Abdullah Gul

Come previsto anche nel secondo turno delle votazioni per la presidenza turca non è stato raggiunto il quorum. Il candidato Abdullah Gül annuncia pubblicamente il suo ritiro. L'intero scacchiere politico va in fibrillazione in vista delle imminenti elezioni

11/05/2007 -  Fabio Salomoni Istanbul

Nessuna sorpresa, tutto è andato secondo le previsioni. Anche nel secondo turno delle votazioni per la presidenza della repubblica, la scorsa domenica, non si è raggiunto l'ormai celeberrimo quorum di 367 deputati, i due terzi dei parlamentari, necessario per procedere all'elezione del nuovo presidente. E di fronte a questo nuovo smacco, dopo l'annullamento del primo turno da parte della corte costituzionale, il partito di Erdoğan ha dovuto cedere le armi e ritirare la candidatura di Abdullah Gül. Il ministro degli esteri è comparso davanti ai giornalisti per annunciare il suo ritiro sottolineando come, nonostante tutto, "l'importante è aver conquistato il cuore della gente".

Il suo partito però non ha resistito alla tentazione di cercare una rivincita per una sconfitta consumatasi tra i siti internet dello stato maggiore, le piazze del paese e le aule della corte costituzionale.

La riforma costituzionale presentata dall'AKP ha avuto però un percorso travagliato ed è infine stata approvata giovedì con 366 voti a favore ed uno contrario. Decisivo l'appoggio dei deputati del partito della Madre Patria (ANAP).

Il pacchetto di riforme prevedeva diversi punti. Il primo riguardava la norma che prevede l'abbassamento del limite di età minimo per chi si voglia candidare al parlamento, 25 anni. Alla vigilia sembrava l'elemento destinato a raccogliere i più ampi consensi. Inspiegabilmente però il partito vi aveva rinunciato prima della seconda votazione, mercoledì, per poi tornare sui suoi passi e inserirla nel pacchetto presentato in parlamento. Ora però spetta al Consiglio Superiore Elettorale decidere se sarà possibile applicare questa norma fin dalle prossime lezioni.

Un altro elemento del pacchetto riformatore riguardava un aspetto apparentemente secondario: la proposta di inserire i nominativi dei candidati indipendenti nella stessa scheda elettorale con gli altri candidati di partito e non più, come accadeva in passato, in una scheda separata. Difficile non notare però come questo provvedimento sia giunto subito dopo la decisione del partito filo curdo DPT (Partito della Società Democratica) di presentare, il 22 luglio, i suoi candidati come candidati indipendenti e non con il simbolo del partito.

Uno stratagemma che mira a superare lo scoglio rappresentato dallo sbarramento del 10% dei voti come condizione per l'accesso al parlamento. Un ostacolo che fino ad ora aveva impedito ai partiti filo-curdi di essere rappresentati nell'assemblea nazionale. Come molti osservatori hanno notato sarà più difficile per molti elettori del partito ritrovare il nome del proprio candidato nella selva di simboli e sigle che popolano la scheda elettorale, tenendo conto che la popolazione curda ha tassi di analfabetismo elevati, in particolare tra le donne.

L'elemento più controverso e delicato delle riforme proposte dall'AKP riguardava l'elezione diretta del presidente della repubblica ed una riduzione del suo mandato da sette a quattro anni. Con questa proposta Erdoğan ha mostrato la volontà di scavalcare l'opposizione militar-giudiziaria facendo direttamente ricorso alla volontà "della gente".

Una riforma istituzionale che visti i tempi ristretti ed il clima di incertezza pre-elettorale a molti è suonata come una forzatura. Scontate le critiche del partito d'opposizione CHP. Per il deputato Kemal Anadol "il governo risolve in poche ore una questione che si dovrebbe discutere per un anno". Dure reazioni da parte della confindustria, TUSIAD, per la quale Erdoğan "dovrebbe lasciare la questione dell'elezione del presidente al nuovo parlamento" alla quale il primo ministro ha risposto seccamente: "Il parlamento sa meglio di loro quello che deve fare".

