La costruzione del muro in Slovenia - foto di Stefano Lusa

Il governo di Miro Cerar ha deciso la costruzione di un "muro" al confine con la Croazia. Le porte, lungo la rotta balcanica, pian piano si chiudono

12/11/2015 -  Stefano Lusa Rigonce

Fanno presto i genieri dell’esercito sloveno. I pali di ferro entrano facilmente nella terra soffice della Bassa Carniola. I rotoli di filo spinato si srotolano velocemente. Due sotto, uno sopra. Si lega il tutto ed è fatta. Il muro antiimmigrati sloveno cresce in fretta. In poche ore il chilometro che va da Veliki Obrež al valico di Rigonce è coperto. Un poliziotto ci dice: “Fate attenzione, questa mattina un fotografo si è tagliato”. Punte acuminate, lame affilatissime, in grado di infliggere serie ferite: sono le famigerate barriere antiuomo, quelle che siamo abituati a vedere nei film sulle carceri americane e che abbiamo imparato a conoscere meglio al confine ungherese. “Lì domani mattina potremo andare a prendere un bel po’ di selvaggina”, commenta un cacciatore con gli amici al bar.

Lubiana non ha deciso a caso di piazzare il nastro spinato lungo la Sotla, il fiumiciattolo che divide la Slovenia dalla Croazia. Guadarlo non è un problema. Proprio in quelle zone i profughi avevano passato in maniera incontrollata la frontiera, dopo che la Slovenia aveva tentato di regolare il flusso di migranti che giungevano alle sue porte dalla Croazia. Ora le cose funzionano. I passaggi illegali sono finiti da tempo e tutto sembra regolato. I profughi arrivano in treno, vengono sommariamente registrati e poi fatti proseguire verso l’Austria. Negli ultimi giorni gli arrivi erano notevolmente calati, ma da ieri sono ripresi con forza. La pausa ha comunque dato il tempo alle autorità slovene di rifiatare ed riorganizzarsi.

Di Zagabria non ci si fida

Quello che è palese è che di Zagabria non ci si fida per niente. Con la Croazia, è stato detto, non è possibile concordare il numero di migranti e perciò la Slovenia si starebbe attrezzando per far entrare nel paese soltanto i profughi che l’Austria è pronta ad accogliere. Il progetto per ora è quello di piazzare un’ottantina di chilometri di barriere lungo i 700 chilometri di frontiera, poi si vedrà. In ogni modo una cortina di ferro potrebbe estendersi dalla Serbia all’Istria, secondo il modello messo a punto dal controverso premier ungherese Viktor Orban e che Lubiana sembra pronta emulare.

Una soluzione che non è stata suggerita da nessuno e che è stata adottata in piena autonomia, dicono dal governo. La Slovenia avrebbe preferito non dover decidere da sola ed avrebbe voluto che sulla questione migranti ci fosse un’intesa a livello europeo, che però non è ancora arrivata e che probabilmente nemmeno arriverà.

Muri a domino

Ora le mosse di Lubiana potrebbero scatenare un rapido effetto domino che potrebbero portare ad una progressiva chiusura delle frontiere per i profughi dei paesi sulla rotta balcanica. Nell’area comunque non mancheranno le tensioni, come ha profetizzato alcuni giorni fa la cancelliera tedesca Angela Merkel. Già ieri se ne è potuto assaporare un primo assaggio. Non appena ultimata la posa del primo chilometro di barriera tra Slovenia e Croazia cinque camionette, con a bordo reparti speciali croati, si sono presentate al valico di Rigonce. I poliziotti di Zagabria hanno chiesto ai loro colleghi sloveni di spostare immediatamente il filo, che a loro dire, in ben sette punti avrebbe sconfinato in Croazia. Non si è mancato nemmeno di fare eloquentemente capire che se non intendevano farlo avrebbero proceduto essi stessi. A quel punto sono arrivati anche i reparti speciali sloveni, con tanto di elmetto e mitraglietta. Tensione alle stelle e dopo qualche minuto si è concordato di lasciar fare a istanze più alte.

Da Lubiana è arrivata subito la precisazione che il filo spinato corre in territorio sloveno e che comunque la sua posa non pregiudica la soluzione della vertenza confinaria in atto tra i due paesi sino dal momento dell’indipendenza, mentre da Zagabria sono arrivati minacciosi ultimatum ed anche l’ironico commento che sarebbe stato meglio spendere i soldi per fare centri d’accoglienza piuttosto che per erigere barriere al confine. Il momento resta delicato. I rapporti tra i due paesi non sono idilliaci, l’emergenza migranti ha causato nuovi dissidi, la diatriba sul confine si trascina da anni e la Croazia è alle prese con una difficile trattativa tra le forze politiche, dopo l’incerto esito del voto di domenica scorsa, sulla formazione del nuovo governo.

Occhi a Vienna e Berlino

Gli occhi di Lubiana continuano ad essere puntati su Vienna e su Berlino. Proprio in questi giorni sono annunciati nuovi massicci arrivi. 30.000 persone sarebbero in cammino verso la Slovenia. La Germania ha annunciato che intende riapplicare l’accordo di Dublino (con l’eccezione della Grecia), che costringe i profughi a chiedere asilo nel primo paese dell’Unione in cui mettono piede, mentre l’Austria avrebbe fatto capire a Lubiana che è intenzionata ad accoglierne solo 6000 al giorno. La sensazione sempre più netta è che le porte per i profughi si stiano chiudendo. La Slovenia è pronta ad adeguarsi.

In vista dell’inverno si vogliono evitare catastrofi umanitarie con migliaia di profughi bloccati, nel paese, a cui non si sarebbe in grado di dare assistenza. La paura è quella di diventare uno Hotspot per i migranti. Uno scenario questo da evitare a tutti i costi. A Lubiana dicono che le capacità di accoglienza sono limitate e che il paese non ha “necessità demografiche” per condurre una politica delle porte aperte. Una tesi molto simile a quella degli altri paesi dell’est Europa, che non sembrano avere nessuna intenzione di mettere in discussione la compattezza etnica delle loro società, per dare rifugio ai profughi. Il multiculturalismo di stampo occidentale viene guardato con crescente sospetto e viene percepito come un reale pericolo, che può mettere a repentaglio usi, costumi e tradizioni locali. La voglia di muri sembra crescere e non solo ai confini esterni. Il continente sembra nettamente diviso tra Est ed Ovest, come non accadeva dai tempi della guerra fredda.