Ana Brnabić © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Ana Brnabić © Alexandros Michailidis/Shutterstock

Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha deciso di ridare alla premier uscente Ana Brnabić l’incarico di formare il nuovo governo. Una mossa che mostra l’intenzione di mantenere il controllo su tutto

12/10/2020 -  Dragan Janjić Belgrado

“Si è battuta strenuamente per il suo paese. Ha condotto una politica tutt’altro che condiscendente sia nei confronti dei centri di potere esterni al paese sia nei confronti di quelli interni”. Con queste parole il presidente serbo Aleksandar Vučić ha argomentato la sua decisione di conferire alla premier uscente Ana Brnabić l’incarico di formare il nuovo governo.

Gli oppositori della leadership al potere e alcuni analisti di Belgrado hanno commentato con ironia la spiegazione fornita da Vučić, ritenendola cinica e falsa. È infatti capitato più volte che la premier uscente, nelle sue esternazioni pubbliche, si riferisse a Vučić chiamandolo “capo”, e lei e il suo governo, per tutta la durata della legislatura, hanno dimostrato la loro piena lealtà al presidente, lasciando così intendere che in realtà stavano attuando la politica e le decisioni di Vučić.

Secondo la Costituzione, la Serbia è una democrazia parlamentare in cui l’indirizzo politico è determinato dal parlamento e dal governo. Formalmente, il governo ha poteri incomparabilmente maggiori di quelli attribuiti al capo dello stato. Vučić è il leader del principale partito al governo (Partito progressista serbo, SNS), a cui appartiene anche Ana Brnabić, ma questo non significa che può impartire ordini alla premier, perché quest’ultima ha maggiori poteri rispetto al presidente e, secondo la Costituzione, ha il dovere di agire nell’interesse di tutti i cittadini.

Tuttavia, Vučić è la figura politica dominante e i ministri del governo uscente non hanno mai nascosto di ritenere che il loro compito fosse quello di mettere in pratica le idee e le decisioni del presidente. Quindi, un atteggiamento condiscendente c’è stato, eccome, ma nei confronti di Vučić che ha concentrato tutto il potere nelle proprie mani.

La nomina di Ana Brnabić era del tutto scontata e dimostra che la leadership al potere non ha alcuna intenzione di cambiare in modo significativo il proprio modo di agire. Brnabić non appartiene alla cerchia dei membri fondatori dell’SNS, a cui ha ufficialmente aderito solo nell’ottobre dell’anno scorso, per cui non ha né influenza né legami particolarmente forti all’interno del partito e, da questo punto di vista, non può danneggiare Vučić.

Un altro aspetto da sottolineare è che gli oppositori del governo spesso accusano Ana Brnabić (citando documenti ufficiali) di corruzione e di conflitto d’interessi perché l’azienda per cui lavora suo fratello si è aggiudicata diversi appalti pubblici di grandi dimensioni, fatto che rende Brnabić ulteriormente vulnerabile e, di conseguenza, suscettibile alle pressioni.

In teoria, è possibile che – in caso di un ulteriore deterioramento della situazione politica, economica e sociale in Serbia – alcuni poteri interni o esterni al paese tentino di sostenere e incoraggiare la premier affinché sfrutti i poteri, oggettivamente molto estesi, conferitile dalla Costituzione per arginare l’influenza di Vučić.

In pratica, però, Ana Brnabić, anche se volesse farlo, difficilmente ci riuscirebbe, per il semplice fatto di non godere né di autorevolezza né di sostegno sufficienti. Ed è per questo che la decisione di nominare, per la seconda volta, Ana Brnabić come premier è doppiamente vantaggiosa per Vučić: da un lato, gli permette di mantenere il pieno controllo delle principali leve del potere e, dall’altro, è una sorta di garanzia che il capo dello stato e leader dell’SNS non sarà minacciato “dall’interno”.

Posizionamento

Vučić ha sviluppato un sistema di governo autocratico in cui praticamente tutte le decisioni politiche dipendono da lui. Non vi è alcun dubbio che Vučić deciderà anche la composizione del nuovo esecutivo e che la premier Brnabić continuerà a fungere da una sorta di agente operativo incaricato di mettere in pratica le decisioni del capo. La posizione dominante del presidente Vučić è ulteriormente rafforzata dalla composizione del nuovo parlamento dove il suo SNS ha oltre la metà dei seggi, mentre la coalizione di governo controlla addirittura due terzi dei seggi.

I principali partiti di opposizione hanno boicottato le ultime elezioni politiche, mentre la maggior parte delle forze di opposizione che hanno partecipato alla tornata elettorale non è riuscita a superare la soglia di sbarramento. Così il parlamento serbo è rimasto senza un’opposizione minimamente seria e questo ha alterato gli equilibri interni alla società.

Il presidente Vučić ha scelto, a quanto pare intenzionalmente, di rendere noto il nome del nuovo premier lo scorso 5 ottobre, giorno in cui ricorrevano i vent’anni da quando, a seguito di una serie di manifestazioni di massa organizzate in tutta la Serbia, la coalizione dei partiti di opposizione DOS (Opposizione democratica della Serbia) rovesciò il regime di Slobodan Milošević.

