Davanti al municipio - Gughi Fassino

All'indomani dell'accordo firmato tra Fiat e Zastava, un reportage-inchiesta di Osservatorio sulla fabbrica simbolo dell'industrializzazione jugoslava e sulla sua città, Kragujevac. Economia, società e sviluppo locale nelle transizioni

25/10/2005 -  Davide Sighele

La culla dell'industria serba

Il municipio di Kragujevac, Serbia centrale, è una geometria imponente che si staglia sul cielo terso. Sopra l'ingresso due enormi ali di cemento, quasi a portare in alto quest'alveare di finestre.

Poi i fiori ed un prato circolare, attraversato da una retta pedonale, una piazza dove nel tardo pomeriggio scorrazzano i bambini su piccole jeep elettriche accompagnati nel loro procedere da premurosi genitori ed i palazzi il cui cemento trasuda d'Europa dell'est.

La città da lì si dipana, le case s'abbassano e l'architettura si stempera nei colori delle insegne dei negozi e tra i tavolini dei bar. E' quasi bella Kragujevac in questa fine estate. Bella anche se la storia dei suoi ultimi 15 anni parla di una crisi radicale e drammatica.

Kragujevac è la sede di quella che era la Crvena Zastava, Bandiera Rossa, mitica casa automobilistica della Jugoslavia di Tito. E non solo. Vi si producevano ed in parte vi si producono tutt'ora anche camion, attrezzi e soprattutto armi. Sparita la Jugoslavia, alla Bandiera è stato tolto il colore ed è rimasta solo la Zastava.

Se il Kosovo è considerato la culla della nazione serba, Kragujevac lo è per l'industria. "Questa è la prima bomba a mano serba" racconta seria e compita Mirjana, tacchi alti a rendere vertiginoso il suo metro e ottanta. Procede con andatura da modella tra cannoni, moschetti, mitragliatori e pistole automatiche esposti nel museo Zastava. "L'azienda è stata fondata nel 1851, all'inizio, e in parte tutt'ora, produceva armi". Poi scherza "siamo sempre in guerra" e torna forzatamente seria, quasi si sentisse portavoce del proprio popolo "ma solo per difenderci".

Dopo i cannoni sono arrivate le componenti meccaniche per camion militari e gli assemblaggi per l'americana Chevrolet. Infine è arrivata la FIAT.

A partire dal 1953 inizia infatti la produzione e commercializzazione di veicoli ad uso privato su licenza dell'azienda automobilistica italiana. Si inizia con la FIAT Campagnola, poi nel '55 arriva la Zastava 600 B, detta Fića, nel 1971 la Zastava 101 - i maligni dicono si chiamasse così perché era composta da 100 pezzi italiani, ed uno jugoslavo, l'autista - (oggi Skala) e poi l'utilitaria Yugo 45, che montava il motore della FIAT 127. Infine, più recentemente, a fine anni '80 la Florida, la cui linea è stata impostata dal designer italiano Giorgio Giugiaro.

Per strada - Gughi Fassino

In pochi decenni la Zastava si è allargata a dismisura e con essa la città ha quadruplicato i suoi abitanti. Ad ospitare i suoi 180.000 abitanti non solo condomini ma soprattutto una distesa di case con giardino, Zastava parcheggiata di fronte, dove gli operai immigrati soprattutto dal sud, in particolare Macedonia e Kosovo, riproducevano il loro ambiente d'origine e realizzavano il loro "sogno jugoslavo".

"In quegli anni la città è cambiata" racconta Bane Soldatovic, direttore della Zastava Kamioni, partecipata al 30% dall'italiana IVECO "mi accorgevo che arrivava un nuovo gruppo di operai da quanto erano sporchi i gabinetti. Ora è diverso ma in quegli anni le campagne erano molto arretrate". Bane alza le braccia, mima di lavarsi in modo sbrigativo le ascelle. "Per loro questo era lavarsi". Nel suo racconto il contrasto jugoslavo tra città e campagna, per molti una chiave di lettura fondamentale per capire le guerre degli anni '90.

Poi si gira verso l'amico Cole, alias Branislav Kovacevic, presidente della Koalicija Sumadjie, partito regionalista che fece parte della coalizione DOS, quella in grado, nel 2002, di sconfiggere Slobodan Milosevic. "Anche lui è un Seliak (agricoltore)" e sorride, come se l'avesse detta grossa "da poco si è trasferito dal centro città in campagna". E ci fa capire che per lui la cosa è inconcepibile.

Per cinquant'anni Kragujevac era la Zastava. Due carte sovrapposte. In un libro che ci viene regalato la storia della città ed una foto dall'alto. Da una parte le case, dall'altra, vicino alle colline, i più di 130 ettari sui quali sorge la Zastava. La prima di un'estensione simile alla seconda.

