Belgrado, durante la manifestazione di protesta del 27 maggio 2023 (foto M. Moratti)

Belgrado, durante la manifestazione di protesta del 27 maggio 2023 (foto M. Moratti)

Sotto la pressione di un'opinione pubblica che ogni settimana scende in piazza e protesta attivamente davanti alle sedi istituzionali del potere, il regime di Aleksandar Vučić inizia a scricchiolare, tanto che il presidente si è dimesso dalla guida del partito che ha contribuito a fondare

31/05/2023 -  Antonela Riha Belgrado

Sabato 27 maggio il presidente serbo Aleksandar Vučić ha lasciato la guida del Partito progressista serbo (SNS), annunciando che a fine giugno prenderà le redini di una nuova formazione politica, denominata Movimento per il popolo e lo stato, di cui farà parte anche l’SNS. Pur essendo stata interpretata in vari modi, è chiaro che la decisione di Vučić è conseguenza della crisi dell’attuale regime, caratterizzato dalla tendenza del presidente serbo a prendere decisioni politiche senza consultare nessuno e solo quando si trova sotto pressione, nonché da una forte propensione all’autoritarismo.

A sostituire Vučić alla guida dell’SNS è un suo fedelissimo, Miloš Vučević , che per anni è stato sindaco di Novi Sad e che attualmente ricopre la carica di ministro della Difesa. Nelle sue prime dichiarazioni rilasciate dopo essere stato nominato alla guida dell’SNS, Vučević ha ripetuto le parole del presidente Vučić, il quale, reagendo alle richieste dell’opposizione, si è detto disposto a discutere di eventuali elezioni anticipate, ma non di un governo di transizione. Dal nuovo leader dell’SNS ci si aspetta che continui a ripetere le parole e ad allinearsi alle decisioni del presidente Vučić, considerando anche il probabile trasferimento del centro di potere dall’SNS al nuovo movimento annunciato da Vučić.

Questo stratagemma politico viene interpretato come l’ennesima mossa populista del presidente serbo che, creando un nuovo movimento, spera di risolvere la crisi interna all’SNS e, al contempo, di ritagliarsi uno spazio di manovra che gli permetta di essere rieletto per un nuovo mandato e di diventare la colonna portante di una futura maggioranza.

Lasciando la guida dell’SNS, Vučić ha dichiarato che d’ora in poi sarà “il presidente di tutti i cittadini della Serbia” e ha invitato l’opposizione al dialogo. Sembra però che Vučić abbia scelto il momento sbagliato per lanciare tale messaggio, considerando le richieste dei cittadini, che protestano ormai da tre settimane, e quelle dell’opposizione che si è unita alle proteste di piazza.

Manifestazione di sabato 27 maggio a Belgrado (foto A. Riha)

Manifestazione di sabato 27 maggio a Belgrado (foto A. Riha)

Avvoltoi e iene

Dopo le due stragi che all’inizio di maggio hanno sconvolto la Serbia molti cittadini si sono riuniti per esprimere cordoglio sfilando in un corteo commemorativo. Vučić e i suoi collaboratori, utilizzando i media di regime come megafono, hanno definito i partecipanti al corteo con appellativi dispregiativi, accusandoli di voler distruggere lo stato e il governo serbo con la violenza.

Le reazioni inopportune del potere hanno spinto i cittadini a scendere nuovamente in strada. La protesta, con lo slogan “La Serbia contro la violenza”, è cresciuta di settimana in settimana, i manifestanti hanno bloccato l’autostrada e una delle loro richieste è stata esaudita, quella di destituire il ministro dell’Istruzione Branko Ružić a causa del massacro avvenuto in un istituto scolastico nel centro di Belgrado dove un ragazzo ha ucciso nove dei suoi coetanei (una ragazza è morta qualche giorno dopo la sparatoria per le ferite riportate) e un bidello.

Dopo la seconda strage – in cui in due villaggi nei pressi di Mladenovac, a poca distanza da Belgrado, sono stati uccisi nove giovani – è emerso che l’assassino era già noto alla polizia, possedeva armi detenute illegalmente, ma evidentemente godeva della protezione di qualche potente locale.

