Già ministro dell'Interno, attuale ministro della Difesa, vicepremier e membro della dirigenza del partito di governo SNS, Nebojša Stefanović era uno dei più stretti e fedeli collaboratori del presidente Aleksandar Vučić. Era, perché qualcosa sembra sia andato storto
La carriera politica di Nebojša Stefanović, ministro della Difesa e membro della dirigenza del Partito progressista serbo (SNS), sembra avvicinarsi alla fine. Nulla di strano si direbbe, gli alti e bassi sono parte integrante della vita dei politici da che mondo è mondo. Ciò che però rende particolare il caso di Stefanović, che fino a poco tempo fa era uno dei più stretti e fedeli collaboratori del presidente Aleksandar Vučić, è il meccanismo che è stato messo in moto dalla leadership al potere come una sorta di prologo alla rimozione di Stefanović da tutti gli incarichi istituzionali e di partito.
Negli ultimi giorni diversi comitati locali dell’SNS – dal sud della Serbia ad alcune municipalità di Belgrado – hanno infatti avanzato le stesse identiche richieste, chiedendo all’unisono, come se stessero obbedendo ad un ordine, le dimissioni di Stefanović.
Mentre le critiche rivolte a Stefanović da parte dei suoi compagni di partito risuonano come un’eco in tutto il paese, grazie anche ai tabloid di regime che stanno dando un’impronta decisiva all’attuale clima politico nel paese, il presidente Vučić, che è anche leader dell’SNS, è molto cauto nell’esprimersi sulla polemica che sta scuotendo il suo partito.
“Non ci penso nemmeno a condurre una campagna denigratoria contro un membro del mio partito“, ha dichiarato Vučić , sottolineando però che dipende solo da Stefanović se continuerà o meno a ricoprire l’incarico di ministro. Il presidente non ha chiarito cosa intendesse dire con questa affermazione, lasciando che i membri e alcuni alti funzionari dell’SNS fungessero da suoi portavoce.
Il primo ad intervenire è stato Vladimir Đukanović, deputato dal parlamento serbo, considerato uno dei fedelissimi di Vučić. Đukanović ha pubblicato un post su Facebook, chiedendo che i vertici del comitato dell’SNS di Belgrado, compreso Stefanović, venissero destituiti.
“Pur non essendo membro del comitato dell’SNS di Voždovac né di quello di Belgrado, sono comunque membro della dirigenza e del Comitato centrale del partito, amo il mio partito e sono uno dei suoi fondatori, pertanto desidero affermare pubblicamente di essere assolutamente favorevole alla destituzione di tutti i membri del comitato dell’SNS di Belgrado, e sottolineo che sono particolarmente favorevole alla destituzione del presidente del comitato [Stefanović]“, ha scritto Đukanović su Facebook.
In un comunicato stampa diffuso al termine della seduta del comitato locale dell’SNS di Rakovica (una delle municipalità di Belgrado), tenutasi lo scorso 14 maggio, si afferma che Stefanović ormai da tempo non svolge in modo adeguato i suoi incarichi all’interno del partito e che i numerosi scandali che lo vedono coinvolto, in primis lo scandalo delle intercettazioni, mettono a rischio l’incolumità del presidente Vučić e della sua famiglia.
I membri del comitato dell’SNS di Rakovica si sono detti “profondamente delusi dell’operato di Stefanović in veste di presidente del comitato dell’SNS di Belgrado“ e, appellandosi allo statuto del partito, hanno chiesto di avviare la procedura di destituzione di Stefanović da quell’incarico.
Il comitato dell’SNS di Čačak ha deciso all'unanimità di sollecitare la destituzione di Stefanović dall’incarico di ministro della Difesa e la sua estromissione dal partito. I membri del comitato, nel corso di una recente seduta, hanno rivolto diverse critiche a Stefanović, rimproverandogli di non aver condiviso con il presidente Vučić né con le persone incaricate di proteggerlo alcune informazioni riguardanti le attività di un gruppo criminale guidato da Veljko Belivuk, informazioni di cui Stefanović sarebbe venuto in possesso all’epoca in cui era ministro dell’Interno.
