Pixabay - CC0 Creative Commons

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In Serbia si parla sempre più di delimitazioni, demarcazioni, scambio di territori, in riferimento ad una imminente soluzione dell’annosa questione del Kosovo. Un’analisi del dibattito in corso

21/08/2018 -  Antonela Riha

All’inizio di agosto il presidente serbo Aleksandar Vučić ha dichiarato di essere favorevole a una "delimitazione" territoriale tra Serbia e Kosovo, senza però precisare che cosa questa delimitazione potrebbe effettivamente implicare. Nonostante Vučić ultimamente abbia più volte annunciato l’avvicinarsi del momento di una “dolorosa presa di posizione” sulla questione del Kosovo, i suoi sostenitori tuttora ricordano che in passato aveva “giurato” che non avrebbe mai riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, a nessun prezzo.

Vučić ha alimentato ulteriormente il clima di confusione dichiarando di non avere nessun piano riguardo alla "delimitazione" con il Kosovo, ma che il prossimo 9 settembre si rivolgerà ai serbi del Kosovo.

Forse in quell’occasione l’opinione pubblica scoprirà che cosa intende il presidente serbo per “delimitazione”: il riconoscimento del confine attuale tra Serbia e Kosovo, che Belgrado definisce un confine “amministrativo”, oppure l’idea di una divisione del Kosovo secondo la quale la parte settentrionale, a maggioranza serba, verrebbe annessa alla Serbia?

Si specula inoltre su una terza ipotesi, ovvero su un possibile scambio di territori tra i due paesi che implicherebbe che i comuni di Preševo, Bujanovac e Medveđa situati nel sud della Serbia, e abitati prevalentemente da albanesi, vengano “scambiati” con i comuni a maggioranza serba nel nord del Kosovo.

Ed è proprio in quest’ottica che una parte dell’opinione pubblica serba ha interpretato l’affermazione del presidente del Kosovo Hashim Thaçi, il quale ha dichiarato che intende avanzare, nel quadro del negoziato condotto a Bruxelles, una proposta di “correzione dei confini”.

Le dichiarazioni rilasciate negli ultimi giorni dal presidente Vučić e dal suo omologo kosovaro dimostrano che la ricerca di una soluzione della questione del Kosovo si sta intensificando e che entrambi i presidenti stanno cercando di trarre il massimo vantaggio dalle trattative e di convincere le rispettive opinioni pubbliche che usciranno vittoriosi dal negoziato, pur non essendovi ancora certezza sul se e quando verrà raggiunto un accordo.

Questo intensificarsi della ricerca di un compromesso è dovuto alla necessità di raggiungere al più presto, nell’ambito del negoziato condotto sotto gli auspici dell’Unione europea, un accordo legalmente vincolante sulla normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Pristina. La ratifica di questo accordo è una condizione necessaria all’avanzamento della Serbia verso l’Unione europea.

Al momento non si sa nulla riguardo ai contenuti dell’accordo, tranne il fatto che dovrebbe impedire alla Serbia di bloccare l’ingresso del Kosovo nelle organizzazioni internazionali. Ciò significa, in ultima analisi, che il governo di Belgrado dovrà smettere di opporsi all’adesione del Kosovo alle Nazioni Unite, il che equivarrebbe a riconoscere – se non formalmente, almeno tacitamente – l’indipendenza del Kosovo.

Vaso di Pandora o operazione di facciata

Uno dei primi leader politici a esprimere sostegno all’idea di delimitazione territoriale avanzata da Vučić è stato il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik. “Noi desideriamo solo affermare i nostri interessi, quelli della Republika Srpska, della Serbia, dei quattro comuni [a maggioranza serba] nel nord del Kosovo, nonché gli interessi serbi in Montenegro”, ha dichiarato Dodik, esprimendo la propria visione del futuro della regione, e soprattutto della Bosnia Erzegovina.

L’ipotesi di recrudescenze nazionaliste ha suscitato forti reazioni prima ancora che Dodik la esplicitasse. L’ex primo ministro della Svezia Carl Bildt, che ha ricoperto l’incarico di Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia Erzegovina e conosce bene le dinamiche politiche dell’area balcanica, ha messo in guardia, in un articolo pubblicato su Washington Post, sul fatto che lo scambio di territori tra Serbia e Kosovo potrebbe aprire il vaso di Pandora, mettendo a rischio la pace non solo in Bosnia Erzegovina ma anche in Macedonia, dove una cospicua parte della popolazione è di nazionalità albanese.

Anche Daniel Serwer, professore presso la Johns Hopkins University di Washington ed esperto di Balcani, ha dichiarato, in un'intervista rilasciata a Radio Slobodna Evropa , che un’eventuale divisione del territorio kosovaro “aprirebbe la strada a tentativi di unificazione del Kosovo con l’Albania o con le regioni della Macedonia abitate prevalentemente da albanesi. Così si creerebbe un caos nei Balcani”. Serwer ha inoltre espresso dubbi sulla possibilità che Washington possa sostenere l’idea di una divisione del Kosovo.

Replicando alle affermazioni di Serwer, il diplomatico austriaco Wolfgang Petritsch, che è stato inviato speciale dell’Ue in Kosovo, ha dichiarato che un’eventuale divisione del Kosovo non sarebbe che una mera “correzione cosmetica” che “non avrebbe alcun effetto negativo sugli altri paesi della regione”, proponendo che, sotto l’egida dell’Ue, dell’Onu e dell’Osce, venga sottoscritta una dichiarazione che vincoli tutti i paesi dei Balcani ad astenersi in futuro da qualsiasi tentativo di raggiungere simili accordi.