All’epoca al potere erano il Partito socialista serbo (SPS), partner di coalizione del governo uscente, e il Partito radicale serbo (SRS), dalla cui scissione è sorto l’SNS di Vučić. Nel frattempo, questi partiti sono riusciti a rivitalizzarsi e adeguarsi alle nuove circostanze, salendo di nuovo al potere e diventando talmente forti da poter prendersi gioco dell’opposizione, la cui ossatura è formata da quelle stesse forze politiche che portarono al rovesciamento di Milošević.

Vučić ha imparato dagli errori di Milošević e finora è riuscito ad evitare di incorrere in grossi problemi. Poco prima della caduta, Milošević aveva pessimi rapporti sia con le potenze mondiali che con i paesi vicini, e il suo unico alleato era la Russia. Vučić, invece, è riuscito a rimanere nelle “grazie” delle principali potenze mondiali che si aspettano che il presidente serbo contribuisca alla stabilità della regione normalizzando le relazioni con Pristina. Così Vučić è diventato un importante “fattore di stabilità” nella regione e le potenze mondiali, per ora, non hanno alcun interesse a rovesciare Vučić o a porre un freno al suo tentativo di instaurare in Serbia un sistema autoritario imperniato su una retorica populista.

All’epoca di Milošević, l’opposizione governava diverse città ed esercitava una certa influenza sui media locali. L’attuale leadership di Belgrado ha investito enormi sforzi e risorse per dividere e distruggere completamente l’opposizione, che praticamente non ha più alcuna influenza nemmeno a livello locale. Quasi tutti i media locali e la maggior parte dei media mainstream sono controllati dalla leadership al potere, che si è sforzata molto anche di instaurare un forte controllo sulla magistratura, sulla scuola e su altre istituzioni pubbliche che dipendono fortemente dalle vicende politiche quotidiane. In tali circostanze, lo spazio di manovra dell’opposizione è notevolmente ridotto, il che significa che sul piano interno, almeno per ora, non vi è alcuna minaccia che possa danneggiare seriamente la leadership al potere.

Dialogo

Nonostante goda ancora di un buon sostegno di Bruxelles e Washington per aver assunto un atteggiamento cooperativo sulla questione del Kosovo, la posizione di Vučić non è stabile a lungo termine e la reputazione di cui gode in Occidente è fortemente danneggiata dal fatto che l’opposizione è praticamente assente dal parlamento e, di conseguenza, anche dal sistema politico. L’élite al potere è consapevole del fatto che in futuro l’assenza di un’opposizione potrebbe causarle problemi ancora maggiori, motivo per cui sta cercando di preparare il terreno per far tornare l’opposizione nelle istituzioni.

In ambienti ben informati è sempre più diffusa la convinzione che il nuovo governo di Ana Brnabić non sarà altro che una soluzione temporanea e che fra due anni, quando dovrebbero tenersi le elezioni presidenziali, si terranno anche le elezioni politiche anticipate, a cui potrebbe partecipare anche l’opposizione.

Recentemente il governo ha avviato i preparativi per lanciare un dialogo con l’opposizione (il cosiddetto dialogo interno), probabilmente seguendo il modello del dialogo organizzato alla vigilia delle ultime elezioni politiche con la mediazione dell’Unione europea e di alcuni rappresentanti della società civile serba. Tuttavia, non vi è ancora alcun indizio che la leadership al potere sia disposta a rinunciare al controllo assoluto delle vicende politiche ed economiche, né tanto meno al controllo esercitato sui media mainstream, ritenendo evidentemente che una collaborazione tra opposizione e maggioranza sia possibile solo alle condizioni dettate da quest’ultima.

L’opposizione, dal canto suo, si aspetta che nel dialogo con il governo e nei preparativi per le prossime elezioni politiche venga ampiamente coinvolta Bruxelles, e possibilmente anche Washington, ritenendo che ciò possa aprire la strada a vari cambiamenti nel paese.

Le forze di opposizione stanno dimostrando prontezza a riorganizzarsi, almeno in parte, ma sono ancora molto lontane dal formare un solido fronte unico. Il Partito democratico (DS), che era la principale forza politica della coalizione che rovesciò il regime di Milošević, sta vivendo una nuova scissione, accompagnata da feroci litigi tra le due frazioni contrapposte. Sarebbe una grande sorpresa se nel prossimo futuro il DS riuscisse a riorganizzarsi e prepararsi per le elezioni. Questa ultima scissione all’interno del DS con tutta probabilità è stata fortemente incoraggiata dalla leadership al potere che, dopo diversi tentativi falliti di incidere in modo significativo sull’operato del DS, ormai profondamente indebolito, sta cercando di marginalizzarlo ulteriormente.

Il Partito di libertà e giustizia (SSP) dell’ex sindaco di Belgrado Dragan Đilas e il Partito popolare (NS) dell’ex ministro degli Esteri Vuk Jeremić stanno pian piano assumendo una posizione dominante all’interno dell’opposizione. Đilas e Jeremić son stati alti funzionari del DS all’epoca in cui questo partito era al potere e hanno fondato i propri partiti dopo una serie di turbolenze all’interno del DS.

Đilas è anche un uomo d’affari e, a differenza della maggior parte dei leader politici, dispone di risorse finanziarie, per cui potrebbe, almeno in teoria, intraprendere alcune azioni serie. Tuttavia, nel prossimo futuro il raggio d’azione dell’SSP, e dell’opposizione in generale, rimarrà limitato, pertanto le forze di opposizione possono eventualmente sperare di entrare in parlamento, ma non anche di riuscire a inficiare la posizione della leadership al potere.