Voci sempre più concrete su di un accordo tra la Fiat e la leggendaria casa automobilistica di Kragujevac, collassata con la fine della Jugoslavia e colpita dai bombardamenti Nato nel '99. La storia della Zastava e le possibili conseguenze di un suo rilancio sull'economia serba
Di Milovan Mracevich*, per Transitions Online, 29 giugno 2005 (titolo originale: "Rising from the ashes?")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Carlo Dall'Asta
Belgrado, Serbia e Montenegro -
Proprio quando sembrava che l'industria automobilistica serba sarebbe definitivamente collassata, una delle marche automobilistiche più in crisi al mondo potrebbe essere sul punto di fare un plateale ritorno.
Entro fine luglio la Zastava e la Fiat di Torino dovrebbero firmare un accordo che porterà all'assemblaggio di un numero di vetture Fiat Punto compreso tra 5.000 e 12.000 nella fabbrica della Zastava di Kragujevac, secondo quanto riferisce la stampa.
La città industriale di 200.000 abitanti è stata devastata dal crollo della ditta automobilistica e delle sue altre manifatture quando la Repubblica Federale Socialista Jugoslava si dissolse nel 1991.
Il governo serbo, la Fiat e la Zastava hanno lavorato all'accordo in relativa segretezza fin da febbraio, in contrasto con un decennio di annunci roboanti di imminenti e importanti joint ventures per la Zastava, che poi non si verificavano mai.
L'accordo per l'assemblaggio delle Punto impallidisce se paragonato alle 200.000 automobili all'anno che la Zastava fabbricava alla fine degli anni '80, ma rappresenta un importante passo che l'allontana dall'orlo del precipizio. La Zastava ha passato gli ultimi 14 anni nel limbo, una azienda impoverita, isolata, non richiesta, che produceva in media solo 10.000 automobili all'anno.
Il primo gruppo di lavoratori della Zastava è partito per Torino il 13 giugno per l'addestramento. Le prime automobili dell'accordo saranno prodotte dai lavoratori della Zastava nella città italiana, mentre si prevede che l'assemblaggio delle Punto a Kragujevac prenderà il via in settembre.
La Punto serba avrà un nome diverso e costerà tra i 7.000 e gli 8.000 euro. Dato che la Zastava offrirà ai potenziali acquirenti l'opportunità di scambiare le loro Zastava con una nuova Punto e offrirà anche opzioni di leasing e di finanziamento, l'azienda dovrebbe avere pochi problemi a promuovere il suo nuovo modello.
All'origine della decisione della Fiat di entrare in affari con la Zastava sembra esservi un'insieme di fattori, generali e specifici, che vanno dal miglioramento della situazione economica e politica in Serbia al semplice fatto che l'attuale modello della Punto si avvicina alla conclusione del suo ciclo produttivo.
La decisione presa dalla Fiat l'anno scorso, di cancellare definitivamente più di 30 milioni di euro che la Zastava gli doveva, fu un primo passo. Secondo le condizioni dell'accordo anticipato, la Zastava dovrà pagare il suo restante debito verso la Fiat, 11,5 milioni di euro, entro la fine del 2005. Il governo serbo spera di raccogliere questa somma in parte attraverso la prossima privatizzazione della fonderia, dei laminatoi e della centrale elettrica dell'ex complesso della Zastava e del centro di vendita e assistenza automobilistica di Belgrado, tutte divenute entità separate nella ristrutturazione dell'ottobre 2001.
L'altra grande obbligazione contrattuale per la Zastava è quella di automatizzare completamente le operazioni di verniciatura delle carrozzerie, una spesa di 15 milioni di euro che il governo serbo dovrà coprire. La Zastava aveva una linea di verniciatura automatizzata di questo tipo, ma fu distrutta dai bombardamenti della NATO sulla Serbia del 1999.
Anche la linea di saldatura della scocca dovrà probabilmente essere automatizzata in un futuro più o meno prossimo, ma non c'è bisogno per ora di altri costosi robot, quando gli addetti alla produzione guadagnano meno di 200 euro al mese.
Un ritorno alle passate glorie?
L'accordo Punto rappresenterà una specie di ritorno alle origini per la Zastava, che iniziò la produzione di autovetture ad uso civile assemblando modelli Fiat, a metà degli anni '50.
La Zastava ha un disperato bisogno di una automobile moderna e appetibile da fabbricare (piuttosto che da assemblare solamente) e un legame con un fabbricante con una estesa rete di distribuzione sui mercati esteri. È proprio questa la prospettiva futura, ottenere da Torino i macchinari per la fabbricazione della Punto quando l'attuale modello uscirà di produzione l'anno prossimo.
La Zastava riprenderebbe allora la produzione dell'attuale modello per i mercati a basso reddito e fabbricherebbe i pezzi di ricambio per i 15 milioni di Punto già vendute.
La Fiat a sua volta ne trarrebbe dei benefici, non dovendo impegnare capacità produttive per ottemperare all'impegno di fornire pezzi di ricambio per le Punto esistenti, e ricaverebbe una percentuale dalle automobili prodotte su licenza dalla Zastava.
