Il viso di un robot femminile

(© martan/Shutterstock)

No, non è un racconto horror e nemmeno un fantasy. In questo commento robot e zombie diventano metafore - drammatiche - della conduzione politica di due paesi, Serbia e Bosnia Erzegovina

19/06/2020 -  Ahmed Burić Sarajevo

Il video di una recente visita del presidente serbo Aleksandar Vučić allo spazio espositivo del Centro per la robotica e l’intelligenza artificiale presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Belgrado è diventato virale in tutta la regione. Durante la visita, ideata dal team di pubbliche relazioni del presidente come parte integrante della sua campagna elettorale, Vučić ha parlato con un robot intelligente (o forse, nello spirito di rispetto della parità di genere, sarebbe più corretto dire una robot?) di nome Ema progettato dall’azienda cinese NetDragon Websoft.

Dopo una presentazione iniziale, alla domanda del presidente Vučić sul perché sia venuta in Serbia, Ema, che sta imparando a relazionarsi con gli esseri umani, ha risposto: “Amo la Serbia. Visto che sono una forma di tecnologia intelligente, è ovvio che ho scelto di stare in Serbia. Non solo per la sua gente straordinaria, la sua ricca tradizione e la natura, ma anche perché questo paese ha davanti a sé un futuro luminoso. Sono venuta a causa delle menti straordinarie di questo paese, per migliorare l’educazione dei giovani in Serbia, con l’aiuto delle moderne tecnologie educative provenienti dalla Cina, lo studio delle lingue e lo sviluppo delle discipline scientifiche. Il Centro per la robotica e l’intelligenza artificiale dove lavoro garantirà ai giovani la migliore educazione, rendendo orgogliosi tutti i genitori, e la Serbia diventerà uno dei paesi più avanzati, esattamente come dovrebbe essere”.

Dopo che Ema ha concluso il suo breve discorso, il presidente Vučić ha rivolto uno sguardo all’ambasciatrice cinese a Belgrado, Chen Bo, e a quel punto nel video si sente una risata di sollievo e di gioia.

Anche Ema è probabilmente uno degli assi nella manica del presidente serbo, grazie ai quali Vučić sicuramente riuscirà a sconfiggere tutte le altre forze politiche alle imminenti elezioni parlamentari.

L’epoca del declino globale del pensiero politico giova perfettamente ai dittatori locali: gli elettori fedeli di Janša in Slovenia, quelli di Orbán in Ungheria e l’onnipotente Putin che dalla Russia porta vento in poppa ai leader balcanici, ci fanno pensare che l’attuale situazione persisterà ancora per molto tempo.

Praticamente intere generazioni se ne sono andate dai Balcani, lasciando i propri paesi nelle mani di criminali emotivamente deprivati e narcisisti, che hanno privatizzato i beni pubblici, approfittandone per gettare le basi della propria ricchezza. I popoli balcanici, snervati dalle guerre e dalla retorica nazionalista, hanno accettato tutto, “pur di non sparare di nuovo”, e ciò ha portato alla situazione attuale in cui le vecchie forze nazionaliste si mantengono al potere con varie manovre, anche comprando voti e assumendo i propri elettori nel settore pubblico.

Date queste premesse, risulta ovvio che, qualunque sia l’esito delle imminenti elezioni parlamentari in Serbia, questa tornata elettorale non cambierà molto la situazione politica nel paese.

Ad ogni modo, la robot Ema – a giudicare dai risultati di una ricerca sugli atteggiamenti valoriali degli studenti serbi, condotta dall’Istituto per la ricerca sociale della Facoltà di Filosofia dell’Università di Belgrado, insieme al Comitato di Helsinki per i diritti umani in Serbia – avrà molto da fare per migliorare l’educazione serba.

La ricerca in questione , i cui risultati sono stati pubblicati qualche settimana fa, è stata condotta nel 2019 nelle scuole superiori in cinque città serbe: Belgrado, Novi Pazar, Niš, Kragujevac e Novi Sad. I dati non vanno mai commentati senza essere contestualizzati, ma alcuni dei risultati emersi dalla ricerca sono piuttosto sconfortanti: stereotipi negativi sulle persone LGBT, aborto considerato come peccato, e persino l’idea secondo cui la donna a volte dovrebbe essere “sollecitata”, ricorrendo alla violenza, ad adempiere ai propri doveri coniugali.

