Il premier serbo Vučić ha indetto elezioni parlamentari anticipate. Una scelta che fa discutere, a due anni dalla fine naturale del mandato. Un’analisi

25/01/2016 -  Dragan Janjić Belgrado

Il premier serbo Aleksandar Vučić e il suo Partito progressista serbo (SNS) si aggiudicheranno senza dubbio le elezioni parlamentari e amministrative previste per questa primavera, ma non è detto ripetano il successo elettorale ottenuto due anni fa. L'SNS ha attualmente, da solo, la maggioranza dei 250 seggi del parlamento, e insieme con il partner di coalizione Partito socialista della Serbia (SPS) arriva ad una maggioranza dei due terzi. Per Vučić non sembra ora così facile ripetere questo successo.

Anche le ultime politiche erano state indette anticipatamente: Vučić e l’SNS avevano sfruttato in quell'occasione l’enorme boom di popolarità di cui godevano ed avevano tranquillamente “schiacciato” tutti i rivali sia di destra che di sinistra, lasciando gli ultranazionalisti fuori dal parlamento.

Nel frattempo però le circostanze della politica serba sono iniziate a cambiare, ed esistono possibilità concrete che dopo le elezioni entrino in parlamento i partiti della destra ultranazionalista, mentre i partiti liberali e filo europei dovrebbero migliorare la loro ad oggi debolissima posizione.

Perché elezioni anticipate?

L’argomento principale addotto da Vučić per indire elezioni anticipate è che gli è necessario un nuovo mandato quadriennale per portare a termine le riforme avviate. Non si capisce però perché non potrebbe proseguire con le riforme nei prossimi due anni di mandato che gli resterebbero, sfruttando la maggioranza dei due terzi del parlamento e le buone relazioni con il suo partner di coalizione Ivica Dačić, ministro degli Esteri in quota SPS.

Ancora meno convincente suona l'argomentazione di Vučić sul fatto che il governo è esposto a numerose critiche e che le nuove elezioni sono necessarie per assicurare la stabilità politica. Perché né durante la campagna elettorale né dopo le elezioni cesseranno le critiche sul conto del governo, mentre la maggioranza dei due terzi del parlamento sembra pur sempre una meta irraggiungibile per i politici della maggior parte dei paesi democratici

Si deve quindi dedurre che i veri motivi alla base di elezioni politiche anticipate siano tacitati e che il premier prevede che nei prossimi mesi ed anni la popolarità sua e dell'SNS diminuirà invece di salire. È del tutto possibile che sia questo il motivo che lo ha incalzato a sfruttare la posizione dominante di cui tutt’ora gode e che al posto dei due anni a disposizione voglia assicurarsene altri quattro da premier. Questo è forse meno rischioso che aspettare la fine del mandato, sapendo che i prossimi due anni saranno certamente segnati da crisi economica e sociale, non solo in Serbia ma anche in tutta la regione e nel mondo.

La destra avanza

L’SNS e Vučić si aspettano che i colpi più pesanti arrivino da destra. I sondaggi indicano che l’ultranazionalista Partito radicale serbo (SRS) dell’accusato dall’Aja Voijslav Šešelj, da cui è nato per scissione lo stesso SNS, questa volta riesca a passare la soglia di sbarramento per entrare in parlamento. È possibile inoltre che passi lo sbarramento anche la coalizione composta dal Partito democratico della Serbia (DSS) e il movimento Dveri, che scenderanno in campo uniti alla prossima tornata elettorale.

Entrambi questi blocchi sono dichiaratamente anti-europei e fortemente orientati a rinforzare le relazioni con la Russia. Attirano a sé gli elettori nazionalisti dell'SNS delusi dalla politica filoccidentale di Vučić, e in particolare dalla politica sul Kosovo, che vedono come un “tradimento degli interessi nazionali”. L’SRS raccoglie la fascia di elettori meno istruiti, mentre la coalizione DSS-Dveri continua ad attrarre l’attenzione di un elettorato colto e con forti tendenze nazionaliste.

Mosca si è impegnata notevolmente per far sapere agli elettori serbi, che tradizionalmente nutrono simpatie per la Russia, quale opzione scegliere. Il vicepremier russo Dmitry Rogozin durante una recente visita ufficiale a Belgrado ha organizzato un incontro con il leader dell'SRS Voijslav Šešelj, giustificandolo con l’intento di conoscerlo di persona. Ma è indubbio che quella mossa è stata un chiaro messaggio politico che non è certo piaciuto a Vučić.

Alle sempre più insistenti pressioni provenienti da destra il premier non può reagire in modo secco e diretto perché è pienamente consapevole che la maggior parte dello “zoccolo duro” dei suoi elettori non nutre particolari simpatie per Bruxelles e Washington, che non sono contenti della politica verso il Kosovo e sono orientati verso la Russia. Vučić quindi non può assumere esplicitamente una posizione antirussa ma allo stesso tempo non può rinunciare alla politica sul Kosovo, sulla quale si è impegnato con l’Accordo di Bruxelles. Tutto ciò gli crea non pochi problemi nel cercare di arginare le argomentazioni dell’estrema destra.

Il fronte democratico

Nel fare campagna elettorale contro l’ex blocco di governo, composto da partiti di orientamento liberale e filoeuropeo, Vučić e l’SNS non hanno invece limiti di sorta e sfruttano al massimo la forte influenza che hanno sui principali media serbi.

Ma occorre tener presente che alle scorse elezioni anticipate un significativo numeri di elettori della cosiddetta Serbia civica aveva boicottato le elezioni, sanzionando così i partiti che non erano stati in grado di riformare la società serba, l’economia e non facevano passi concreti verso l’Unione europea. L’esperienza di questi anni di governo dell'SNS e di Vučić sono però stati molto dolorosi per quest'elettorato ed è quindi del tutto possibile che questa volta vada a votare in numero maggiore, dando così la possibilità al cosiddetto blocco democratico di avere più seggi in parlamento di quanto non ne abbiano ora.

I partiti di opposizione stanno cercando di accordarsi per affrontare le elezioni uniti, ma le possibilità che questo accada sono minime. Si può considerare un successo se riusciranno a formare solo due blocchi politici, uno che fa capo all’ex partito di governo Partito democratico (DS), mentre l’altro raccolto attorno al Partito socialdemocratico (SDS), dell’ex presidente della Serbia Boris Tadić, e il Partito liberaldemocratico (LDP) di Čedomir Jovanović. Se questi blocchi riuscissero a passare la soglia di sbarramento, Vučić avrebbe meno spazio di manovra in parlamento.

Data questa situazione, se l’SNS non riuscisse a raggiungere da solo la maggioranza assoluta in Parlamento, il peso e il “prezzo” del partner di coalizione, ossia l’SPS, aumenterà significativamente. L’SPS, a ragione, si aspetta di ripetere il risultato delle scorse elezioni, e molto probabilmente coltiva la speranza di intercettare anche elettori delusi dell’SNS.

L’SNS in campagna elettorale potrebbe tentare di dissipare l’influenza dell’SPS portando alla luce come già avvenuto in passato gli scandali in cui è implicato Dačić ma dato che sono scarse le possibilità che questo gli porti risultati concreti, c’è da aspettarsi invece che i due partner di governo si comportino in campagna elettorale in modo amichevole e che cerchino di presentare insieme nel miglior modo possibile i risultati del governo che hanno formato due anni fa.