Blocco nel centro di Belgrado (foto Beta)

Blocco nel centro di Belgrado (foto Beta )

Centinaia di cittadini hanno deciso di bloccare la strade della Serbia per protestare contro l’aumento del prezzo del carburante. Il governo accusa l’opposizione di aver strumentalizzato i cittadini, in realtà è il malcontento il vero motore delle proteste

14/06/2018 -  Dragan Janjić Belgrado

All’inizio di questa settimana, le autorità serbe hanno iniziato a intraprendere azioni per porre fine ai blocchi stradali organizzati in diverse città del paese in segno di protesta contro il prezzo troppo elevato della benzina. La polizia ha cominciato a sanzionare i proprietari dei veicoli che bloccavano il traffico, mentre i più alti funzionari statali, compreso il presidente serbo Aleksandar Vučić, hanno condannato duramente le proteste, annunciando il proseguimento degli interventi di polizia. Nel frattempo i media filogovernativi hanno avviato una campagna denigratoria contro i partecipanti alla protesta, accusandoli di bloccare la Serbia per ragioni politiche e di voler rovesciare il governo.

I blocchi stradali sono iniziati venerdì 8 giugno, quando molti cittadini hanno raccolto l’invito alla mobilitazione lanciato sui social network, e si sono conclusi martedì 12 giugno dopo i primi interventi delle forze di polizia. Gli esponenti del governo continuano a sostenere che dietro alle proteste vi sia l’opposizione, senza tuttavia fornire alcuna prova a sostegno di tale ipotesi, limitandosi a citare i tweet con cui alcuni leader dell’opposizione hanno espresso il loro appoggio ai manifestanti. Accusando l’opposizione, il governo sta cercando di dare all’intera vicenda una connotazione politica e di convincere l’opinione pubblica che la protesta non è motivata dal malcontento popolare bensì da intenzioni malevole degli oppositori al governo che agiscono contro gli interessi della Serbia.

Blocco stradale sul ponte Gazela (foto Beta)

Blocco stradale sul ponte Gazela (foto Beta)

Martedì 12 giugno il presidente Vučić ha dichiarato che le proteste non sarebbero durate ancora a lungo e che “la violenza non sarà tollerata”, aggiungendo che la responsabilità della situazione creatasi grava anche su di lui perché ha chiesto al governo serbo di non ostacolare lo svolgimento delle proteste. “Chi vi credete di essere per limitare la libertà di movimento?”, ha affermato il presidente Vučić, avvertendo che le competenti autorità statali avrebbero intrapreso tutte le misure previste dalla legge.

Oltre a non essere sostenute da alcuna prova concreta, le affermazioni secondo cui dietro alle proteste ci sarebbe l’opposizione non trovano riscontro negli attuali rapporti di forza sulla scena politica serba. Se l’opposizione fosse davvero capace di organizzare il blocco delle principali strade del paese, l’egemonia della coalizione di governo sarebbe seriamente minacciata. La verità è che la maggior parte dei partiti d’opposizione faticano a superare la soglia di sbarramento del 5%, non hanno accesso ai media mainstream, non dispongono di sufficienti risorse finanziarie per promuovere i loro programmi, e non hanno né la volontà politica né la capacità di dare vita a un’alleanza che sarebbe in grado di sfidare la leadership al potere.

L’opposizione serba non è sufficientemente forte né influente per poter difendere il diritto dei cittadini a manifestare il proprio dissenso, figuriamoci per organizzare proteste di massa. Se le cose stessero diversamente, ovvero se le recenti proteste fossero davvero organizzate da una forza politica seria, non si sarebbero esaurite in pochi giorni. Sarebbe una vera sorpresa se i blocchi stradali, di cui si parla ancora sui social network, guadagnassero nuovo slancio. E anche se ciò dovesse accadere, di certo non accadrà per volontà dell’opposizione bensì come conseguenza di un crescente malcontento dei cittadini.

Malcontento popolare

Lo slancio che ha caratterizzato la fase iniziale delle proteste dimostra che tra la popolazione, e soprattutto tra i membri della classe media, è diffuso un latente malcontento che può essere facilmente mobilitato. La polizia è riuscita a fermare le proteste, sanzionando i conducenti di veicoli che bloccavano la circolazione stradale, ma ciò non significa che il malcontento sia sparito. È emerso ancora una volta che le questioni sociali ed economiche sono il principale punto di debolezza dell’attuale governo, tenendo conto anche del fatto che la stabilità economica della Serbia dipende soprattutto dalle relazioni commerciali con l’Unione europea e con i paesi della regione.