Anche il comitato dell’SNS di Vračar, uno dei quartieri del centro storico di Belgrado, durante una recente seduta – a cui hanno partecipato anche il ministro degli Esteri Nikola Selaković, il ministro dell’Edilizia Tomislav Momirović e il vicesindaco di Belgrado Goran Vesić – ha chiesto la destituzione di Stefanović a causa delle “intercettazioni illecite del presidente“.
Nebojša Stefanović ad oggi non ha rilasciato alcuna dichiarazione in merito all’intera vicenda, ma nel dicembre 2019, dopo lo scoppio dello scandalo Krušik, aveva affermato che non avrebbe esitato a rassegnare le dimissioni se Vučić glielo avesse chiesto.
Da allora sono accadute molte cose che evidentemente hanno fatto incrinare i rapporti tra Stefanović e Vučić, portando all’attuale situazione, alquanto insolita, in cui Vučić non chiede, almeno non direttamente, le dimissioni di Stefanović e quest’ultimo al momento non sembra pronto a dimettersi.
Finora Vučić ha sempre sostenuto incondizionatamente Stefanović, anche quando il ministro è stato accusato di aver plagiato la sua tesi di dottorato. Vučić non ha mai prestato alcuna attenzione alle accuse di coinvolgimento del padre di Stefanović nel traffico illecito di armi né alle numerose critiche rivolte a Stefanović all’epoca in cui era a capo del ministero dell’Interno.
Quello che Vučić non perdona ai suoi collaboratori non è quindi il loro presunto coinvolgimento in atti di corruzione, arricchimento illecito e plagio dei titoli di studio, bensì la mancata prontezza ad assumere un atteggiamento di fedeltà assoluta, obbedienza cieca e sostegno incondizionato nei suoi confronti.
Sembra che Nebojša Stefanović abbia fallito questo test nel momento in cui Vučić ha scoperto di essere stato sottoposto a intercettazioni telefoniche. In realtà, ad essere intercettati – come ha spiegato in un'intervista l’ex ispettore di polizia Nebojša Trbović – non sono stati il presidente e i membri della sua famiglia, bensì alcune persone, 26 in tutto, con cui Vučić e i suoi familiari hanno intrattenuto ben 1882 conversazioni telefoniche. Nonostante le conversazioni intercettate – come ha affermato il ministro dell’Interno Aleksandar Vulin – non contengano alcun elemento da cui si possa desumere la sussistenza di un reato, Stefanović sembra aver commesso un grave “peccato“ decidendo di non mettere Vučić al corrente della vicenda delle intercettazioni, di cui il presidente è venuto a conoscenza, come ha spiegato lui stesso, tramite “un poliziotto onesto“.
Può darsi che Stefanović abbia voluto tenere per sé certe informazioni confidenziali emerse durante le conversazioni intercettate per poter eventualmente usarle a proprio vantaggio, ma anche se si fosse trattato di un semplice errore, Vučić non sembra disposto a perdonarlo. E a pagarne le spese sono gli ex collaboratori di Stefanović dell’epoca in cui era ministro dell’Interno, da Dijana Hrkalović, ex segretaria di stato presso il ministero dell’Interno, ai semplici dipendenti pubblici vicini all’ormai ex dirigenza del ministero.
È logico quindi che anche Stefanović sia finito nel mirino delle critiche, ma dato che si tratta di un alto funzionario ben informato di molte vicende politiche, è stata scelta una tattica molto più raffinata, utilizzata già ai tempi di Slobodan Milošević, nota come “differenziazione ideologico-politica”. Stefanović non è stato bruscamente destituito né arrestato per evitare di danneggiare politicamente Vučić e il suo partito, bensì si è deciso di affidare l’intera campagna ai vari comitati dell’SNS che fungono da sorta di portavoce di Vučić. È chiaro però che l’epilogo dell’intera vicenda dipenderà da Vučić, ma anche dalla prontezza di Stefanović a collaborare con il presidente. Tutto il resto è un misero spettacolo messo in scena per gli accoliti del partito al governo, ma anche per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica serba da alcuni problemi molto più importanti che toccano la vita quotidiana dei cittadini.