Il castello di Brdo pri Kranju - Foto Žiga (Public domain)

Il castello di Brdo pri Kranju - Foto Žiga (Public domain)

Allargamento sì ma non ancora. Si conclude così il summit UE dedicato ai Balcani occidentali del 5 e 6 ottobre in Slovenia, nel castello di Brdo pri Kranju. I 27 non offrono alcuna data concreta. Un segnale debole mitigato solo dal sostanzioso pacchetto di investimenti promesso

07/10/2021 -  Tomas Miglierina Bled

Il compromesso è arrivato lunedì 4 ottobre, all’ultima riunione del Coreper, il comitato dei rappresentanti permanenti che è – nei fatti - il cuore del potere dell’Unione europea. È li che finalmente la parola proibita, “allargamento”, ha ritrovato diritto di cittadinanza nella bozza definitiva di dichiarazione del vertice di Brdo sui Balcani occidentali. Ma in una frase assortita di distinguo. Una frase lunga, contorta e infarcita di ripetizioni, che tradisce i numerosi rimaneggiamenti da cui è stata partorita. Eccola, nella nostra traduzione dall’originale inglese:

“L’UE riafferma il suo sostegno senza equivoci per la prospettiva europea dei Balcani occidentali e saluta l’impegno dei partner nei Balcani occidentali per una prospettiva europea, che è nel nostro interesse strategico reciproco e rimane la nostra scelta strategica. L’UE conferma il suo impegno nel processo di allargamento e le decisioni prese a riguardo, basato su riforme credibili dei partner, condizionalità corretta e rigorosa e il principio [per cui ciascuno va valutato] secondo i propri meriti”.

Ancora due settimane fa, e dopo due tentativi, l’accordo sul testo non c’era. La maggioranza dei paesi membri avrebbe voluto una menzione dell’allargamento, ma per Bulgaria, Paesi Bassi, Francia e Danimarca (sostenuti in parte anche da Svezia e Finlandia) il bilanciamento del testo era già stato ottenuto.

A dare la spallata finale sono stati alcuni paesi, tra cui l’Italia, da sempre sostenitori della necessità di lasciare la porta aperta, per quanto lontano possa essere il giorno in cui la soglia verrà varcata, “anche perché non ha senso preoccuparsi della situazione nella regione India-Pacifico e non avere niente da offrire per il futuro di paesi che stanno sotto casa”, ci confida una fonte diplomatica italiana.

Il riferimento, nemmeno troppo sibillino, è alla Francia, il principale motore delle reticenze all’allargamento tra i 27, di certo il più “ideologico”. Le preoccupazioni olandesi – e nordiche, in generale - hanno invece soprattutto a che fare con la presenza nei Paesi bassi di reti di criminalità organizzata balcanica di cui si è parlato molto sui media. L’Aja e Copenaghen non condividono necessariamente il desiderio francese di approfondire l’Unione prima di allargarla.

La posizione bulgara, invece, è totalmente legata alle questioni bilaterali con la Macedonia del Nord e mette Sofia nella curiosa posizione del penultimo arrivato (la Bulgaria è entrata nel 2007) che chiude la porta a quelli in coda dopo di lui. Ma la politica europea funziona cosi: gli sherpa sloveni che si occupano di allargamento hanno capito che il loro vertice (l’evento di più alto livello del semestre di presidenza) non avrebbe sbloccato l’avvio dei negoziati di adesione con Skopje (vanificando le speranze di un successo diplomatico) nel momento esatto in cui si è saputo che a Sofia si sarebbe tornati alle urne in novembre. E visto che i paesi pro-allargamento ritengono tatticamente sbagliato scollegare i due dossier, anche l’Albania ne ha fatto le spese. Non che a Tirana vada tutto bene, ma è chiaro che in un contesto più positivo lo sblocco del dossier macedone avrebbe “trainato” quello albanese.

“Non siamo delusi perché non ci siamo mai illusi”, ha detto alla Radio svizzera un Edi Rama particolarmente accigliato, mentre lasciava il vertice. Salvo poi aggiungere: “Non si tratta di guardare altrove, per noi l’Europa è come una religione. Continueremo su questa strada”. Che l’UE sia sempre in balia delle elezioni di qualcuno dei suoi stati membri è cosa talmente chiara al premier albanese che un mese fa - ad un forum, sempre in Slovenia - ha addirittura suggerito di far votare i paesi dell’Unione tutti più o meno allo stesso tempo. Tornato qui per il vertice, non ha potuto che constatare: “Una volta era diverso, ma ora abbiamo capito come funziona”.

Il “non ancora” di Brdo non è senza contropartite e sarebbe esagerato liquidare tutto come un semplice “premio di consolazione”: l’Unione ha promesso (ma in parte lo aveva già fatto lo scorso anno a Zagabria) “un pacchetto di investimenti sostanziali” del valore di circa 30 miliardi di euro nei prossimi sette anni, di questi nove saranno finanziamenti a fondo perduto. Gli sforzi per integrare la regione balcanica nel mercato interno dell’UE verranno intensificati. Basandosi su quanto si sta già facendo tra i paesi della regione per abolire il sovrapprezzo del roaming telefonico, anche i costi del roaming tra l’UE e i Balcani verranno ridotti (non azzerati). E tutto questo senza contare le altre filiere di collaborazione: dagli strumenti di preadesione, alla lotta al COVID, ai piani per il miglioramento della rete di trasporti, che da soli meriterebbero un articolo a parte.

Non possono poi nemmeno essere minimizzati i problemi che ancora affliggono la regione – le recenti tensioni Serbia-Kosovo sulla questione delle targhe automobilistiche sono solo un esempio – e nemmeno i limiti del processo di riforma in corso, ma citarli in esteso come ha fatto il presidente francese Macron in uscita dal vertice ha anche un po’ l’aria di un espediente tattico. Dopotutto con Albania e Macedonia non si trattava di firmare l’adesione, ma solo avviare dei negoziati. Negoziati che possono anche durare molti anni - come dimostrano i casi di Serbia e Montenegro – o perdersi nelle nebbie come nel caso della Turchia.

Bled si chiude dunque con l’ennesimo segnale debole all’indirizzo della regione: vogliamo tenervi vicino, ma non è il caso di pensare a quando uniremo i nostri tavoli. Anche la cancelliera tedesca (uscente) Angela Merkel ha definito controproducente parlare di date, di calendari. Gli interessati hanno preso nota.

Durante i lavori, sul castello di Brdo ha piovuto a dirotto, quasi senza interruzione, ma i leader dei Balcani non si aspettavano comunque raggi di sole.

Tomas Miglierina è il corrispondente da Bruxelles della Radiotelevisione svizzera, si è recato a Bled come inviato della RSI.