Dopo la prima manifestazione di protesta, l’opposizione ha inviato le proprie richieste al governo. Oltre alla destituzione del ministro dell’Istruzione, che nel frattempo si è dimesso, si chiede la rimozione del ministro dell’Interno Bratislav Gašić e del capo della BIA (servizi segreti serbi) Aleksandar Vulin. L’opposizione chiede anche la messa al bando di media e programmi che promuovono la violenza, vedendo proprio nei contenuti mediatici che quotidianamente incoraggiano discorsi d’odio e atti criminali e violenti una delle cause del fenomeno degli omicidi di massa.

Lo scorso 19 maggio decine di migliaia di cittadini hanno nuovamente sfilato per le vie di Belgrado, hanno bloccato l’autostrada, per poi disperdersi pacificamente, determinati a continuare la protesta. Mentre i media indipendenti hanno mostrato un fiume interminabile di persone, riportando che si è trattato della più grande manifestazione di protesta dall’ascesa di Vučić al potere, i media di regime, come al solito , hanno cercato di minimizzare l’evento, e l’emittente televisiva Pink si è spinta persino ad affermare che il ponte è stato “bloccato da alcuni passanti casuali”.

Il potere ha reagito in modo isterico. Il presidente Vučić ha definito i manifestanti "avvoltoi e iene", la premier non ha fatto che ripetere le parole di Vučić e i media di regime hanno fatto loro eco. Man mano che lo scontro politico si intensificava, la questione dei giovani uccisi è passata in secondo piano. Vučić ha poi deciso di contrattaccare, e già la settimana successiva, lo scorso 26 maggio, ha organizzato una contromanifestazione denominata “La Serbia della speranza”, annunciandola come “il più grande raduno della storia della Serbia”.

Un fiasco

Venerdì 26 maggio, dalla mattina presto, a Belgrado si sono riversate centinaia di autobus da tutta la Serbia, ma anche da Republika Srpska, Macedonia del Nord e Kosovo. L’intero paese è stato mobilitato, diverse gite scolastiche sono state cancellate per avere a disposizione un numero sufficiente di pullman, ingaggiando anche alcune compagnie di trasporti bulgare e kosovare. Nel bel mezzo della crisi tra Pristina e Belgrado, gli albanesi kosovari hanno trasportato i serbi del Kosovo a Belgrado.

Come è stata riportata la manifestazione da tv Pink (a sinistra) e dalla N1 (a destra)

Come è stata riportata la manifestazione da tv Pink (a sinistra) e dalla N1 (a destra

Negli enti pubblici di tutta la Serbia sono state stilate liste dei dipendenti, ogni fiduciario locale dell’SNS aveva il compito di radunare un certo numero di persone che si sarebbero recate a Belgrado. A Niš è stata persino cancellata la prima di uno spettacolo teatrale perché la sindaca è giunta alla conclusione che i cittadini, anziché andare a teatro, avrebbero preferito partecipare al comizio di Vučić. In alcuni istituti scolastici le lezioni sono finite prima del previsto per consentire agli studenti e agli insegnanti di salutare il presidente.

Sin dal primo pomeriggio l’intera Belgrado è stata bloccata, il traffico si è fermato, migliaia di persone si sono dirette verso il centro dove su schermi giganti venivano trasmessi discorsi di Vučić e programmi di TV Pink. Poi all’improvviso si è sentito un susseguirsi di tuoni, sulla città si è abbattuto un temporale con pioggia battente che ha insistito per ore. Le strade erano completamente inondate e prima ancora che il comizio cominciasse la maggior parte dei cittadini si è dispersa in cerca di un riparo. Vučić è salito sul palco, ha buttato l’ombrello e tutto bagnato ha tenuto un discorso in cui tra l’altro ha annunciato l’intenzione di lasciare la guida dell’SNS.

