Aleksandar Vučić © Dragan Mujan/Shutterstock

Aleksandar Vučić © Dragan Mujan/Shutterstock

Con l'opposizione litigiosa e divisa, non sorprende la nuova vittoria del presidente serbo Aleksandar Vučić alla ripetizione delle amministrative dello scorso 2 giugno. Insieme a Belgrado, il partito di governo trionfa anche in roccaforti tradizionali dell'opposizione

12/06/2024 -  Antonela Riha Belgrado

Non sorprende che le liste riunite attorno al presidente serbo Aleksandar Vučić abbiano ottenuto una vittoria schiacciante alle elezioni amministrative dello scorso 2 giugno, né tanto meno che durante il voto siano stati registrati brogli, furti di schede, arrivi organizzati di elettori dalla Republika Srpska e il cosiddetto "treno bulgaro", cioè il ricorso a schede precompilate.

I simpatizzanti dell’opposizione sono rimasti delusi dal disfacimento della coalizione “Srbija protiv nasilja” (SNP) [La Serbia contro la violenza] e dal magro risultato ottenuto in quei comuni dove, considerando l’esito della precedente tornata elettorale, ci si aspettava vincessero.

A Belgrado – al posto della coalizione “La Serbia contro la violenza” come inizialmente previsto – a ottenere la maggioranza dei voti tra le forze dell’opposizione è stato Savo Manojlović, leader del movimento "Kreni-promeni" [Dai il via al cambiamento], presentatosi per la prima volta in assoluto. Anche a Niš, la terza città più grande della Serbia, il 25% dei cittadini ha dato il proprio voto ad una lista civica guidata dal cardiochirurgo Dragan Milić.

Al momento della stesura di questo articolo non sono ancora stati pubblicati i risultati definitivi delle elezioni a Niš, Čačak e in quattro municipalità di Belgrado. L’opposizione ha avanzato diverse critiche, accusando la leadership al potere di aver influenzato il voto a proprio vantaggio.

Lotte interne all’opposizione

Dopo le elezioni del dicembre 2023 Vučić non era riuscito a formare un nuovo consiglio comunale di Belgrado, trovandosi quindi costretto a ripetere il voto nella capitale. Nel loro rapporto sulla tornata elettorale dello scorso dicembre, gli osservatori dell’Ufficio dell’OSCE per le istituzioni democratiche e i diritti umani (ODIHR) avevano espresso diverse preoccupazioni, formulando anche una serie di raccomandazioni per rendere più eque le successive elezioni.

L’opposizione, in primis quella riunita attorno all’ormai ex coalizione “La Serbia contro la violenza” (SPN), aveva avanzato le proprie richieste, chiedendo che le elezioni comunali – che inizialmente si sarebbero dovute tenere a maggio – venissero rimandate per consentire l’avvio di un dialogo con la leadership al potere, e con il sostegno della comunità internazionale, per discutere le condizioni per elezioni eque e libere.

Il fatto che le amministrative siano state convocate per il 2 giugno ha provocato una spaccatura all’interno dell’opposizione. Nonostante non siano state esaudite tutte le loro richieste, alcuni membri della coalizione SPN hanno deciso di partecipare alle elezioni con lo slogan “Biram borbu” [Scelgo la lotta].

Altri, riuniti attorno alla principale forza di opposizione, il Partito di libertà e giustizia (SSP) di Dragan Đilas, hanno invece deciso di boicottare il voto, ritenendo che le elezioni avrebbero dovuto essere rinviate all’autunno per verificare tutti gli elenchi degli aventi diritto a cui – secondo l’opposizione – il Partito progressista serbo (SNS) di Vučić avrebbe “aggiunto” elettori provenienti soprattutto dalla Republika Srpska, non residenti in Serbia.

Non tutti quelli che hanno invitato al boicottaggio sono però rimasti coerenti. Alcune forze, pur non essendosi presentate alle elezioni a Belgrado, hanno partecipato a quelle in altre città, come Novi Sad, dove l’opposizione si è presentata con un’unica lista.

C’è stata quindi molta confusione tra le fila dell’opposizione. L’intera campagna elettorale è stata segnata da polemiche tra i leader dell’ex coalizione SPN sulla necessità o meno di partecipare al voto. L’alleanza “Scelgo la lotta” – composta da sei forze politiche, tra cui il Fronte della sinistra verde (ZLF), il Movimento dei cittadini liberi (PSG) e il Partito democratico (DS) – ha avuto scarse probabilità di successo, costretta a condurre la sua campagna elettorale principalmente sui social.

Anche i media indipendenti di Belgrado hanno dato maggiore spazio a quelle forze di opposizione che, avendo deciso di boicottare il voto, hanno accusato i loro ex alleati di non aver mantenuto la parola data accettando di partecipare alle elezioni a condizioni inique.

Questi scontri hanno inevitabilmente inciso sull’esito della tornata elettorale. A Novi Sad l’opposizione unita (compresi i partiti che hanno boicottato il voto a Belgrado) non è riuscita a sconfiggere la coalizione guidata dall’SNS. Gli elettori indecisi sono rimasti a casa, perché le polemiche e i messaggi lanciati dai leader dell’opposizione di Belgrado hanno incoraggiato l’astensionismo.

