Per due mesi, 700 detenuti curdi hanno partecipato ad uno sciopero della fame: chiedevano la fine dell’isolamento del leader del Pkk, Abdullah Öcalan, il diritto all’istruzione in curdo e il diritto di difendersi in tribunale nella propria lingua madre. Il 17 novembre, però, lo stesso Öcalan ha messo inaspettatamente fine alla protesta. Ankara e il Pkk tornano al tavolo negoziale?
“Sono nato nel 1981, il 12 settembre dello stesso anno mio padre è stato arrestato. Mio nonno mi ha preso in braccio e mi ha portato al carcere di Diyarbakir per incontrarlo, per avermi parlato in curdo durante quel colloquio ha subito innumerevoli punizioni. A distanza di 30 anni, ora mi trovo nello stesso carcere dove era recluso mio padre. Ora è lui a venirmi a trovare in prigione e questa volta sono io che lotto, facendo lo sciopero della fame, per poter parlare e difendermi nella mia lingua madre.”
Questo il testo di una delle otto lettere lette da personaggi dello spettacolo, attori e scrittori che, in piazza Taksim a Istanbul, lo scorso 30 ottobre, hanno deciso di dare voce ad alcuni dei 700 detenuti curdi che per più di due mesi hanno partecipato a uno sciopero della fame nelle carceri di tutto il paese per chiedere la fine dell’isolamento del leader dell’autonomista Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Öcalan, il diritto all’istruzione in curdo e di potersi difendersi in tribunale nella propria lingua madre.
Il sostegno degli intellettuali
Con il passare delle settimane il fronte solidale con i detenuti si è fatto sempre più ampio, oltre agli intellettuali, molti settori della società si sono mobilitati per chiedere al governo di aprire al dialogo prima che la situazione divenisse irreversibile. Centinaia di accademici delle più importanti università del paese hanno firmato un appello di sostegno alla mobilitazione dei detenuti e per “la fine del conflitto e il ritorno immediato al tavolo della trattative”, i giornalisti dei media di sinistra o pro-curdi hanno manifestato a Istanbul scandendo lo slogan: “Non vogliamo scrivere notizie di morte” e personaggi di grande rilievo in Turchia come la cantante Sezen Aksu o lo scrittore Yaşar Kemal si sono appellati al primo ministro Recep Tayyip Erdoğan perché non lasciasse la voce dei detenuti inascoltata.
Con l’aggravarsi delle loro condizioni di salute, alle manifestazioni di solidarietà, da fine ottobre, si sono sommati anche cortei violenti che hanno incendiato le strade delle più importanti città del sud-est del paese a maggioranza curda e i quartieri popolari di Istanbul, ma il 17 novembre, con una mossa che ha spiazzato tutti gli osservatori: Abdullah Öcalan ha invitato i detenuti a interrompere lo sciopero. “Senza nessuna esitazione mettere immediatamente fine alla protesta. E’ stata una protesta importante, ma lo sciopero della fame ha raggiunto il suo obiettivo”, ha scritto il leader curdo in un messaggio consegnato al fratello Mehmet durante un incontro nel carcere di Imrali, l’isola-prigione dove, dal 1999, sconta una condanna all’ergastolo. I detenuti, per la maggior parte membri del Pkk, il giorno dopo hanno interrotto la protesta.
L'inaspettata presa di posizione di Öcalan
Una presa di posizione, quella di Öcalan, del tutto inaspettata, arrivata all’apice della mobilitazione e senza che nessuna delle tre condizioni poste dai detenuti fosse accolta dal governo. “Per fortuna lo sciopero della fame è finito senza che nessuno perdesse la vita. L’elemento di svolta è stata la vostra mobilitazione - ha spiegato Selahattin Demirtaş, segretario del filo-curdo Partito della democrazia e della pace durante un comizio nei pressi della città di Muş il 18 novembre – se voi non aveste lottato con determinazione nelle strade a favore delle rivendicazioni dei detenuti dalle carceri ne sarebbero usciti dentro una bara. Sostenendo le loro rivendicazioni avete evitato che perdessero la vita”
Nonostante le dichiarazioni ufficiali, tuttavia, molti osservatori in Turchia vedono dietro la scelta di Öcalan di porre fine allo sciopero della fame un possibile accordo tra lo stato e il leader curdo maturato a inizio novembre. Il supposto accordo prevedrebbe il ritorno al negoziato per trovare una soluzione politica al conflitto, quello tra esercito e autonomisti curdi, che sta attraversando in questi mesi una delle fasi più sanguinose dalla fine degli anni novanta.
Riprendono le trattative per porre fine al conflitto?
Secondo le indiscrezioni apparse sulla stampa turca (e confermate dal segretario del Bdp), fallite le trattative tra il partito curdo e il governo, vista la disponibilità di quest’ultimo a discutere solo su una delle richieste dei detenuti, quella relativa al diritto a difendersi in tribunale in curdo, la palla sarebbe passata ai servizi segreti incaricati dal governo di dialogare direttamente con il leader del movimento curdo Öcalan.
Negli ultimi due mesi, per tre volte agenti del Mit, i servizi segreti turchi, si sarebbero recati sull’isola-prigione di Imrali per spingere Öcalan a invitare i detenuti a porre fine allo sciopero della fame, offrendo probabilmente, in cambio di una sua presa di posizione, la disponibilità a riprendere le trattative tra stato e movimento curdo congelate dal 2009. Una proposta che il leader del Pkk avrebbe accettato.
Per Karin Karakaşlı giornalista del quotidiano Radikal dopo la fine della protesta dei detenuti sia il primo ministro Erdoğan che i politici curdi hanno adottato una retorica più pacata e dialogica e questo fatto mostrerebbe che è iniziata una nuova fase: “I toni moderati adottati dal governo, ma anche dal Bdp, sono diversissimi da quelli aggressivi e violenti usati durante lo sciopero della fame, inoltre il primo ministro Erdoğan ha affermato che è disponibile a fare qualsiasi passo utile alla soluzione della questione curda.”
Una soluzione che secondo Karakaşlı è da trovare al più presto possibile: “Si è perso fin troppo tempo, la necessità di trovare con urgenza una soluzione politica al conflitto non è solo relativa alla politica interna, ma è anche legata a una congiuntura internazionale sempre più pericolosa: in Iraq, per esempio, i militanti legati al governo autonomo curdo del Nord Iraq si sono scontrati con le forze fedeli a Baghdad e in Siria venti persone sono morte negli scontri tra l’Esercito siriano libero, composto soprattutto da arabi sunniti, e gli autonomisti curdo-siriani del Pyd”.
Per ora, nonostante le indiscrezioni, tuttavia, non si fermano gli arresti di militanti curdi, circa cento attivisti sono stati fermati la scorsa settimana, e si parla della possibilità di togliere l’immunità parlamentare a nove deputati del pro-curdo Bdp accusati di “terrorismo separatista”, ma per capire se il governo è davvero intenzionato a dare il via a una nuova fase di dialogo bisognerà aspettare le prossime mosse di Erdoğan.