Donec’k, Ucraina © rtem/Shutterstock

Donec’k, Ucraina © rtem/Shutterstock

Le auto-proclamate repubbliche di Donec’k e Luhans’k sono state spesso dipinte come indipendenti, ma era proprio così? Cosa accadeva in quei territori negli otto anni che hanno preceduto l'invasione russa su larga scala del febbraio 2022?

02/05/2024 -  Andriy BrashchaykoFrancesco Brusa

I territori noti come Repubblica Popolare di Donec’k (DNR nell’acronimo ucraino e russo) e Repubblica Popolare di Luhans’k (LNR) hanno compreso, in seguito agli accordi di Minsk I, le parti orientali rispettivamente delle oblast’ di Donec’k e Luhans’k; le parti occidentali della regione geografica del Donbas sono invece rimaste sotto il controllo del governo ucraino dopo il 2014, fino al 2022.

Nonostante l'occupazione e controllo parziale del territorio - poco più del 50% per l’oblast’ di Donec’k e del 95% Luhans’k - nel settembre 2022 la Federazione Russa ha annesso le due oblast’, insieme a quelle di Zaporizzja e Kherson (di cui occupa una percentuale di territorio ancora minore).

Una mappa dell’esercito ucraino del novembre 2014, due mesi dopo i primi accordi di Mins’k, con in rosa le aree non controllate da Kyiv. La mappa sarebbe poi leggermente variata nel febbraio 2015, in seguito alle battaglie vinte dai separatisti filorussi nel corridoio fra Ilovajs’k e Debal’tseve.

Una mappa dell’esercito ucraino del novembre 2014, due mesi dopo i primi accordi di Mins’k, con in rosa le aree non controllate da Kyiv. La mappa sarebbe poi leggermente variata nel febbraio 2015, in seguito alle battaglie vinte dai separatisti filorussi nel corridoio fra Ilovajs’k e Debal’tseve.

Un recente articolo di Foreign Affairs ha ricapitolato le fasi con cui la Russia ha implementato l’occupazione di questi territori, il 18% dello Stato ucraino, in seguito alla proclamata annessione del settembre 2022.

Scrive David Lewis, professore di Global Politics all’Università di Exeter: “Da allora, i funzionari russi hanno trasformato il governo delle aree sotto il loro controllo, tenendo elezioni farsa lo scorso settembre [2023, ndr] e nominando funzionari filo-Mosca a ogni livello. Un esercito di tecnocrati sta supervisionando il completo assorbimento di questi territori, allineandone leggi, regolamenti, sistemi fiscali e bancari alla Russia e sbarazzandosi di ogni traccia di legami istituzionali con l'Ucraina. Un periodo di transizione nominale che durerà fino al gennaio 2026, quando il Cremlino si aspetta che i sistemi legali, giudiziari e politici russi siano pienamente in vigore in quelle che chiama Nuove Regioni. Questa occupazione amministrativa è meno nota della violenza e delle violazioni dei diritti umani che l'accompagnano”.

Le auto-proclamate repubbliche di Donec’k e Luhans’k, in realtà già annesse (nella totalità delle oblast’) dal presidente Vladimir Putin alla vigilia dell’invasione del 24 febbraio 2022, sono state spesso dipinte come indipendenti, o comunque non completamente allineate alla volontà politica di Mosca seppur fosse accentuato il dichiarato filorussismo delle stesse.

Ma già nei primi giorni successivi alla guerra su larga scala, lo storico e ricercatore britannico Simon Pirani scriveva su Jacobin come sebbene “le dure condizioni che si sono normalizzate da quando questi staterelli sono stati fondati nel 2014 non siano una guida esatta di come le forze sostenute dalla Russia, o la Russia stessa, potrebbero amministrare altre parti dell'Ucraina se le conquistassero con la forza [...] la miseria inflitta alla popolazione di queste ‘repubbliche popolari’ negli ultimi otto anni fornisce alcune indicazioni” di ciò che la Federazione Russa ha intenzione di implementare sul resto del territorio ucraino.

Ci racconta Pavel Lysianski, ex minatore e sindacalista nato in Donbas, come “durante l'esistenza della DNR e della LNR, l’obiettivo principale è stato quello di preparare l'integrazione delle aree occupate dei territori delle oblast’ di Luhans’k e Donec’k nella Federazione Russa. Tra il 2015 e il 2022, Mosca ha cercato di creare un'immagine delle ‘repubbliche’ come governate localmente, ma in realtà ogni struttura aveva un consigliere russo assegnato ad essa. Come ricercatore posso concludere che le repubbliche non sono mai state realmente indipendenti. Ciò è confermato dal fatto che i cosiddetti partiti della LDNR (Donbass libero, Repubblica di Donetsk, Partito comunista della LDNR, Pace della regione di Lugansk) sono stati successivamente assorbiti dai partiti politici russi [Russia unita su tutti, ndr]. Qualsiasi arbitrio da parte dei cosiddetti capi delle ‘repubbliche’ è stato severamente limitato dai servizi speciali della Federazione Russa”.

