Wikileaks e la politica estera slovena

Wikileaks e la politica estera slovena

Un prigioniero di Guantanamo in cambio di venti minuti con il presidente degli Stati uniti? Le rivelazioni di Wikileaks mettono in luce solo alcune delle iniziative fallimentari del premier sloveno Borut Pahor in politica estera. Una nostra rassegna

16/12/2010 -  Stefano Lusa Capodistria

Alla fine dello scorso dicembre il capo del governo sloveno, Borut Pahor, si è recato all’ambasciata americana per incontrare Bradley Freden, l’incaricato d’affari statunitense. A quattrocchi, secondo Freden, in maniera “delicata” ma “inequivocabile”, Pahor avrebbe messo in correlazione la possibilità che la Slovenia si prendesse un prigioniero detenuto a Guantanamo in cambio di un incontro con il presidente americano Barack Obama. A Pahor sarebbero bastati una “ventina di minuti”.

La relazione dell’incontro, fatta dall’ambasciata americana e pubblicata da Wikileaks, ha fatto inaspettatamente arrivare la Slovenia sulle prime pagine dei principali quotidiani mondiali ed ha causato non poco imbarazzo ed anche una certa ilarità. La vicenda è finita persino in una popolare trasmissione satirica della CBS condotta dal comico John Stewart.

Il premier sloveno ha smentito che una simile richiesta sarebbe mai stata fatta e non ha voluto commentare il resto delle considerazioni del diplomatico americano, ma il pellegrinaggio presso l’incaricato d’affari dell’ambasciata americana non è la prima “brillante” mossa di Pahor in politica estera.

L'"inusuale" politica estera di Pahor

Il suo mandato iniziò con il blocco posto all’avvicinamento della Croazia all’Unione europea, per un’irrisolta questione legata alla definizione del confine marittimo. “La strada di Zagabria verso Bruxelles - aveva tuonato senza mezzi termini - passa anche per Lubiana”. I due paesi ci hanno messo più di due anni per ricucire lo strappo grazie anche all’impegno delle diplomazie dell’Unione europea e soprattutto degli Stati uniti.

Chiuso quel capitolo Pahor ha sognato di poter forgiare una nuova “ostpolitik” slovena verso il resto dei Balcani, immaginando di far sedere allo stesso tavolo i rappresentanti politici di Serbia e Kosovo. L’incontro di Brdo ampiamente pubblicizzato si è trasformato in un clamoroso insuccesso.

L’ennesima innovazione introdotta da Pahor nella gestione della politica estera sembra ora essere quella di andar per ambasciate. Del resto lo stesso capo del governo ha precisato di non essere stato solo dagli americani, ma anche in altre rappresentanze diplomatiche. Non per servilismo – ha sottolineato - ma per “per dimostrare la volontà di intessere relazioni amichevoli”.

La prassi è stata definita dagli esperti di relazioni internazionali a dir poco “inusuale”. Solo il povero ministro degli Esteri, Samuel Žbogar, oramai abituato alle puntate del premier in politica estera, ha tentato una timida difesa d'ufficio di Pahor.

Ad ogni modo un incontro di 20 minuti con Obama, più che per rafforzare i rapporti bilaterali o per discutere importanti questioni per il futuro del pianeta, sarebbe sicuramente servito per fare qualche bella foto da aggiungere nel “book” della carriera politica di Pahor.

Secondo il dispaccio dell’ambasciata, però, Pahor non avrebbe parlato solo del suo incontro con Obama, ma anche dei Balcani occidentali e della sua facilità di arrivare agli altri leader dei paesi dell’area, senza tralasciare ovviamente gli affari economici.

In particolare si è discusso del raddoppio della centrale nucleare di Krško, dove l’impresa americana Westinghouse, che aveva costruito negli anni ottanta l’impianto, avrebbe “giustificati interessi, anche se esisterebbe una interessante proposta francese”. A questo punto nel dispaccio, si dice, che Pahor sarebbe interessato ad un bilanciamento degli investimenti, considerato che i francesi hanno investito molto in Slovenia nel comparto dell’auto, mentre le ferrovie tedesche starebbero entrare nel settore ferroviario compreso anche il porto di Capodistria.

Proprio per queste ultime considerazioni riportate nel documento reso pubblico da Wikileaks la Commissione anticorruzione slovena ha comunicato che ha avviato un'indagine, mentre il leader dell’opposizione Janez Janša ha chiesto l’intervento della magistratura.

Pahor, dal canto suo, ha ribadito con forza che la Slovenia non ha una politica estera servile nei confronti di nessuno. Sta di fatto che negli ultimi anni Lubiana è spesso venuta in “soccorso” agli Stati Uniti.

Slovenia e Stati Uniti

Nel febbraio del 2003 la Slovenia, assieme ad altri 9 paesi dell’est, firmò la “Dichiarazione di Vilnius”. Si trattò di un deciso appoggio all’intervento americano in Iraq ed alla veridicità della tesi che il regime di Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa. A quei tempi, il premier Tone Rop tentò di fare qualche distinguo, rispetto al filo americanismo del ministro degli Esteri Dimitrij Rupel, ma Lubiana qualche anno dopo mandò una sua simbolica missione militare in Iraq.

La Slovenia del resto non ha mancato di inviare le sue truppe anche in Afghanistan e proprio recentemente ha stabilito di rendere più operativi i suoi uomini in quello scenario.

Nel gennaio del 2008 poi, non poco scalpore aveva suscitato la pubblicazione da parte del Dnevnik di Lubiana di un dispaccio dell'ambasciata slovena negli Stati Uniti, in cui si rendeva conto di un incontro tra alti rappresentanti dell'amministrazione del presidente Bush e funzionari sloveni.

I colloqui si erano svolti alla fine di dicembre, alla vigilia dell'inizio della presidenza di turno slovena dell'Unione europea. Washington in pratica aveva fatto sapere alla Slovenia cosa si aspettava che facesse nei successivi sei mesi. Gli americani, ad esempio, avrebbero voluto che Lubiana fosse tra i primi paesi a riconoscere il Kosovo.

Il documento non venne segretato e così finì in mano ai giornalisti. Il Dnevnik decise di pubblicarlo nonostante le pressioni che gli giunsero affinché tutelasse gli "interessi nazionali". Ad essere coinvolto in quella vicenda anche l'attuale ministro degli Esteri Samuel Žbogar, che all’epoca copriva la carica di ambasciatore negli Stati Uniti e che non classificò come riservato quel dispaccio.

Sta di fatto, comunque, che ora in Slovenia si devono fare i conti anche con le altre pubblicazioni di documenti riservati statunitensi. Non poco scalpore ha suscitato una richiesta firmata dal segretario di stato Hillary Clinton in cui si chiede di raccogliere dati su funzionari e politici sloveni. Il nuovo ambasciatore americano in Slovenia Joseph Mussomeli, che subito dopo la pubblicazione del primo dispaccio non aveva mancato di tessere le lodi a Pahor, ha pensato bene di farsi intervistare da Tv Slovenia nella propria residenza presentandosi in maniche di camicia. Evidentemente voleva creare un’atmosfera quasi familiare per giurare che gli Stati Uniti non spiano la Slovenia, che lui non ha mai avuto simili istruzioni e che anche se avesse ricevuto una simile ordine non l’avrebbe eseguito.