Arrestati nella notte i leader e dieci parlamentari del partito filo-curdo HDP, terzo nel parlamento di Ankara. Le reazioni e il rinnovato pericolo di guerra civile in Turchia
Operazioni della polizia antiterrorismo nella notte hanno portato all'arresto di dodici parlamentari del partito d'opposizione turco HDP, terzo in parlamento con i suoi 59 eletti. Oltre ai due co-leader Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ, sono stati tratti in custodia i parlamentari Ferhat Encü, Sırrı Süreyya Önder, Selma Irmak, Ali Aslan, Leyla Birlik, Gülser Yildirim, Nursel Aydoğan, Idris Baluken, İmam Taşçıer e Ziya Pir. Quest'ultimo è stato rilasciato in mattinata, con obbligo di firma in caserma ed il divieto di lasciare la città. Chiesto invece formalmente l'arresto di Leyla Birlik e Nursel Aydoğan.
I parlamentari, a cui nel maggio scorso era stata tolta l'immunità, erano stati da tempo posti sotto indagine dalle autorità con l'accusa di collusione e favoreggiamento al PKK, l'organizzazione autonomista curda considerata terrorista da Turchia e Unione Europea.
Secondo fonti ufficiali, riprese anche da alcuni quotidiani filo-governativi, l'arresto sarebbe avvenuto in seguito alla riluttanza dei parlamentari a rispondere davanti ad una corte sui presunti legami di cui sono accusati. La detenzione sarebbe dunque una conseguenza della loro mancata comparizione davanti alle autorità giudiziarie.
Le reazioni dell'opposizione
Di tutt'altro tenore la reazione delle opposizioni, non solo dell'HDP ma anche del partito CHP, che accusano il governo di guidare di propria mano l'azione giudiziaria con lo scopo politico di silenziare le opposizioni.
In un comunicato rilasciato dall'HDP poco ore dopo gli arresti si legge che i parlamentari “non hanno alcun preconcetto nel rendere conto delle proprie azioni di fronte ad un tribunale equo ed imparziale. Tuttavia non accetteranno di sottoporsi ad una persecuzione politica in un momento in cui la credibilità del sistema giudiziario nel nostro paese ha toccato il fondo”.
I deputati del CHP Tanrıkulu e Şeker hanno dichiarato che questi arresti rappresentano “un secondo golpe contro la democrazia” turca e “un attacco diretto all'unità nazionale”, poiché rischiano di rinfocolare ulteriormente lo scontro inter-etnico tra stato turco e curdi. Il leader del partito Kılıçdaroğlu ha affermato che ogni azione è messa in atto per preparare il terreno alla futura riforma presidenziale. “Coloro che sono stati chiamati con le elezioni dovrebbero andarsene solo con altre elezioni” ha aggiunto.
Parallelamente alle operazioni di polizia sono stati bloccati Twitter, Facebook, Youtube e anche Whatsapp, mentre anche la rete telefonica cellulare risulta rallentata in molte città e completamente bloccata attorno alla sede HDP ad Ankara.
Attentato a Diyarbakir
Divieto di trasmettere e divulgare notizie è stato invece imposto dall'autorità per le telecomunicazioni sull'attentato avvenuto a Diyarbakir poche ore dopo gli arresti e che ha colpito una scuola di polizia. Il bilancio temporaneo è di un morto e 30 feriti, ma fonti ancora non ufficiali parlano di 8 morti e almeno cento feriti. Già nelle ore precedenti si sono registrati scontri tra la popolazione locale scesa in strada in reazione alle detenzioni e la polizia, che ha sparato diversi colpi d'arma da fuoco per intimare l'allontanamento delle persone dall'area dell'esplosione. Le autorità additano il PKK come responsabile dell'attacco.
Rischio guerra civile?
Gli arresti non sorprendono, dopo l'eliminazione dell'immunità parlamentare e le indagini lanciate dalle procure. Tuttavia la perdita della propria rappresentanza, eletta proprio un anno fa, potrebbe spingere i curdi alla disaffezione verso la ricerca di una soluzione politica e non violenta alle tensioni interne al paese.
Lo spettro di una impari guerra civile si avvicina ancor di più dal momento in cui l'arena politica è bloccata da azioni giudiziarie e la coesione e la fiducia verso le istituzioni è sempre minore.