Nel luglio del 1991 in Slovenia

In quei primi mesi del 1992 era passato poco più di un anno dall'avvio della prima Guerra del Golfo. E tutti guardavano al Medio Oriente. Ma ai margini dell'Europa la Jugoslavia si stava sfaldando nel sangue. E il 15 gennaio sloveni e croati aspettavano il riconoscimento delle due neonate Repubbliche

16/01/2012 -  Stefano Lusa Capodistria

Era passato meno di un anno dall'avvio della prima guerra del Golfo. A tenere banco erano ancora i bombardamenti su Baghdad ma per vedere gente che stava morendo non serviva però andare sino alla capitale irachena. Da mesi la Federazione jugoslava si stava dissolvendo nel sangue. Ma la comunità internazionale in quel momento era in tutt'altre faccende affaccendata. I Balcani del resto sembravano tornati ad essere quello che erano stati prima della guerra fredda: un'area di scarso interesse ai margini d'Europa che, per dirla con Bismarck, non valevano le ossa di un solo granatiere di Pomerania.

In attesa del riconoscimento

Così, mentre gli altri guardavano altrove, la Slovenia aspettava quel 15 gennaio per liberarsi definitivamente dal fardello jugoslavo. Era infatti la data che la Comunità europea aveva fissato per arrivare ad un riconoscimento congiunto di Lubiana e Zagabria.

La Slovenia aveva deciso di andarsene dopo essersi vista per anni bocciare tutte le sue proposte di trovare una nuova sintesi jugoslava. A Lubiana non se ne poteva veramente più della Jugoslavia e si aveva molta voglia di democrazia e di occidente.

Negli anni ottanta si era guardato con crescente timore a Belgrado e soprattutto agli oceanici raduni organizzati dal “vožd” serbo Slobodan Milošević. In quelle occasioni non si era mancato di invocare le armi per marciare su Lubiana e disciplinare la “spocchiosa” repubblica e la sua “cocciuta” dirigenza.

Disinteresse serbo

La Slovenia però in fondo non rientrava nei piani serbi. Ci si poteva accontentare di una nuova Jugoslavia, più piccola, ma etnicamente più omogenea. Il piano era conglobare le aree della federazione dove vivevano i serbi lasciando gli altri al loro destino.

Del resto agli occhi di Belgrado gli sloveni erano stati dei veri e propri piantagrane. Era da tempo che con il loro cipiglio austroungarico cavillavano frapponendo una serie di insormontabili ostacoli alle mire della dirigenza nazionalista serba. Avevano addirittura avuto l'ardire di solidarizzare con gli albanesi del Kosovo. Liberarsi di loro quindi poteva anche essere conveniente.

Sta di fatto che a poche settimane dalla proclamazione dell'indipendenza venne annunciato il ritiro dalla repubblica dell'esercito federale. Evidentemente quei soldati potevano essere molto più utili da altre parti di quella che era sempre più l'ex Jugoslavia.

La Slovenia aveva vinto la sua battaglia sia sul piano politico sia, in parte, anche su quello militare. I suoi riservisti erano riusciti a tenere a bada le truppe federali in una serie di scaramucce per il controllo dei valichi di confine. In pratica, nel luglio del 1991, Lubiana poteva di fatto considerarsi indipendente e la battaglia fu praticamente vinta nell'ottobre dello stesso anno, quando l'armata popolare jugoslava abbandonò effettivamente la repubblica.

In attesa dei cugini croati

In Slovenia si era consapevoli di avercela fatta e che oramai il riconoscimento non era che una questione di tempo. Adesso si trattava di aspettare i cugini croati, visto che la comunità internazionale affrontava la questione in pacchetto, ma in Croazia era guerra aperta e si stentava a capire se ci sarebbe stato da aspettare giorni, settimane, mesi o addirittura anni. Nelle orecchie di molti risuonavano ancora le parole del ministro degli Esteri italiano Gianni De Michelis, che alla vigilia della proclamazione dell'indipendenza tuonò senza mezzi termini che le due repubbliche "secessioniste" non sarebbero state riconosciute “nemmeno tra cinquant'anni”.

Sta di fatto che il degenerare della guerra in Croazia e la tremenda sorte di Vukovar, messa a ferro e fuoco dai serbi, fecero sciogliere anche gli ultimi dubbi. A metà dicembre arrivò il riconoscimento islandese, seguito da quello tedesco e svedese, con il contemporaneo annuncio che una buona fetta di stati dell'Unione europea avrebbe fatto lo stesso il 15 gennaio. Fu un bel regalo di Natale a cui contribuì in maniera non marginale proprio Gianni De Michelis. Non per amore degli indipendentisti sloveni e croati, ma per evitare di far arrivare ad un appuntamento così importante l' Europa divisa. L'impegno gli valse un'alta onorificenza slovena che non si affrettò di ritirare.

In Slovenia, comunque, si era tanto sicuri che l'obiettivo fosse raggiunto che ci si permise persino una bella crisi di governo, segnata dalla dissoluzione della coalizione di centrodestra che aveva guidato il Paese dopo le prime elezioni democratiche. Si era entrati nella normalità del dibattito politico nazionale. Una delle note distintive per la riottosa classe politica nazionale, infatti, è quella di trovare l'unità solo nei momenti di crisi.

Ansia di vincere?

Ad ogni modo il 15 gennaio non era ancora arrivato e per Lubiana non era certo una giornata qualunque. Più si avvicinava alla fatidica data più il Paese provava una strana sensazione, paragonabile a quella di un maratoneta che entrato nello stadio si appresta a compiere l'ultimo giro di pista. Paura, fatica, speranze, sogni ed un piccolo tratto di strada da percorrere per raggiungere il traguardo.

Non erano ipotizzabili sorprese, ma alla fine un po' di timore c'era, che venne subito fugato quando sin dalla prima mattina cominciarono a piovere i riconoscimenti. Era finita bene, anzi benissimo. Mancava ancora il sì degli Stati Uniti e quello della Russia, ma sarebbero arrivati di lì a poco e non sarebbe dovuto passare molto tempo per entrare a pieno titolo nell'ONU.

La sensazione era quella di una vera e propria liberazione. D'un tratto ci si rese conto di aver definitivamente abbandonato al suo destino il resto dell'ex Jugoslavia. Con essa ci si erano lasciati alle spalle, senza rimpianti, i burrascosi anni ottanta con la loro escalation nazionalista.

Le immagini delle adunate organizzate a Belgrado, ancora oggi fanno accapponare la pelle a molti sloveni. Un grande Paese si era frantumando tra le sue contraddizioni. La Slovenia lo aveva abbandonato appena in tempo evitando la guerra e la violenza che avrebbe caratterizzato la sua dissoluzione e che non sarebbe stata risparmiata agli altri. Nessun sloveno avrebbe rischiato di partire per il fronte e di colpo la guerra sembrava lontana. Il nuovo confine tra Slovenia e Croazia divenne la linea di demarcazione tra la pace e la guerra, tra l'Europa ed i Balcani.