Una "Casa del teatro", nella campagna slovena: una Repubblica, uno stato libero. L'incontro con uno dei principali registi teatrali sloveni contemporanei
(Pubblicato originariamente Rumor(s)cena )
Incontriamo il regista Tomi Janežič all’Accademia di Teatro, Radio, Film e Televisione di Lubiana e al Workcenter for Artistic Research, Creation Residency and Education a Krušče. Il regista sloveno della nuova generazione, ha già ottenuto i massimi riconoscimenti mondiali, tra cui la prestigiosa nomination al Golden Mask, insieme a Robert Wilson e Romeo Castellucci. Ogni suo spettacolo viene segnalato e premiato, non solo per la regia, ma anche per l’interpretazione degli attori, spesso giovani e provenienti dai master dove insegna.
Commissionati dai maggiori teatri internazionali, i suoi spettacoli sono andati in tournée in venti diversi paesi tra Europa, Russia e Stati Uniti. Janežič insegna regia teatrale presso l’Università di Lubiana (Slovenia) – Accademia di Teatro, Radio, Film e Televisione (AGRFT). Ed è qui che lo abbiamo intervistato, nella più antica Accademia della ex Jugoslavia, dove gli studenti assistiti da “mentor” accademici, sia con Janežič che con il drammaturgo Tomaž Toporišič, creano spettacoli che vengono allestiti alla fine del loro percorso di studi.
Janežič è anche fondatore e direttore artistico dello Studio for Research on the Art of Acting che ha sede presso il Workcenter for Artistic Research, Creation, Residency and Education a Krušče, Slovenia. Dieci anni fa, Janežič, ha dedicato parte del suo lavoro alla creazione di questo spazio di residenza, ancora non terminato, e luogo di attività per i suoi workshop ispirati alla tecnica dello psicodramma. Ha acquistato per questo alcuni vecchi immobili di campagna, riprogettandoli personalmente e reinventandone la funzione, come spazi di pensiero e di attività artistica comune, non necessariamente vincolata a una specifica produzione e lontana dal condizionamento della rappresentazione. Uno spazio vuoto, per liberare la mente e aprirla alla creazione spontanea; una casa del teatro dove lo scambio diventa rigenerante, una “repubblica” libera dove non ci sono confini né barriere.
Krušče è un villaggio di pochi abitanti non distante da Cerknica ben collegata alla capitale e alle città limitrofe via pullman, e perfettamente equidistante sia da Lubiana che da Trieste. Un luogo affascinante, in una dimensione fuori dal tempo, immerso in una natura davvero rigogliosa, piena di alberi da frutto e dove è già pronto e operativo, sia uno degli spazi per i workshop, dentro la casa a due piani dove abita il regista, sia la residenza per artisti, grande, calda e accogliente, e autonoma, creata con materiali ecologici e in grado di contenere fino a 14 persone contemporaneamente. Lo spazio prove vero e proprio non è ancora pronto, ma Tomi Janežič mostra dove verrà allestito: in un vecchio fienile la cui copertura di legno verrà sostituita dal vetro per creare totalmente avvolti nel verde.
In un momento in cui in Italia il dibattito sulle residenze artistiche “quali esperienze di rinnovamento dei processi creativi, della mobilità artistica, del confronto professionale” è quanto mai assai acceso, alimentato da riunioni, pubblicazioni, riflessioni pubbliche sull’attuazione dell’articolo 45 del Fus, diventa interessante conoscere la proposta di Janežič sull’argomento.
L’aneddoto con cui ebbe inizio l’impresa – ci racconta – è un episodio significativo e molto personale. A trent’anni gli fu chiesto quanto costava la sua attività di workshop all’ora, e poiché non aveva idea di come quantificarlo, aveva fatto un calcolo sulla base di quanto denaro gli sarebbe servito per allestire in un decennio circa, il suo progetto di residenza artistica. Facendo le dovute divisioni e proporzioni, era arrivato ad ottenere la cifra richiesta. Così facendo, ogni partecipante ai workshop è consapevole di essere anche uno dei contributor del suo progetto.
