla: “Olga…”, ma Tito, spazientito, la interruppe dicendo: “Jančić!” (a quella Triennale furono esposte anche alcune opere della scultrice Olga Jančić).

“Non Jančić, bensì Jevrić!”, replicò Olga.

Mentre Tito si accigliava irritato, Nasser, attratto da una delle opere di Olga, le chiese: “What does it represent?” [Cosa rappresenta?].

“The unity of opposite forces” [L’unità delle forze opposte], rispose la scultrice.

Il presidente egiziano non fece altre domande.

 

Visitando la prima mostra personale di Olga Jevrić, il suo professore Sreten Stojanović si mise in mezzo alla sala e, ruotando su se stesso, disse: “Non ci capisco nulla!”.

“Professore, sono una sua ex studentessa!”, chiosò Olga.

“Ah, lei è proprio impertinente!”, esclamò il professore.

“Professore! Massa, composizione, proporzione!”.

 

Alcune riflessioni di Olga Jevrić

La mia generazione è cresciuta in questa terra, con la guerra, l’incertezza, la distruzione dei colpevoli e degli innocenti, gli sconvolgimenti sociali, la corruzione di tutte le norme morali. Come parte di quella generazione, ho sentito il peso di quell’epoca e la necessità di ripagare in qualche modo, attraverso le mie opere, il mio debito di gratitudine nei confronti degli scomparsi, dei morti, degli oppressi, avanzando le mie proposte per i monumenti, che hanno ispirato le fasi successive del mio percorso creativo. Non ho mai sottomesso le mie proposte per i monumenti ad alcun ordine sociale. Esse si sono sviluppate come un segno, un memento, come un riflesso degli stati d’animo complessi, delle emozioni, della consapevolezza del confronto con i fenomeni primordiali, quali lotta tra il bene e il male, impulso alla distruzione e bisogno di creare.

Da esponente del mondo della scultura sono consapevole di una certa responsabilità in tal senso. Da individuo che concepisce la propria esistenza realizzando oggetti specifici sto provando a fornire risposte alle sfide della vita e del mondo in cui e con cui vivo. Nel mio lavoro ho sempre cercato un linguaggio che mi permettesse di comunicare ciò che ho scoperto in questo tempo e in questo spazio in cui sono stata gettata. La scultura è la mia ragion d’essere.

È la conferma della mia esistenza, l’unica giustificazione della mia vita. Non sono sicura se in questo momento il mio lavoro possa avere qualche senso fuori di me, per il mondo che mi circonda. Ma fra cinquant’anni, forse.

Ho concepito le mie sculture negli spazi vuoti dove il dialogo con la terra e il cielo dà senso all’esistenza di sculture compiute.

La musica, come arte del suono che viaggia nello spazio, mi ha fornito un appoggio nella ricerca di un principio creativo nella scultura. La fotografia, invece, mi ha solo accompagnata nell’osservare e sperimentare il mondo, documentando la gioia degli incontri con le forme della vita.

 

[1] Ringrazio Dejan Vučetić per l’aiuto che mi ha fornito durante la stesura di questo articolo.

[2] I testi inclusi nel catalogo sono stati scritti da Milan Lojanica, Ješa Denegri, Ana Ereš, Dejan Vučetić, Žaklina Marković, Jovana Pikulić e Dina Pavić, mentre le fotografie sono state realizzate da Vladimir Popović, Željko Jovanović, Ljubinko Kožul, Marko Ercegović, Sandor Melank e Nobuya Abe.

[3] Tradotta in numerose lingue, la poesia di Vasko Popa suscitò un certo interesse in Italia solo una ventina di anni dopo la morte del poeta, grazie alla rivista In forma di parole che nel 2009 pubblicò un’ampia raccolta delle sue poesie (Vasko Popa: Poesie, curatore e traduttore Lorenzo Casson, autore della postfazione Dan Octavian Cepraga).

[4] Fu la scultrice stessa a raccontare gli aneddoti in questione in un documentario intitolato Olga Jevrić – misli i sećanja [Olga Jevrić – pensieri e ricordi] realizzato nel 2014 dalla Casa delle collezioni memoriali (regia di Jelena Marković, sceneggiatura di Dejan Vučetić, Ksenija Samardžija e Jelena Marković).