Ieri ai cancelli d'entrata della centrale nucleare di Yuzhnoukrainsk c’era un cartello che celebrava la festa dell’8 marzo con la frase "L’Ucraina vincerà. La vita vincerà". La preoccupazione nella città però continua ad aumentare
La Festa della Donna è sempre stata una commemorazione particolarmente sentita nei paesi ex sovietici. L’8 marzo 1917 (che in realtà in Russia era il 23 febbraio a causa del calendario giuliano usato allora), sulla Prospettiva Nevsky sfilarono migliaia di manifestanti, la maggior parte donne, che chiedevano pane e cibo per i propri figli, mentre i padri, i mariti, gli uomini in grado di lavorare erano al fronte a combattere.
L’8 marzo 2022 in Ucraina ricorda l’8 marzo di 105 anni fa: oggi come allora una guerra sta separando le famiglie ma questa volta le donne ucraine a Yuzhnoukrainsk e in molte altre città del paese non chiedono pane e cibo, bensì armi per l’Ucraina. Anzi, qui a Yuzhnoukrainsk in molte rifiutano di celebrare una “festa sovietica” (quindi russa). Larysa Minina, direttrice del giornale locale, ricorda Clara Zetkin e Rosa Luxemburg quando afferma che "in Ucraina presto avremo, oltre che un Giorno della Vittoria, anche un Giorno della parità di genere".
La televisione ucraina ha invece ricordato che le donne compongono il 15% degli effettivi delle forze armate nazionali, anche se, ad oggi, non ho ancora visto nessuna soldatessa o ufficiale nei reparti militari o fare una sola apparizione in TV.
Retorica a parte, le donne sono invece principalmente impegnate ad accudire chi è rimasto a casa, ad arrabattarsi cercando, tra un supermercato e l’altro, tutto ciò che può essere comperato e cucinato.
Anche nella centrale nucleare di South Ukraine le lavoratrici donne sono un’esigua minoranza, per la maggior parte impiegate negli uffici amministrativi. Oggi hanno tutte ricevuto un biglietto di auguri dai loro colleghi e ai cancelli d’entrata c’era un cartello che celebrava la festa dell’8 marzo con la frase conclusiva “L’Ucraina vincerà. La vita vincerà”.
“Ho vissuto in Francia per 15 anni e l’8 marzo lì è vissuto in modo diverso da come lo viviamo noi: qui lo chiamiamo Giorno dei diritti delle donne, lì semplicemente Festa della Donna” spiega Yana, un’impiegata della centrale che aggiunge che il periodo sovietico, pur con tutti suoi lati negativi, riusciva a dare un senso compiuto e razionale anche alle commemorazioni.
Nel frattempo, la preoccupazione qui nella zona di Yuzhnoukrainsk continua ad aumentare. I bombardamenti avvenuti a Mykolaiv nelle ultime 24 ore hanno fatto temere il peggio: “Mykolaiv è a 120 chilometri dalla centrale di South Ukraine e ad una sessantina da Odessa. Se cade i russi avranno via libera per conquistare l’intera regione meridionale dell’Ucraina”, spiega il sindaco Alexander Senkevich.
Ieri un gruppo di volontari si è addestrato nella periferia cittadina nella preparazione e nel lancio di bombe molotov. Più che ad un’esercitazione militare sembrava di essere ad un raduno di classe: tra un lancio e l’altro contro il muro di una casa diroccata, si beveva birra, si mangiava, si rideva, si raccontavano gossip. Il maggiore Yuri Biliy, responsabile dei volontari ucraini che si sono uniti all’esercito, afferma che i miliziani presidiano le strade di accesso alle città di Yuzhnoukrainsk, Pankratov, Ivanovka, Buzhsky e Konstantinovka e hanno organizzato posti di raduno nelle circostanti foreste per azioni di guerriglia mordi-e-fuggi.
Anche se nessuno lo dice apertamente, tutti sanno che le forze ucraine non riusciranno a far fronte ad un’avanzata russa: la soverchiante tecnologia e la praticamente illimitata capacità di rimpinguare di nuove leve e di nuovi mezzi le linee del fronte, avranno alla fine la meglio anche sulle potenti spinte motivazionali degli ucraini. Affermare però che la resistenza è destinata a fallire è un rischio che potrebbe portare all’accusa di tradimento.
“Le uniche possibilità che abbiamo di sopravvivere a questa guerra sono che l’Europa ci invii materiale bellico e dichiari i cieli ucraini no-fly zone” mi dice un miliziano mentre beviamo un tè nella gelida tenda in cui è di guardia.
Quando gli faccio notare che la no-fly-zone è stata categoricamente esclusa dai vertici Nato e che le armi arriveranno, sì, ma col contagocce, lui risponde che non vi sono solo i governi che si muovono: “Guarda Leonardo di Caprio: ha donato dieci milioni di dollari all’Ucraina affinché compri armi per il nostro esercito” riferendosi all’annuncio fatto da esponenti del governo di Kiev riguardante una elargizione dell’attore statunitense, che ha antiche discendenze ucraine da parte di madre. Non serve dirgli che probabilmente quei dieci milioni di dollari non sono stati devoluti per comprare armi, ma per comprare beni di prima necessità per la popolazione. Hollywood è approdata anche qui.
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