Già nei primi mesi si sono scatenate numerose faide interne fra le varie gang politico-militari, arricchitesi con le statalizzazioni delle miniere e industrie siderurgiche (reprimendo pure con la forza le proteste dei sindacati) del Donbas in seguito alla autoproclamata indipendenza. Gli attentati e omicidi fratricidi tra alti vertici dell’apparato amministrativo e militare di Donec’k e Luhans’k riflettono l’ombra di Mosca nel caos che ha colpito le repubbliche subito dopo il 2015.

“Nel 2015 sono stati eliminati tutti i comandanti di campo dell'LNR che non volevano obbedire a Igor Plotnitsky. Nel 2018 è stato eliminato Zakharchenko, che in precedenza aveva tentato di incontrare Putin. Kobzon [un celebre cantante russo morto nel 2018 e vicino a Putin] ha invitato Zakharchenko a un evento a Mosca a cui partecipava il presidente russo, ma l'apparato di Putin bloccò presto questo incontro e poche settimane dopo Zakharchenko venne liquidato. In altre parole, i servizi speciali controllavano tutti i processi nella LDNR, a volte litigavano tra loro, ma non c'era libertà d'azione per i funzionari locali delle amministrazioni dell'occupazione”, aggiunge Lysianski.

Alla vigilia dell’invasione, l’organizzazione Freedom House classificava le libertà politica e civile delle repubbliche con un punteggio di 4/100, superiore solamente a Corea del Nord, Eritrea e Siria. L’organizzazione Eastern Human Rights Group fondata proprio da Lysianski documenta da ben prima del 2022 casi di violazioni dei diritti umani e di mobilitazione forzata nelle repubbliche di Donec’k e Luhans’k.

Oltre ai numerosi crimini di guerra dell’estate 2014 e dell’inverno 2015, nello stesso periodo anche l’OSCE segnalava centri di detenzione illegale con condizioni disumane per i detenuti politici. Le autorità delle repubbliche consideravano pure come “anti-russa” qualsiasi espressione della cristianità non fedele alla Chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca.

Se nel giugno 2014 i separatisti avevano attaccato un gay club di Donec’k ferendo oltre 20 persone, l’anno successivo la ministra dell’Informazione della repubblica di Donec’k dichiarava fieramente - in stile kadyroviano - come non ci esistessero omosessuali nelle repubbliche. “Sono tutti scappati a Kyiv”.

Oltre a quella ucraina, una minoranza particolarmente bersagliata dai regimi filorussi di Donetc’k e Luhans’k è stata quella rom, in larga parte scappata in Ucraina o Russia nel timore di una pulizia etnica - giustificata dal sindaco filorusso di Slovjans’k nel 2014 come una “lotta al traffico di droga”.

Nelle persecuzione dei rom può aver influito il carattere apolide degli stessi, in un clima per cui la cosiddetta passaportizzazione - come la chiama anche Simon Pirani - è diventata esasperata: le autorità delle repubbliche e Mosca stessa si vantavano di aver distribuito circa 3 milioni di passaporti russi nella regione dal 2014. In seguito alle nuove leggi russe, chiunque sia sprovvisto di un passaporto russo può essere detenuto, deportato e in generale considerato un “cittadino senza Stato”.

Il fenomeno del collaborazionismo , dunque, a livello popolare è stato più un fattore economico e di convenienza sociale, piuttosto che di aderenza ideologica - e ciò dovrà essere un punto fermo di un eventuale piano di reintegrazione della popolazione residente nei territori occupati nell’Ucraina.

In una recente intervista tradotta in italiano Taras Bilous, più volte richiamato in questi articoli dopo un’intervista da noi pubblicata per MicroMega , ha dichiarato come “la narrazione del mainstream ucraino sulle regioni orientali [sia] in qualche modo dissociata, quando si parla della popolazione locale. Da un lato, la gente le vede come ‘nostre’, dall'altro le vede tutte come ‘separatiste’. Non esiste una narrazione coerente di ciò che è accaduto nel 2014. Inoltre, se nel descrivere quegli eventi si supera una certa linea, si viene bollati come separatisti. Da questo punto di vista, non mi piace affatto il modo in cui vanno le cose in Ucraina”.

Secondo Lysianski “il sostegno alle repubbliche popolari non poggiava nella popolazione, ma nelle élite locali. C'era, ovviamente, una parte della popolazione locale che era già avvelenata dalla propaganda russa, tutti i canali della Federazione Russa venivano trasmessi a ogni ora del giorno. C'era una parte della popolazione politicamente attiva e una parte della popolazione filo-ucraina che, ad esempio, ha cacciato i separatisti da Svatovo, Markivka e Belovodsk, contro la volontà delle élite locali”.