Ci si aspettava che l’opposizione vincesse almeno nelle sue roccaforti tradizionali, aspettative rimaste deluse proprio a causa dei disaccordi interni. Anche in quei comuni dove la regolarità del voto è stata messa in discussione, denunciando diversi brogli, è poco probabile che il partito di Vučić ceda il potere all’opposizione.

Lo si è già visto nel corso della giornata del voto, quando gli attivisti dell’SNS hanno lanciato gas lacrimogeni contro giornalisti, simpatizzanti dell’opposizione e cittadini radunati alla Fiera di Novi Sad dove si trovava il call-center dell’SNS. La protesta è scoppiata perché si sospettava che nel call-center ci fossero falsi elenchi degli aventi diritto. Anche a Belgrado si sono verificati diversi incidenti.

La campagna contro la risoluzione su Srebrenica

A differenza dell’opposizione, il presidente Vučić è sempre in campagna elettorale e il suo potere sembra monolitico. Anche questa volta, pur trattandosi di elezioni amministrative, Vučić ha costruito la sua campagna elettorale su temi di presunto interesse nazionale, concentrandosi in particolare sulla Risoluzione su Srebrenica, approvata dall’Assemblea generale dell’Onu lo scorso 23 maggio. Il documento istituisce l’11 luglio come Giornata internazionale della memoria del genocidio di Srebrenica, condannando la negazione del genocidio e l’esaltazione dei criminali di guerra.

Nel testo della risoluzione non viene mai menzionata la Serbia né il popolo serbo, eppure nelle settimane precedenti alla votazione la leadership di Belgrado e i media allineati hanno sottolineato in continuazione che la risoluzione sarebbe diretta contro i serbi con l’intento di definirli popolo genocida.

Il giorno del voto, sul tetto di una torre situata nel lussuoso quartiere di “Belgrado sull’acqua” è comparso un messaggio che recitava: “I serbi non sono un popolo genocida”, a cui poi, una volta conclusa la seduta dell’Onu, sono state aggiunte le parole di ringraziamento ai diciannove paesi, elencati uno per uno, che hanno votato contro la risoluzione.

Durante la votazione, il presidente Vučić, così come i membri della sua delegazione, si è avvolto in una bandiera serba. Al rientro da New York ha continuato a ripetere che la Serbia ha vinto perché 68 paesi si sono astenuti dal voto, mentre “soltanto” 84 paesi hanno appoggiato la risoluzione. Secondo la logica della leadership di Belgrado, la maggior parte dei paesi si è schierata al fianco della Serbia: una vittoria di Vučić, che non fa che lottare e sacrificarsi per il popolo serbo.

Questo non è l’unico evento bizzarro accaduto nelle ultime settimane. In vista delle elezioni amministrative, Aleksandar Šapić, sindaco di Belgrado, ha organizzato le cosiddette “Giornate della famiglia”, promuovendo per settimane diversi eventi in tutta la città. Per dare maggiore visibilità alla sua iniziativa, Šapić ha sfruttato anche la tournée della band tedesca Rammstein – che da tempo ormai aveva annunciato un concerto a Belgrado – inserendola tra gli eventi previsti nell’ambito delle Giornate della famiglia.

Di certo c’è che al concerto dei Rammstein ha partecipato un pubblico molto più numeroso di quello dell’evento organizzato per festeggiare la vittoria di Vučić alle elezioni amministrative.

“Il primo sinodo di tutti i serbi”, promosso con lo slogan “Un popolo, un sinodo – Serbia e [Republika] Srpska], si sarebbe dovuto svolgere in concomitanza con la votazione della Risoluzione su Srebrenica. È stato però rinviato con l’annuncio che avrebbe riunito decine di migliaia di persone. Stando alle stime dei media indipendenti, al Sinodo, tenutosi dopo le elezioni locali, hanno partecipato meno di diecimila persone.

La manifestazione si è aperta con una preghiera, recitata dal patriarca della Chiesa ortodossa serba Porfirije, e si è conclusa con una festa sul tetto di un centro commerciale nel quartiere “Belgrado sull’acqua”. Nel frattempo, Vučić, insieme al presidente della Republika Srpska Milorad Dodik, ha presentato una proposta della Dichiarazione sulla protezione dei diritti nazionali e politici e sul futuro comune, in cui si afferma che il popolo serbo è un’entità unica e che il Kosovo è parte integrante della Serbia, e si esprime la contrarietà alla Risoluzione su Srebrenica.

Con questo evento Vučić ha inviato un chiaro messaggio ai cittadini serbi e all’intera regione, coronando l’ennesima vittoria elettorale che gli permetterà di continuare a governare indisturbato, anche se i risultati delle tornate elettorali degli ultimi anni dimostrano che la sua popolarità è in calo.

Nei prossimi anni Vučić non avrà nemmeno bisogno di nuove elezioni, si prepara per l'Expo 2027 , fiera internazionale già annunciata come un grosso investimento. A giudicare dal modo in cui finora si è investito in Serbia, a trarne grandi vantaggi sarà la leadership al potere.