Le relazioni con Bruxelles e Washington da un lato e Mosca dall'altro è la principale - ma non la sola - "questione aperta" fra il premier Aleksandar Vučić e il presidente Tomislav Nikolić. Un'analisi
“Non sono informato di questa visita”, così ha risposto durante un’intervista alla Tv pubblica serba (RTS) il premier Aleksandar Vučić ad una domanda dei giornalisti sulla recente visita del presidente serbo Tomislav Nikolić in Vaticano. Questo è solo uno della serie di “dettagli” che confermano le speculazioni su un distanziamento progressivo tra il premier e il presidente. Non ci sono disaccordi emersi in pubblico, ma è chiaro che esistono differenze di vedute anche relative alle principali questioni politiche del paese.
Il dominio di Vučić è assoluto e Nikolić in questo momento non può contrastarlo. Fatto per altro confermato alla seduta della scorsa settimana del Comitato centrale del Partito progressista serbo (SNS) - di cui entrambi fanno parte - durante la quale il figlio di Nikolić, Radomir, presidente del Comitato esecutivo del SNS, ha cercato di imporre una discussione sulla politica internazionale della Serbia. La proposta non è stata nemmeno presa in considerazione, e l’atteggiamento del figlio di Nikolić è stato letto dai media vicini al governo come un tentativo di creare una spaccatura nel partito.
Proprio le relazioni con Bruxelles e Washington da un lato e Mosca dall’altro sono la prima e più importante tra le “questioni aperte” tra i due leader politici. Mentre Nikolić in pubblico dedica tempo e attenzione alle relazioni con la Russia e ai contatti con i funzionari russi, Vučić è orientato alla collaborazione con Bruxelles e Washington, con l’obiettivo di accelerare l’integrazione della Serbia nell’UE. Entrambi, a dire il vero, si attengono formalmente alla posizione ufficiale, secondo la quale per la Serbia è di pari importanza la collaborazione con i due versanti, ma in pratica agiscono in modo differente.
Per quanto riguarda il Kosovo, sia Nikolić che Vučić sostengono i negoziati, ma il ruolo di Vučić nel processo negoziale è molto attivo. Il premier serbo mostra infatti la volontà di chiudere il prima possibile questo capitolo, per non appesantire le relazioni di Belgrado con Bruxelles e Washington. Vučić in un dibattito televisivo con il premier albanese Edi Rama ha precisato che il Kosovo non è più il principale problema regionale e che ora il problema è la Bosnia Erzegovina. Così facendo ha preannunciato la chiusura di uno e l’apertura di un altro tema importante su cui ha intenzione di avere un ruolo decisivo.
Raggruppamenti
Le differenze di posizione sono emerse anche a seguito dello scandalo in cui è coinvolto l’attuale ministro degli Esteri e leader del Partito socialista della Serbia (SPS) Ivica Dačić. I media hanno mostrato un video di un suo colloquio con il potente narco-boss Rodoljub Radulović. Il colloquio risale al 2009 quando Dačić, nel governo a guida del Partito democratico (DS) di Boris Tadić, oggi all’opposizione, era ministro degli Interni. Da tempo è nota l’esistenza di queste registrazioni, ma qualcuno ha deciso di riattualizzarle, evidentemente con l’intento di danneggiare politicamente Dačić.
Nikolić ha subito preso le difese di Dačić, criticando i media e i servizi segreti per il “passaggio” di informazioni che dovrebbero essere parte dell’indagine e non della speculazione mediatica. Vučić, invece, si è tenuto molto più a distanza. Ha riconosciuto di sapere dell’esistenza del video in questione sin dal tempo in cui l’SNS ha stretto l’accordo di coalizione con l’SPS e Dačić, e ha precisato che in questo senso lui stesso ha delle responsabilità. Da queste dichiarazioni Dačić ha capito di non essere più nelle grazie del premier e che dopo le prossime elezioni la coalizione di governo attuale non è per nulla scontato venga riproposta.
Il fatto che Nikolić e Dačić, in modo un po’ inatteso, si siano trovati dalla stesa parte ci riporta sul terreno delle relazioni internazionali. Infatti, entrambi appaiono da tempo come politici che sono relativamente vicini a Mosca, pertanto la vicinanza di vedute può essere interpretata anche come un tentativo di raggruppare quelle correnti che non sono particolarmente soddisfatte né della politica estera né di quella interna del premier Vučić. La seduta del Comitato centrale dell’SNS nella quale Vučić ha “spazzato via” le proposte del figlio di Nikolić mostra però la debolezza della corrente del presidente all’interno del partito.
Dačić e il suo SPS dal canto loro non possono fare praticamente nulla per sottrarsi alle pressioni del blocco di Vučić: l’SNS anche senza l’SPS ha la maggioranza dei seggi in parlamento e può, se volesse, cambiare la composizione del governo, ossia buttare fuori Dačić e il suo partito. Le possibilità che Dačić e Nikolić nell’attuale parlamento possano unire le forze praticamente non esistono, soprattutto per via del fatto che Nikolić all’interno dell’SNS non ha sufficiente margine di manovra e ogni tentativo di spaccare il partito o il gruppo parlamentare verrebbe bloccato e severamente punito.
Elezioni
Il rapporto di forze potrebbe cambiare solo dopo le elezioni parlamentari. Sarebbero in agenda per l’inizio del 2018, ma nelle ultime settimane si specula sempre più insistentemente sulla possibilità che vengano anticipate. Durante la seduta del Comitato centrale dell’SNS, di cui dicevamo prima, la maggior parte degli alti funzionari del partito si è dichiarata per elezioni anticipate all’inizio dell’anno prossimo, ma è stato lasciata carta bianca a Vučić se indirle o no.
Prima di prendere una decisione sulle elezioni anticipate Vučić deve prestare molta attenzione anche alle circostanze internazionali. Il premier continua a godere delle simpatie di Bruxelles e Washington, le quali da lui si aspettano che porti a termine il lavoro iniziato sulla normalizzazione delle relazioni col Kosovo e che giochi un ruolo importante nel sistemare la situazione della Bosnia Erzegovina. L’Occidente pertanto non sembra vedere di buon grado elezioni anticipate, ma non mostra nemmeno l'intenzione di volersi immischiare direttamente nella decisione del premier.
Se dovesse decidere per le elezioni, Vučić non lo farà di certo per l’opposizione che è completamente al tappeto, bensì proprio per Nikolić e Dačić. Le elezioni sarebbero l’occasione per Vučić e la sua corrente di sfruttare la posizione di dominio, marginalizzando ulteriormente gli accoliti di Nikolić all’interno dell’SNS e indebolendo la forza del partner di coalizione nel nuovo parlamento.
Il premier serbo deve prestare attenzione anche alla tempistica relativa alle elezioni presidenziali. Il mandato di Nikolić termina nel 2017. Nikolić quando è diventato presidente ha dato le dimissioni dalle funzioni di partito, ma è molto probabile che, con la fine del mandato, desideri ritornare a far parte attivamente del partito. Questo minerebbe la posizione della corrente di Vučić alla vigilia della campagna elettorale per le politiche se si dovessero tenere, come da programma, nel 2018.
Se invece le elezioni politiche si dovessero tenere il prossimo anno, la nuova composizione del parlamento non avrebbe Nikolić come fattore interno, dato che Vučić potrebbe decidere di influire pesantemente sulla scelta dei candidati per il parlamento. Un tale parlamento aspetterebbe poi in tranquillità la fine del mandato di un ormai innocuo Nikolić.