“Ci apprestiamo a creare il Movimento per il popolo e lo stato come un punto di partenza per salvare il nostro paese nei prossimi due o tre anni che saranno cruciali per il nostro stato”, ha dichiarato Vučić rivolgendosi ai cittadini, per poi concludere: “Vi ringrazio infinitamente, non ho parole per descrivere quanto vi amo”.

Meeting dell'SNS (foto M. Moratti)

Meeting dell'SNS (foto M. Moratti)

Non vi è alcun motivo razionale alla base della decisione di Vučić di organizzare una contromanifestazione. Di fronte a proteste di massa, del tutto inaspettate, scoppiate dopo le recenti stragi, Vučić ha probabilmente voluto riconfermare il proprio potere e dimostrare di essere uno statista e un’autorità indiscussa. Tuttavia, il temporale ha dimostrato che decine di migliaia di persone di tutto il paese si sono recate a Belgrado perché sono state obbligate a farlo, temendo di perdere il lavoro se il loro nome non fosse comparso su quell’elenco che garantisce qualche piccolo beneficio agli obbedienti e alle loro famiglie. Alla contromanifestazione sicuramente hanno partecipato anche migliaia di veri sostenitori di Vučić, ma anche loro sono tornati a casa bagnati e intirizziti, e questa è probabilmente l’immagine più intensa di quel giorno.

In attesa di un epilogo

Già il giorno successivo, sabato 27 maggio, i cittadini e i leader dell’opposizione sono nuovamente scesi in piazza per protestare. Nonostante la pioggia battente, un lunghissimo corteo di persone ha sfilato per le vie centrali della capitale, per poi fermarsi davanti alla sede della Radio televisione della Serbia (RTS) per esprimere il malcontento per il modo in cui l’emittente più seguita del paese fa informazione. I manifestanti hanno annunciato che la protesta continuerà fino a quando le loro richieste non saranno esaudite.

Nel frattempo, nel nord del Kosovo, abitato perlopiù da serbi, si sono verificati nuovi incidenti. Venerdì 26 maggio, nei quattro comuni a maggioranza serba (Zvečan, Zubin Potok, Leposavić e Mitrovica nord) sono scoppiati scontri dopo che i serbi hanno cercato di impedire ai neo eletti sindaci di nazionalità albanese di insediarsi negli edifici municipali.

Lo stesso giorno Vučić ha ordinato all’esercito serbo di innalzare il livello di allerta al massimo grado e di dispiegare le truppe lungo il confine con il Kosovo.

Negli scontri verificatisi nei comuni serbi nel nord del Kosovo con lancio di granate stordenti, pietre e lacrimogeni sono rimasti feriti più di 50 serbi e 30 militari della KFOR. Martedì 30 maggio i rappresentanti politici dei serbi del Kosovo (la Srpska Lista) hanno esortato i cittadini a non mettere a rischio l’incolumità dei soldati della KFOR, perché se dovessero farlo, agirebbero contro gli interessi del popolo serbo.

La crisi in Kosovo si protrae parallelamente ai negoziati tra Belgrado e Pristina. Il premier kosovaro Albin Kurti sta cercando di prendere il controllo della parte settentrionale del paese dopo le elezioni amministrative che sono state boicottate dai serbi, con l’appoggio di Belgrado. Il boicottaggio delle elezioni è conseguenza dell’uscita dei serbi da tutte le istituzioni nel nord del Kosovo, compresa la polizia, in segno di protesta contro la decisione del governo di Pristina di imporre l’obbligo di sostituzione delle targhe rilasciate dalla Serbia con quelle kosovare.

In questo vacuum, dove non ci sono né istituzioni né autorità e una soluzione definitiva della questione del Kosovo sembra ancora lontana, ogni scontro, a prescindere dal motivo, può rivelarsi drammatico.

Allo stesso tempo però, simili situazioni permettono a Vučić di guadagnare tempo a Belgrado, aprendo uno spazio di manovra in cui il presidente serbo può manipolare la paura dei cittadini e creare un’atmosfera bellica, distogliendo così l’attenzione dalle proteste di piazza e dalle richieste dell’opposizione.