Dato che questa è una situazione in cui tutti hanno da guadagnare, ha una buona possibilità di avverarsi, a patto che la Zastava lavori bene per adeguarsi agli standard di qualità della Fiat, secondo l'accordo di assemblaggio. Gli ingegneri della Zastava sono già stati a Torino per esaminare le linee di produzione della Punto.
Il successo dell'accordo con la Fiat sarebbe anche un duro colpo al modo di pensare qui predominante, che le grandi industrie statali sono dei pozzi senza fondo e senza futuro. La Zastava ha 220 fornitori in tutto il Paese, e quelli che saranno interessati dal progetto Punto vedranno un massiccio incremento delle ordinazioni.
L'impatto di questo scenario sull'economia serba sarebbe enorme, non da ultimo perché la Serbia avrebbe nuovamente un prodotto di consumo di sicuro valore da offrire al mondo. Ciò porterebbe anche a un importante cambiamento nella considerazione di sé, da parte di una nazione che ha in massima parte smesso di credere di essere in grado di competere in nient'altro che sui mercati agricoli.
E questo aiuterebbe a ridurre l'enorme disavanzo della bilancia commerciale della Serbia, visto che crollerebbe l'importazione di automobili.
Per rendere ancora più interessanti le prospettive della Zastava, la compagnia sta, secondo la stampa, negoziando con la Opel per l'assemblaggio dei più costosi modelli di questo marchio.
Secondo Zoran Radovanovic, un giornalista di Kragujevac che segue la Zastava dal 1981, l'azienda vuole passare tre o quattro anni fabbricando le automobili degli altri, in modo da ricavarne i soldi per sviluppare un proprio modello, sia utilizzando la piattaforma (chassis e trasmissione) di un altro fabbricante che sviluppando un nuovo modello congiuntamente a un'altra compagnia.
Negli ultimi anni la Zastava è sempre più arrivata a sembrare un dinosauro, in un Paese in cui fondare piccole e medie imprese private è il nuovo mantra per la ristrutturazione dell'economia. Ma la vecchia idea che lo stato dell'industria automobilistica di un Paese sia un pilastro della potenza economica nazionale potrebbe ora riaffermarsi in Serbia.
Fu Prvoslav Rakovic, il leggendario e inflessibile direttore generale della Zastava dal 1955 al 1974, ad essere il principale responsabile della trasformazione della fabbrica di armamenti di Kragujevac, vecchia di cent'anni, in una importante fabbrica automobilistica. La Zastava stava già assemblando mille automobili Fiat quando arrivò Rakovic, ma fu la sua abilità affaristica che convinse la Fiat a prestare alla compagnia 30 milioni di dollari per impiantare una fabbrica dove costruire le sue automobili.
La fabbrica automobilistica, inaugurata nel 1962, era la più grande fabbrica jugoslava. Il suo sterminato libro paga raggiunse quota 35.000 dipendenti alla fine degli anni '80, a fronte dei soli 6.500 attuali.
La Zastava ha prodotto in totale quattro milioni di veicoli, 700.000 dei quali furono esportati. Col crescere di anno in anno delle cifre della produzione e dell'esportazione della Zastava, cresceva anche il suo prestigio nazionale ed internazionale.
Ad iniziare dal leader jugoslavo Josip Broz Tito, che nel 1962 mostrò la nuova fabbrica a Leonid Brezhnev (che si dice avesse borbottato che l'Unione Sovietica aveva fabbriche molto più grandi), una lunga fila di uomini di stato e di delegazioni straniere furono portate a Kragujevac perché si meravigliassero di fronte all'unica fabbrica di automobili al mondo gestita sul principio dell'autogestione dei lavoratori.
Mentre la Polonia e la Russia copiarono la Jugoslavia nel costruire automobili su progetto Fiat (questi Paesi usarono come modello l'accordo negoziato da Rakovic), la Zastava aveva una posizione privilegiata nelle relazioni con la Fiat, che si ritiene avesse qualcosa a che fare con l'amicizia di Rakovic col leggendario capo designer della Fiat, Dante Giacosa.
Nel 1972, la Zastava iniziò a costruire una versione della Fiat 128 con un portellone posteriore mentre la Fiat stessa ancora costruiva del nuovo modello la normale versione a quattro porte. Gli ingegneri della Fiat disegnarono la migliorìa per la Zastava, forse l'unico caso nell'industria automobilistica in cui una produzione sotto licenza proponeva un modello più avanzato dell'automobile del fabbricante originale. Il triste fatto che la Zastava produce tuttora questo pezzo da museo, comunque, mostra quanto essa sia drammaticamente rimasta indietro.
Il Declino
Non fu solo la produzione di automobili della Zastava a precipitare quasi a zero dopo la dissoluzione dell'ex Jugoslavia, ma anche la sua immagine. Si potrebbe dire che essa era diventata la marca automobilistica del mondo maggiormente messa in ridicolo sul proprio mercato nazionale.