Critiche anche da parte dell'Unione Europea. Joost Lagendijk, co-presidente della Commissione mista del parlamento europeo, non ha gradito: "Non mi è piaciuto il tentativo di cambiare la costituzione all'ultimo minuto".

Erdoğan ha però insistito sulla sua strada e nonostante le incertezze iniziali è riuscito a trovare i voti necessari per approvare le riforme.

Nessuno spazio invece per due proposte di riforma da tempo invocate da diversi settori della società. La modifica della soglia di sbarramento del 10%, che sarebbe "una vera salvezza per la Turchia" come ha scritto il direttore di "Radikal" Berkan. Nelle elezioni del 2002 lo sbarramento aveva fatto in modo che quasi il 45% dei voti degli elettori non trovasse una rappresentanza in parlamento. E poi l'obbligo per i partiti di riservare alle donne una quota delle liste elettorali.

Dopo il voto di giovedì tutta l'attenzione adesso è rivolta al presidente Sezer. Il presidente della repubblica in carica, il suo mandato è stato prolungato, ha 15 giorni di tempo per porre il suo veto alle riforme. Alcune indiscrezioni farebbero pensare che il presidente utilizzerà il suo diritto di veto rimandando il tutto al parlamento.

In vista delle imminenti elezioni l'intero scacchiere politico è entrato in fibrillazione.
La prima novità è arrivata dai due principali partiti di centro destra, il Partito della Madre Patria (ANAP) e quello della Giusta Via (DYP), esclusi dal parlamento nel 2002, che si sono fusi dando vita al Partito Democratico. ANAP, fondato negli anni '80 dal defunto Turgut Özal, è attualmente guidato da Erkan Mumcu. Ex enfant-prodige del partito, lo aveva lasciato nel 2002 per entrare a far parte del governo Erdoğan come ministro della cultura. Dopo aver alimentato non poche speranze aveva precipitosamente abbandonato il governo accusando l'AKP di scarsa democrazia interna. Il DYP è invece da un anno guidato da Mehmet Ağar, discussa figura che negli anni '90 è stato ministro dell'interno, ricoprendo un ruolo chiave nella guerra sporca contro il PKK.

Sul fronte della sinistra "laico-patriottica" il CHP di Baykal sta tentando di rifarsi un'immagine cercando l'alleanza con il DSP (Partito democratico di Sinistra) e sfruttando il patrimonio di popolarità del suo defunto fondatore, Bülent Ecevit. Le trattative tra i due partiti stanno andando però per le lunghe perché una fetta consistente del DSP non ha gradito i modi spicci ed autoritari di Baykal che li aveva invitati a sciogliere il partito. Escluso dall'alleanza il Partito Popolare di Sinistra (SHP), il cui leader, Murat Karayalçin, negli anni '90 aveva rappresentato la speranza della sinistra riformista e socialdemocratica.

In attesa degli esiti della trattativa col DSP per il momento Baykal si deve accontentare di partecipare all'ennesima manifestazione in difesa della laicità della repubblica. La prossima è in programma domenica ad Izmir. Lo scorso fine settimana altre manifestazioni si erano svolte in diverse località della Turchia occidentale. In una di queste il rettore dell'università di Bursa dopo aver ricordato che "nessuno si può permettere di mettere in discussione le forze armate" si era scagliato "contro coloro che vendono il nostro paese agli stranieri".

Il partito filo-curdo DTP, dopo aver scelto la strada dei candidati indipendenti, si prefigge l'obbiettivo di portare in parlamento almeno 37 deputati. Tra loro i dirigenti del partito vorrebbero vedere alcuni volti nuovi. Per il momento si fanno i nomi di Rakel Dink, vedova del giornalista Hrant Dink, assassinato lo scorso gennaio e Akin Birdal, ex presidente dell'Associazione per i Diritti Umani (IHD), gambizzato negli anni '90 da un estremista di destra.

Posizione di basso profilo per il Movimento di Azionale Nazionale (MHP). Forse gli ultranazionalisti di Devlet Bahçeli si sentono sicuri dei risultati dei sondaggi che li vedrebbero tra i partiti che riusciranno a superare la soglia del 10%.