Serbia, primo risarcimento per i campi di internamento degli anni '90
22 february 2013
Lo scorso gennaio il tribunale di Belgrado, giudicando sul ricorso presentato dall'ex internato Mujo Vatreš, ha ordinato per la prima volta il risarcimento di un cittadino bosniaco per la detenzione subita nei campi di internamento creati in Serbia negli anni '90.
La sentenza di prima istanza, arrivata a tre anni dall'inizio del processo, ordina un risarcimento di 500mila dinari (circa 4700 euro). Si aspetta ora la decisione d'appello.
Vatreš è stato rinchiuso nei campi di Šljivovica e Mitrovo polje dopo la caduta di Srebrenica e Žepa, nel 1995. Insieme ad alcune centinaia di bosgnacchi, l'uomo aveva cercato salvezza attraversando a nuoto la Drina, fino alla riva serba del fiume, dove era stato arrestato.
Nelle strutture, che la Serbia definisce “campi di raccolta”, l'uomo è rimasto per più di sei mesi. “Andavamo a letto senza sapere se saremmo stati vivi il giorno dopo”, è il racconto di Vatreš fatto a Radio Slobodna Evropa.“Dopo la liberazione ho ricevuto cure psichiatriche per un anno in America, prima di tornare a Sarajevo. Ma le conseguenze di quei giorni non sono scomparse, e nemmeno gli incubi”.
Secondo l'Unione degli internati di Bosnia-Erzegovina, nei campi di Šljivovica e Mitrovo polje sono stati detenuti più di 800 bosgnacchi, anche minorenni. Gli internati sono rimasti nei campi fino a dopo la firma degli accordi di Dayton, per essere liberati nel 1996.
“Quando sono arrivato pesavo 103 chili, nel campo sono arrivato a 53. Mangiavamo una volta al giorno, zuppa di pane e una tazza di tè”, ha detto ancora Vatreš. “Ci hanno tenuto a digiuno, picchiati e maltrattati. Non potevamo nemmeno lavarci o raderci”.
La Fondazione per il diritto umanitario di Belgrado sostiene oggi altri cinque ricorsi, che riguardano 15 cittadini di nazionalità bosniaca rinchiusi in campi approntati in territorio serbo. Un ulteriore ricorso riguarda un cittadino croato, detenuto nei campi di Stajićevo e Begejci in Vojvodina.
“All'inizio c'erano molte più richieste di risarcimento, ma molti hanno rinunciato per non rivivere due volte la stessa sofferenza”, ha dichiarato al quotidiano serbo Danas Petar Žmak, coordinatore del progetto risarcimenti della Fondazione.
Lo stesso Žmak, in un'intervista a Slobodna Bosna, ha definito la sentenza come “un precedente importante”. “Fino ad oggi i tribunali serbi hanno sempre definito Šljivovica e Mitrovo polje come 'campi di accoglienza', ma il modo con cui sono strati trattati gli 'ospiti' evidenzia che si trattava di campi di internamento".
“Non credo che questa sentenza porterà la Serbia a cambiare la propria posizione ufficiale”, conclude Žmak, “ma si tratta di un significativo passo in avanti”.
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