Molto di ciò aveva a che fare con le sue automobili che, ad eccezione della Florida, piena di problemi e abbastanza costosa, erano obsolete già all'inizio degli anni '90. La qualità crollò a livelli esecrabili durante gli anni della guerra, con molti acquirenti costretti a rifare il motore dopo appena 20.000 chilometri.
La Zastava perse il favore del pubblico anche a causa della manìa per i valori tradizionali serbi, che esaltavano l'agricoltura dei villaggi contro l'industria. Nota come Crvena Zastava (Bandiera Rossa) durante l'era comunista, la Zastava era identificata così strettamente con l'industrializzazione dell'era titoista e con una economia jugoslava integrata (aveva fornitori in tutta l'ex Federazione) che molti cominciarono a vedere la sua creazione e la sua espansione più come un pernicioso complotto comunista che come una impresa economica.
Molti, al di fuori di Kragujevac, si risentivano per i vasti sussidi che la Zastava riceveva per mantenere attiva un minimo di produzione durante gli anni '90, mentre i lavoratori della Zastava, ridotti alla fame, erano criticati come compiacenti burattini del regime di Slobodan Milosevic, non disposti ad appoggiare l'opposizione fintantoché ricevevano la loro elemosina mensile e una fettina di carne ogni tanto.
Ma mentre sembrava che alla maggior parte dei Serbi non potesse importare di meno se la Zastava avesse chiuso, e mentre "esperti" da salotto, che non avevano mai messo piede all'interno di una fabbrica di automobili, proclamavano che gli impianti produttivi della Zastava erano obsoleti senza speranza, altri Paesi ex comunisti stavano espandendo largamente la loro produzione di automobili o stavano per scendere in pista.
La Skoda, della Repubblica Ceca, era rinata sotto la nuova proprietà Volkswagen, mentre una rinvigorita Dacia, rumena, introduceva nuovi modelli per il mercato interno ed estero in collaborazione con la Renault. L'assemblaggio in Slovenia delle Renault salì da 47.000 nel 1995 a quasi 120.000 alla fine del decennio. Perfino l'Ungheria, che non aveva mai prodotto automobili in precedenza, costruì impianti di assemblaggio e di produzione per Opel, Audi, Subaru e Suzuki durante gli anni '90.
Questo tipo di competizione e consolidamento nell'industria automobilistica fece sembrare che la Zastava avesse perso per sempre la possibilità di trovare un partner che gli desse un nuovo modello da fare. Quando una dolorosa ristrutturazione della Zastava nell'ottobre 2001 non riuscì a suscitare alcun interesse da parte delle maggiori case automobilistiche, l'azienda perse ogni speranza.
Ciò spiega perché nel 2002 la Zastava considerò seriamente di rinnovare il suo rapporto con Malcolm Bricklin, che era il socio americano nel tentativo di importare il modello Yugo negli Stati Uniti negli anni '80 e che, a seconda di chi ne parla, fu la più brillante operazione della Zastava, oppure la sua più grande follìa.
Bricklin voleva vendere Yugo e Florida ridisegnate e migliorate nei paesi in via di sviluppo, prima di portarle sui mercati UE e americani. L'idea finì nel nulla perché Bricklin non riuscì ad ottenere i finanziamenti necessari.
I negoziati con Bricklin sono perlomeno qualcosa che i funzionari della Zastava possono ricordare senza imbarazzo, data la sua passata posizione di grande importatore di automobili e il fatto che arrivò con un team di ingegneri automobilistici americani e giapponesi. Il successivo "salvatore" che apparve, comunque, mostrò quanto la Zastava era caduta in basso.
Si trattava di un Serbo di mezza età immigrato in Canada, di nome Stevan Pokrajac, che diceva di essere un investitore.
Le intenzioni dichiarate da Pokrajac, di superare l'offerta di Bricklin di 150 milioni di dollari per la Zastava e di pagare i suoi debiti ammontanti a 80 milioni di dollari, furono prese seriamente in considerazione dai funzionari della Zastava, dal sindacato e dal governo serbo per diversi mesi, nonostante il fatto che egli non avesse mai presentato un briciolo di prove concrete sul fatto di avere una tale quantità di denaro o i mezzi per ottenerla.
Pokrajac almeno aggiunse un po' di intrattenimento alle sue largamente pubblicizzate visite a Kragujevac. In una conferenza stampa, alzò un piede nel campo di ripresa della telecamera per mostrare le scarpe nuove che indossava, spiegando che in Canada gli uomini d'affari per tradizione compravano simili calzature prima di firmare i grandi accordi.
Si spera che simili amenità siano ora alle spalle della Zastava. Il suo tornare "a casa", dalla Fiat, restituirà anche qualcosa di cui c'è un gran bisogno nella cultura dell'azienda: una certa misura di dignità professionale. Dopo avere passato gli ultimi quindici anni come oggetto di prese in giro e di recriminazioni, la Zastava ora ha una opportunità di provare il contrario ai suoi detrattori.
*Milovan Mracevich è una giornalista di Belgrado