Per quanto riguarda l’atteggiamento degli studenti serbi nei confronti dei loro vicini, la situazione è la seguente: più della metà degli intervistati (la ricerca è stata effettuata su un campione di circa 900 studenti) ritiene che il Kosovo sia il cuore della Serbia e che la Serbia non ci rinuncerà mai.

Tenendo conto di questo dato, il numero degli studenti che non credono che i serbi non abbiano commesso alcun crimine durante le ultime guerre combattute sul territorio dell’ex Jugoslavia è più alto di quanto ci si aspetterebbe, il 32%. La percentuale di coloro che riconoscono il genocidio di Srebrenica sale addirittura al 38,2%, un dato che lascia sperare che gli studenti intervistati possano costituire una solida base partendo dalla quale la donna robot Ema potrebbe raggiungere risultati notevoli nel campo dell’educazione, contribuendo a una migliore comprensione del ruolo dello stato e del popolo serbo nella recente storia del sud-est Europa.

Immaginate inoltre che Ema trovi un impiego in una scuola a Šabac, dove dovrà spiegare ai ragazzi chi sono (stati) Ratko Mladić e Radovan Karadžic, che il 31,2% degli intervistati considera criminali di guerra. Quindi, la classe sarebbe divisa, ma prevarrebbero quelli che ritengono che il duetto Mladić-Karadžić condannato all’Aja non sia colpevole di nulla, così come più della metà degli intervistati pensa che i serbi non siano responsabili dei crimini commessi in Kosovo alla fine degli anni Novanta del secolo scorso. In tale atmosfera, per Ema non sarebbe facile tenere lezioni.

Vi è però anche l’altro lato della storia. Il 43% degli intervistati crede che sia possibile una riconciliazione tra serbi e croati, il 53% crede in una riconciliazione tra serbi e bosgnacchi e il 23% in una riconciliazione tra serbi e albanesi. Inoltre, più della metà degli intervistati ritiene che la responsabilità delle guerre degli anni Novanta ricada sulle élite politiche e non sui popoli ex jugoslavi.

Per quanto riguarda invece la Bosnia Erzegovina, ovvero il suo popolo più numeroso, quello bosgnacco, il principale leader politico bosgnacco, Bakir Izetbegović, non socializza con i robot – anche perché in Bosnia Erzegovina, a dire il vero, di robot non ce ne sono affatto – ma si può tranquillamente affermare che si comporta come se fosse uno zombie. Nell’ultima intervista di circa un mese fa – che Izetbegović ha scelto di rilasciare, dopo mesi di silenzio, non a uno dei media pubblici e nemmeno a uno dei rispettabili media privati, bensì a un’emittente piuttosto oscura, la Televisione musulmana Igman - il leader bosgnacco ha evitato di affrontare quasi tutte le questioni di rilievo. Questa intervista è l’esempio della spudoratezza dei media, un’agiografia assurda di un uomo assurdo che, grazie alle circostanze storiche, si è trovato a guidare l’unico popolo europeo vittima di un genocidio dopo la Seconda guerra mondiale.

In questi giorni, forse più che mai, sta emergendo il carattere paradossale delle elezioni nei Balcani. Le forze politiche che hanno deciso di boicottare le elezioni in Serbia si sono semplicemente rese conto di non essere sufficientemente forti da far vacillare il regime di Vučić e del suo partito progressista serbo (SNS), al potere ormai da otto anni.

Quanto alle prossime elezioni in Bosnia Erzegovina, forse l’opzione migliore sarebbe quella di organizzare il boicottaggio delle elezioni, come un atto di disobbedienza civile. Ma tale opzione porterebbe alla conferma dello status quo, ed è proprio quello che auspicano il Partito di azione democratica (SDA) di Izetbegović e l’Unione democratica croata della Bosnia Erzegovina (HDZ BiH).

Qualche giorno fa, i leader dei due partiti hanno finalmente raggiunto un’intesa sullo svolgimento delle elezioni amministrative a Mostar, che non si tengono da oltre dieci anni. Ma non lo hanno fatto perché ci tengono a migliorare la vita della popolazione locale, bensì perché vogliono rimanere al potere. E per far sì che l’attuale brutta situazione si protragga all’infinito.