Serbia - UE  / Foto Shutterstock

Serbia - UE  / Foto Shutterstock 

In Serbia il sostegno all’UE è sceso al minimo storico, 41%. Ma questo non sembra preoccupare l'attuale esecutivo, che affrontando di petto la questione Kosovo sta spianando la strada verso l'Europa. E per ora accontenta Bruxelles senza perdere elettori

05/02/2013 -  Dragan Janjić Belgrado

Il drammatico calo di sostegno all’eurointegrazione, sceso secondo gli ultimi sondaggi al 41 percento, è motivo di seria preoccupazione per il governo serbo, che ha posto l’ingresso nell’Unione europea tra i principali obiettivi da raggiungere. La questione però non sembra del tutto prioritaria, perché la permanenza al governo dell’attuale coalizione dipende molto più dalla capacità di mantenere salda la situazione economica e sociale, piuttosto che da ciò che pensano i cittadini sull’Unione europea, il Kosovo e altre importanti questioni.

I leader del Partito progressista serbo (SNS) e vice premier Aleksandar Vučić sa bene che non vi sarà stabilità economica e sociale senza l’ingresso nell'UE e a questo obiettivo sottopone tutto, compreso l’atteggiamento sulla crisi in Kosovo, la cui soluzione è condizione centrale per l’integrazione europea della Serbia. Tuttavia, dal momento che né lui né i funzionari del suo partito cercano di portare avanti un discorso pubblico che mostri un chiaro orientamento europeo, devono necessariamente fare i conti con un aumento degli euroscettici.

I perdenti della transizione

I motivi di questa discrepanza sono evidenti. L’SNS lo scorso anno ha vinto le elezioni perché ha incassato l’appoggio dell’esercito dei perdenti della transizione. Un esercito che in Serbia è composto dalla maggior parte dei cittadini ai quali, i due governi precedenti, guidati dal Partito democratico (DS) e dall’ex presidente serbo Boris Tadić, non sono riusciti a dare risposte con passi risolutivi nella direzione dell’UE e aumentando il tenore di vita dei cittadini.

Il DS aveva posto come principale obiettivo di programma l’integrazione europea, mentre l’SNS, con un’aspra campagna dai toni populistici, affermava che il governo stava sbagliando tutto. In questo modo i perdenti della transizione sono rimasti convinti che il futuro europeo fosse una sorta di questione secondaria. E delusi dalla transizione, si sono messi non solo contro il DS e il precedente governo ma anche contro la stessa integrazione europea.

L’SNS è stato appoggiato da chi inoltre non ha mai nemmeno accettato i cambiamenti di 13 anni fa, quando fu abbattuto il regime di Slobodan Milošević. Questi pensano che l’Occidente sia il principale colpevole delle guerre in Jugoslavia e del suo dissolvimento, mentre ora l’obiettivo principale dell’Occidente è distruggere la Serbia. Motivo per cui vedono la Russia con favore mentre l'UE vorrebbe solo sottrarre il Kosovo alla Serbia.

La controrivoluzione?

Si tratta di una sorta di “controrivoluzione” alimentata dal desiderio dei cittadini di tornare al tempo del socialismo, quando lo stato garantiva occupazione per tutti. Nella campagna elettorale la schiera nazionalista ha insistito sul fatto che il peggior periodo della storia serba è stato quello successivo alla caduta del regime di Milošević.

I politici di questo orientamento formano la maggior parte dei quadri medi e bassi, e una buona fetta dei vertici dell'SNS. Vučić è consapevole di non poter facilmente cambiare la loro mentalità e quella di chi li ha eletti, motivo per cui non c’è stato, e non c’è tuttora, il tentativo di condurre un’aperta campagna a favore dell’eurointegrazione e dei valori europei.

Il governo serbo in pratica spiana la strada verso l'UE risolvendo i problemi legati al Kosovo, ma senza fare campagna pro-europea. Si sarebbe portati a pensare che tutto questo possa portare ad un calo di consensi dello stesso Vučić  e del governo a guida SNS. Invece succede proprio il contrario: il leader del SNS gode di oltre il 50% di sostegno dei cittadini ed è il doppio più popolare del secondo della lista, il premier Ivica Dačić.