Nel frattempo, su invito del ministro degli Esteri Ivica Dačić, in Serbia è arrivata in visita Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, la quale ha dichiarato che la Russia rispetterà “ogni decisione favorevole ai cittadini della Serbia”, ricordando che la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu sancisce l’integrità territoriale della Serbia.

A destare un’eco particolarmente forte è stata la dichiarazione della cancelliera tedesca Angela Merkel, secondo cui “nei Balcani non ci sarà alcuna modifica dei confini; l’integrità territoriale dei paesi dei Balcani occidentali è determinata e intoccabile”.

Commentando diverse reazioni all’ipotesi di una modifica del confine tra Serbia e Kosovo, il ministro degli Esteri Ivica Dačić ha dichiarato: “Nel caso in cui venisse raggiunto un accordo bilaterale, perché a qualcuno dovrebbe importare di quello che vi è scritto?”.

Tradimento e sostegno

A suscitare preoccupazione, soprattutto tra i serbi del Kosovo, è il fatto che ancora non è stata creata l’Associazione delle municipalità serbe, prevista dall’Accordo di Bruxelles firmato nel 2013, che dovrebbe garantire una certa autonomia alle enclavi serbe. La maggioranza della popolazione serba del Kosovo vive nella parte centrale del paese e, in caso di un’eventuale divisione del Kosovo, rimarrebbe privata dell’appoggio del governo di Belgrado di cui attualmente gode.

Inoltre nell’ambito del negoziato non è ancora stata affrontata la questione della divisione del patrimonio comune, né tanto meno quella relativa alla tutela della chiese e dei monasteri serbi in Kosovo.

Invece di cercare di risolvere numerose questioni bilaterali che si trascinano da anni, le autorità dei due paesi hanno aperto una nuova questione, quella della delimitazione del confine.

E oltre al fatto che fin dal 1999, quando le forze dell’esercito e della polizia serba si sono ritirate dal Kosovo dopo l’intervento militare della Nato, la Serbia non ha alcun controllo effettivo sul territorio kosovaro, la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu fa riferimento alla sovranità dell’allora Repubblica federale di Jugoslavia, nonché alla presenza della comunità internazionale in Kosovo.

Questo documento è uno dei principali argomenti a cui ricorre una parte dell’opposizione serba nel criticare l’idea di delimitazione con il Kosovo avanzata da Vučić. La maggior parte degli esponenti dell’opposizione accusa Vučić di aver tradito gli interessi nazionali e violato la Costituzione serba nella quale sta scritto che il Kosovo è parte integrante della Serbia, e sono favorevoli al mantenimento dello status quo, ovvero all’ipotesi del “congelamento del conflitto”, mentre alcuni persino sostengono la necessità di interrompere i negoziati.

Esprimendo una posizione diametralmente opposta, 35 organizzazioni non governative, favorevoli al proseguimento del dialogo tra Belgrado e Pristina, hanno invitato l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Federica Mogherini ad assumere una chiara presa di posizione contro la divisione del Kosovo e contro qualsiasi scambio di territori tra i due paesi.

La più forte resistenza all’idea della divisione del territorio kosovaro è arrivata dalle enclavi serbe in Kosovo, e in particolare dal monastero di Visoki Dečani situato nei pressi del confine con l’Albania. L’abate del monastero, padre Sava Janjić, e il vescovo di Raška e Prizren Teodosije hanno avvertito che un’eventuale divisione del Kosovo secondo un principio etnico non farebbe altro che aumentare le pressioni a cui sono sottoposti i serbi che vivono nella parte centrale del paese, spingendoli ad emigrare.

“Fanno parte di un’operazione organizzata e sistematica condotta dai servizi segreti”, li ha attaccati il capo dell’Ufficio per il Kosovo del governo serbo Marko Đurić. I media filogovernativi hanno inoltre reagito lanciando una campagna denigratoria contro i dignitari della Chiesa ortodossa serba in Kosovo, bollando padre Sava come difensore degli interessi albanesi (usando il peggiorativo šiptar), mercenario della CIA e peggiore nemico della Serbia. Questo linguaggio non è riservato solo ai rappresentanti della Chiesa ortodossa serba ma chiunque si azzardi a criticare le idee avanzate da Vučić viene bollato come traditore e nemico dello stato.

Il presidente Vučić invece riceve quotidianamente messaggi di sostegno non solo da parte dei funzionari del suo partito ma anche dei leader politici dei serbi del Kosovo, compresi i sindaci dei 10 comuni a maggioranza serba del Kosovo che hanno fatto sapere che appoggeranno ogni proposta di risoluzione della questione del Kosovo avanzata da Vučić, a prescindere che si tratti di “una delimitazione, correzione o qualcos’altro”.

Considerando l’ampio sostegno di cui gode, Vučić avrebbe già potuto spiegare in termini chiari – non solo attraverso i mezzi di comunicazione, ma anche in parlamento, aprendo un vero dibattito pubblico – tutti gli aspetti che hanno finora caratterizzato il negoziato tra Belgrado e Pristina e le possibili soluzioni alla questione.

Avrebbe potuto, invece di scagliarsi continuamente contro “nemici e traditori”, sforzarsi di ottenere un appoggio più solido da parte dell’opinione pubblica serba all’imminente risoluzione della questione dello status del Kosovo.

Quel che è certo comunque è che Vučić continuerà a seguire le indicazioni provenienti da Bruxelles e Washington, perché solo con il sostegno della comunità internazionale potrà adempiere a tutti gli obblighi assunti con la firma dell’Accordo di Bruxelles e rimanere al potere.