Quello che colpisce, è lo spirito con cui Janežič ha dato vita a questa impresa inimmaginabile al giorno d’oggi, e che si basa economicamente sulle sue uniche forze, non avendo alle spalle – per sua scelta- né mecenati, né istituzioni pubbliche, né una vera e propria compagnia teatrale. Fuori dalle economie di mercato, fuori anche dal “teatro rappresentativo”, il sogno di una “Casa del teatro” di Janežič che dia valore alla fase progettuale, ideativa, prima ancora di quella produttiva, si insinua silenziosamente in un’utopia che ha grandi maestri di riferimento, i Padri Fondatori, i riformatori e i rivoluzionari come Craig, Mejerchol’d, Grotowsky. E’ la visione della ricerca teatrale come un viaggio verso l’ignoto fatto di arte, studio, apprendistato, fatica, innovazione, critica, condivisione e dedizione, fatta di sottrazione del superfluo per avvicinarsi all’essenzialità e riappropriarsi della propria umanità.
L’intervista che segue farà parte integrante del documentario dedicato a questo artista realizzata in collaborazione con Andrea Di Salvatore, Giulia Tenuzzo, Matteo Miccoli, Gabriele Rosato e Alessandro Bronzini e con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Lecce.
La Casa del teatro. Quale la residenza teatrale secondo Janežič?
Questo progetto è connesso con il mio bisogno personale di creare una nuova casa che sia anche teatro: il teatro per me è una casa, ma una casa migliore, con delle cose che non avevo da bambino. Il teatro, come fare il teatro e i bisogni che uno può soddisfare con la nuova casa, è connesso con questa esigenza personale.
Uno spazio vuoto, non uno spazio di produzione...
Io penso che nel tempo produttivo, nell’epoca di crescita del PIL, ci sia una crisi di creatività: la creatività se non è spontanea, se non è viva, se non soddisfa interiormente allora non è creatività ma solo produttività tecnica, qualcosa di sterile, senza immaginazione. Per questo ci vuole uno spazio aperto dove non si deve fare assolutamente niente per far succedere delle cose! Ho avuto bisogno di spazi vuoti e tempi vuoti proprio per non fare assolutamente nulla. La creazione non nasce necessariamente dall’idea di fare qualcosa: possiamo produrre senza essere toccati nel profondo; abbiamo bisogno di uno spazio di distacco, dove si possa capire meglio quello che si fa nella società, nell’arte, nel teatro. Gli artisti hanno bisogno di questo. Non dobbiamo entrare nella logica dell’industria dell’arte, casomai l’industria dovrebbe imparare dall’arte: servono spazi che non siano spazi di produzione e questo non lo è. A me fa piacere se le persone vengono senza avere un progetto preciso ma quando ci sono persone creative, questo spazio vuoto li porterà sicuramente a fare cose significative e importanti.
Residenze pluriartistiche...
A me interessa il lavoro di gruppo, facciamo workshop di psicodramma, ma abbiamo avuto artisti di diverso tipo da tutto il mondo. Questo centro è importante per me perché ho sempre avuto bisogno di un’indipendenza e ho cominciato a studiare psicoteratepia e sono diventato esperto di psicodramma perché questa attività sembrava darmi altre possibilità oltre al teatro, e anche quella necessaria distanza dal teatro.
Uno spazio libero, una “repubblica”...
Questo luogo -spazio mi libera dall’idea che devo per forza essere in teatro o professore in Accademia, posso occuparmi di altre cose per il piacere di farlo e non perché devo farlo! Questa è una Repubblica, uno stato libero, qua si rispettano i bisogni del gruppo, è una vera Repubblica.”
Questa casa è un “non finito”…ma vediamo di arrivare in fondo…
La casa-teatro è una specie di “non finito”, però attenzione, vorrei tantissimo vederla finita! Davvero, non mi sembra di avere blocchi inconsci per mantenerla non finita! In dieci anni sono passato attraverso diverse fasi, ci sono stati momenti in cui mi sono chiesto: “Ha senso farlo? E’ da pazzi farlo?” Ma si va avanti lo stesso e con gli anni questo lavoro che cresce a piccoli passi, ti fa riflettere, ti fa capire cosa sia davvero la creazione.
Anna Maria Monteverdi dottore di ricerca in Storia del Teatro, si è specializzata in Digital performance in Canada; insegna Storia dello Spettacolo all’Accademia Albertina e Digital video all’Accademia di Brera dal 2005. Dal 2011 è anche docente a contratto di Storia del Teatro all’Università di Cagliari.