Aleksandar Vučić contro la corruzione

Questo trend ha ben poco a che vedere con l’eurointegrazione ed è quasi esclusiva conseguenza della decisione di Vučić di avviare una strenua campagna contro la corruzione, dove per altro ottiene discreti successi. Persino tra i più ferventi euroscettici la lotta alla corruzione è in cima alla lista di priorità, e la maggior parte di quelli che hanno votato per l’SNS è convinta che le ruberie e la corruzione siano una delle ragioni principali della miseria in cui stanno sprofondando.

Vučić, quindi, ha creato un’abile combinazione in grado di mantenere buone relazioni con Bruxelles e Washington e aprire alla Serbia la strada verso l’UE, ma allo stesso tempo di mantenere alta la popolarità tra gli elettori, senza costringerli a cambiare la precedente posizione sull’Occidente e l’UE. Pertanto oggi in Serbia la maggior parte dei cittadini pensa che l’UE non sia la soluzione per i loro problemi, ma non rimprovera più di tanto a Vučić il fatto che sotto la pressione di Bruxelles e Washington faccia concessioni sul Kosovo.

Il Partito democratico e il presidente Boris Tadić hanno perso il potere perché non sono riusciti a trovare il modo per superare il divario tra una netta propensione all’eurointegrazione e la paura della perdita di popolarità tra i nazionalisti moderati, né hanno avuto il coraggio politico e la risolutezza di fare uno scarto che avrebbe cozzato con l’orientamento generale dell’elettorato. L’SNS ha sfruttato tutto ciò in campagna elettorale, accusando duramente i democratici di non tenere conto degli interessi nazionali serbi e del Kosovo.

Più coraggio di Tadić

Invece di spostarsi in modo più radicale verso l’UE e i valori europei, e così ottenere un maggiore sostegno degli euroentusiasti, Tadić ha ceduto alla paura di nazionalisti e ultranazionalisti e con grande esitazione si è mosso sul Kosovo. Così facendo ha perso su entrambi i fronti, lasciando insoddisfatti tanto i nazionalisti che gli euro-entusiasti. Con l’arrivo al potere, l’SNS ha iniziato in modo deciso a condurre, rispetto a Bruxelles e Pristina, proprio la politica che aveva abbozzato Tadić, ma che non si era azzardato a realizzare.

Ciononostante la discrepanza tra la maggioranza degli elettori nazionalisti, che hanno portato al potere l’SNS, e le mosse concrete che i vertici del partito compiono rispetto all’UE e al Kosovo non è certo superato, e continua ad essere una minaccia per Vučić e il suo partito. Il problema potrebbe aumentare quando arriverà il momento della definizione e della messa in opera delle riforme, la cui sostanza è diametralmente opposta ad una concezione populista della politica, che è invece caratteristica della maggior parte dei funzionari del SNS.

Finché raccolgono risultati nella lotta alla corruzione e finché riescono a mantenere la minima stabilità economica e sociale, Vučić e l’SNS non sono in grave pericolo. Gli ultranazionalisti riunitisi attorno al Partito democratico della Serbia (DSS), dell’ex premier Vojislav Koštunica, e attorno al Partito radicale serbo (SRS), ormai forza extra parlamentare, criticano aspramente il governo per la politica sul Kosovo e chiedono l’interruzione dei negoziati con l’UE, ma godono di scarso appoggio e non sono in grado di danneggiare il governo.

La situazione potrebbe però cambiare sostanzialmente se l’SNS e Vučić perdessero l’”occasione” della lotta alla corruzione e se la stabilità economica e sociale venisse seriamente minacciata. La loro posizione diverrebbe instabile e sconterebbero un’ulteriore pressione sia dagli ultranazionalisti che dall’opposizione di orientamento europeista, guidata dal Partito democratico. Il partito subirebbe scossoni interni ed esterni, e l’influenza dei suoi funzionari inclini all’euroscetticismo aumenterebbe.

 

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