La principale minaccia per la coalizione al governo non è quindi l’opposizione, bensì l’attuale situazione economica e sociale del paese. Essendone consapevoli, Vučić e i suoi più stretti collaboratori continuano ad annunciare l’aumento di stipendi e pensioni, parlando costantemente di crescita economica, bassa inflazione, grandi investimenti, tasso di disoccupazione ai minimi storici… Ciononostante, a volte capita che l’aumento dei prezzi susciti, del tutto inaspettatamente, forti reazioni tra i cittadini, come successo nel caso dell’aumento della benzina.

Negli ultimi anni alcuni movimenti civici, dimostratisi capaci di guidare e canalizzare il malcontento popolare, hanno organizzato numerose proteste di massa a Belgrado e in altre città della Serbia a cui hanno partecipato diverse migliaia di persone, ma non sono riusciti a contrastare seriamente il potere. Le iniziative civiche, come “Ne davimo Beograd” (“Non affondiamo Belgrado”), non sono riuscite a trasformarsi in organizzazioni serie, con obiettivi politici chiari e ben definiti. Essendo nati dalle rivolte spontanee dei cittadini, profondamente delusi dal comportamento dei partiti politici, questi movimenti non hanno cercato di unirsi in un unico fronte con l’opposizione, già debole e costantemente demonizzata dai media, perdendo col tempo l’energia e l’entusiasmo iniziale.

È chiaro, quindi, che la compagine di governo per ora non ha ragione di temere l’opposizione, che è ormai da anni demonizzata nel discorso pubblico e che, come si è visto, può essere facilmente screditata agli occhi dell’opinione pubblica. È altrettanto chiaro che i movimenti civici non sono ancora sufficientemente maturi da poter sfidare la leadership al potere. Tuttavia, il governo ha buoni motivi per temere che il malcontento popolare possa portare alla nascita di una nuova forza politica in grado di danneggiare seriamente la coalizione al governo, o che alcuni partiti dell’opposizione possano rivitalizzarsi e rafforzarsi.

Accise sui carburanti

In Serbia i prezzi della benzina sono tra i più alti della regione e le accise e altre tasse gravano notevolmente sul costo finale. Il segretario generale dell’Associazione delle compagnie petrolifere della Serbia Tomislav Mićović spiega che diverse imposte incidono per oltre il 54% sul costo della benzina e che negli ultimi due anni il governo non ha voluto prendere in considerazione la riduzione delle accise. La Serbia si colloca al sesto posto tra i paesi della regione per il prezzo al consumo della benzina, dopo Grecia, Croazia, Albania, Montenegro e Slovenia.

Il presidente Vučić ha accusato i governi precedenti di aver introdotto troppe imposte sui carburanti, tuttavia i dati dimostrano che l’incremento delle accise ha subito un’accelerazione a partire dal 2016.

Stando alle parole di Mićović, la Serbia si colloca al secondo posto tra i paesi della regione per l’incidenza delle imposte sul prezzo della benzina, dopo la Croazia dove l’incidenza delle imposte si attesta al 56,55%, mentre ad esempio in Macedonia è pari al 46,14%. La Serbia è invece al primo posto per l’incidenza delle tasse sul prezzo al consumo del gasolio, attestata al 53,49% (in Macedonia l’incidenza è del 39,31%), e sul prezzo medio del GPL, pari al 49,10%, seguita dall’Ungheria (il 36,29%) e dalla Croazia (il 21,13%).

Tenendo conto di questi dati, c’è da aspettarsi che il governo serbo decida di ridurre le accise sui carburanti, almeno per una percentuale simbolica. Questa riduzione potrebbe innanzitutto riguardare il gasolio e altri carburanti agricoli, il cui costo incide sui prezzi dei prodotti alimentari. Riducendo i prezzi dei carburanti usati in agricoltura il governo eviterebbe il rischio che gli agricoltori comincino a protestare bloccando le strade. Un’eventuale riduzione delle accise potrebbe avvenire solo dopo la conclusione definitiva delle attuali proteste, perché il governo non vuole che le sue decisioni vengano interpretate come un cedimento alle pressioni. La riduzione probabilmente sarà irrisoria, ma basterà per placare temporaneamente il malcontento sociale.