Una sorta di divisione interna che comunque esisteva anche prima del 2014, come viene raccontato nel libro di recente pubblicazione di Kateryna Zarembo Il Donbas è Ucraina, in cui vengono raccolte tutte le esperienze di promozione dell'identità e della cultura ucraine all'interno delle regioni orientali.

Le élite a cui si riferisce Lysianski sono in particolare il Partito delle Regioni e il Partito Comunista dell'Ucraina, che per decenni sono stati al potere nelle regioni di Luhans’k e Donec’k. “Avevano le loro strutture, i loro media, l'intero apparato di funzionari delle amministrazioni locali proveniva esclusivamente da questi partiti, che sostenevano la linea filorussa. Funzionari esperti organizzarono le proteste filorusse nel 2014, portando a queste manifestazioni minatori, operai, lavoratori del bilancio, per i quali sembrava solo un fenomeno temporaneo” ci racconta Lysianski. “Vi faccio un esempio: i minatori che sono stati portati alle manifestazioni filorusse nel 2014 avevano stipendi medi da 1200 a 1500 dollari. Il numero di miniere era di circa 100. Ora tutte queste miniere sono state liquidate e tra il 2014 e il 2022 lo stipendio medio di un minatore era di 300-500 dollari”.

“Vale anche la pena notare che all'epoca internet stava appena prendendo piede, e la gente continuava a credere di più alla televisione, dove venivano trasmessi soprattutto canali russi” continua. “Ma già a metà marzo 2014, politologi russi, comandanti di sedicenti organizzazioni cosacche e persino politici russi hanno iniziato ad arrivare in massa nelle regioni di Luhans’k e Donec’k. Alla popolazione locale è stato proposto di combattere e assediare Slovajans’k. C'è stato chi ha imbracciato le armi, ma il loro numero non superava il 5% del collettivo di lavoratori di una miniera o di una fabbrica”.

Sebbene sia praticamente impossibile azzardare delle stime in percentuale sulla popolazione, sono state portate avanti misure di repressione violenta verso chi dissentiva l’integrazione forzata delle regioni nella Federazione Russa (il Justice Initiative Fund, per esempio, documenta i casi di detenzione e tortura presso la prigione separatista di Izolyatsia).

Nel maggio 2014 la prima costituzione costruita dagli autoproclamati padri costituenti delle repubbliche prevede va l’ucraino come lingua ufficiale al fianco del russo, nel 2020 l’ucraino veniva definitivamente cancellato , dopo che l’insegnamento scolastico della lingua ucraina nelle scuole era sceso da otto a due ore alla settimana già nei primi anni di indipendenza da Kyiv.

I bambini in età scolastica delle repubbliche hanno assistito a una militarizzazione dilagante della società, esemplificata dai vari campi di addestramento per ragazzini sparsi nelle province occupate.

Dal 2014, molti di quei bambini sono diventati maggiorenni. Un recente report di Human Rights Watch avverte come, in particolare dall’inizio dell’invasione su larga scala, le autorità di Mosca sembrerebbero mettere in campo pressioni e intimidazioni su diversi strati delle società dei territori occupati, anche sui detenuti, affinché si arruolino nell’esercito russo.

 

Il dossier

Se l’invasione su larga scala dell’Ucraina sta entrando nel suo terzo anno, sono quasi dieci gli anni di aggressione e ingerenza russa nel paese, cominciati nel 2014 con l’annessione della Crimea e continuati con la guerra ibrida in Donbas. Molto è cambiato rispetto alla ‘prima fase’ della guerra russo-ucraina, ma il Donbas è rimasto una delle poche costanti: la regione continua a essere la zona più colpita, a livello umano e materiale, dai combattimenti. Un’ulteriore tendenza della “questione del Donbas” è che ad affrontarla siano molto più spesso giornalisti e analisti mai vissuti in quell’area – che si tratti di russi, ucraini occidentali o esperti stranieri – rispetto a chi nel Donbas è nato e cresciuto.

Il nostro progetto, composto da dieci puntate, nasce con l’obiettivo di raccontare gli eventi del recente passato della regione contesa con la consapevolezza e lucidità dell’oggi. Reintegrare il Donbas è diventato una priorità politica imprescindibile per Kyiv, mentre il congelamento dello status quo è essenziale negli obiettivi bellici di Mosca. Nessuna delle due parti in conflitto affronta però realmente le specificità della popolazione locale, o di ciò che ne è rimasto. Abbiamo raccolto numerose voci del Donbas “reale” che hanno lasciato la regione nel 2014-15 per trasferirsi altrove, in Ucraina o in Europa. Posizioni fortemente anti-Cremlino, ma mai acriticamente a supporto dei governi ucraini. Abbiamo chiesto loro quale presente e futuro vedono per il Donbas, una casa in cui temono di non ritornare mai più.

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