Ma negli ultimi 15 anni è come se quella foto fosse stata piegata in due ed i grandi capannoni avessero finito per schiacciare e soffocare la città. Nel 1991 la Jugoslavia è andata in pezzi. Con essa letteralmente è andata in pezzi anche la Zastava. Si è frammentato il mercato e soprattutto si è interrotta la produzione. A Spalato, Croazia, la Jugoplastika produceva gli interni e poi vi erano altri stabilimenti in Kosovo, Slovenia e Bosnia. Quelle che erano relazioni del tutto interne alla fabbrica sono divenute relazioni internazionali, per di più tra Paesi in guerra. Poi le sanzioni internazionali alla Serbia e nel 1999 sulla Zastava sono cadute le bombe della NATO.

"Abbiamo dovuto reinventarci la produzione di 2000 degli 8000 pezzi che componevano le nostre automobili" sottolinea Vladeta Kostic, direttore marketing della Zastava Automobili, mostrando un grafico senza equivoci. Un parallelepipedo lungo e stretto relativo all'89 - '90, al suo fianco il vuoto. Delle 223.000 vetture prodotte nel 1989, due anni dopo, ne restavano meno di 10.000. I 37.500 lavoratori dell'intero sistema Zastava ridotti, in una ristrutturazione del 2001 a 13.500. E molti di questi ultimi lo sono solo sulla carta.

Politika

"La Zastava, anche sotto Tito, non seguiva regole prettamente economiche ma piuttosto politiche" afferma deciso Cole, diminutivo di Branislav Kovacevic, presidente della Koalicija Sumadjie. E lascia intendere che oggi è ancora così. E' questa la condanna che deve scontare quella che era la più imponente azienda jugoslava. Insostenibile dal punto di vista economico allora, insostenibile a maggior ragione oggi.

Il sistema Zastava ha subito, nel 2001, un'imponente ristrutturazione. Il colosso è stato scomposto in 12 componenti, ciascuna autonoma, ed i lavoratori sono stati radicalmente ridotti. "Il tutto è avvenuto in modo più o meno consensuale" sottolinea Bane Soldatovic "anche perché qui i sindacati sono molto forti. Molti di coloro i quali lavoravano alla Zastava hanno accettato una buonuscita di 100 euro per anno lavorativo. Lo so che non è molto ...".

La ristrutturazione serviva soprattutto in chiave privatizzazioni. "Alcuni settori, i più appetibili, sono stati privatizzati. Ad esempio il settore che produce attrezzi, la Zastava Alati, è stata comperata dagli sloveni" racconta Dusan Kukic, laurea in economia e lavoro presso l'Agenzia regionale per lo sviluppo economico con sede a Kragujevac " ma per il resto ....". La sua smorfia è chiara, molto del resto non interessa proprio a nessuno.

Dirigenti Zastava, politici locali e sindacalisti concordano su di un punto. Il futuro della Zastava non è nelle mani di Kragujevac, ma piuttosto di Belgrado. E' lì che si prendono le decisioni chiave, è lì che si valutano possibili partner stranieri. Del resto è dal governo centrale che stanno arrivando gran parte dei fondi per continuare a pagare operai, funzionari e dirigenti.

Catena di montaggio - Gughi Fassino

Anche una sigla ritorna nelle parole di tutti. ZOA, col suo suono quasi esotico. Ma di esotico non ha nulla. E' una sorta di parcheggio temporaneo per 4300 operai. 45% della paga in attesa di una soluzione futura. "Ma il governo sino ad ora non ha dato alcuna risposta e soluzioni non se ne intravedono. Le privatizzazioni? Benvengano se servono a garantire posti di lavoro", racconta Radoslav Delic a capo di uno dei principali sindacati in Zastava, Samostalnost. I sussidi scadevano quest'anno ma sono stati prolungati ancora per il 2006. Pace sociale ed un po' di voti.

Le pareti della sede di questo sindacato - in un edificio a poche decine di metri da quello inizi '900 che ospita alcuni dei principali uffici della Zastava - raccontano di intense relazioni con l'Italia. L'arcobaleno della bandiera della pace in entrata, le fotocopie di articoli pubblicati su quotidiani italiani, le foto delle centinaia di persone che in questi anni sono state vicine agli operai della Zastava soprattutto grazie ad imponenti programmi di adozioni a distanza. "Da Trieste alla Sicilia" racconta Radoslav Delic "hanno adottato a distanza 1800 bambini".

Nell'ufficio di presidenza una foto di Djindjic, Primo ministro serbo dall'impronta liberale assassinato a Belgrado nel 2003. Particolare l'abbinamento con quella di Che Guevara, poco distante. Difficile orientarsi. Samostalni è un sindacato fortemente radicato nel periodo di Milosevic, quando era l'unico esistente. "Ma qui non è rimasto nessuno di quel periodo" sottolinea il suo presidente. Più caustico Bane, dirigente Zastava. "Dietro all'immagine di Djindjic c'è quella di Milosevic", sorride facendo con la mano in modo ripetuto l'eloquente gesto del girare un quadro.

A Kragujevac, come in realtà in altre parti dei Balcani, non ci si può permettere di adagiarsi su categorie politiche date. I sindacati sperano in improbabili privatizzazioni e la definizione destra-sinistra nello schieramento politico salta e piuttosto occorre analizzare quest'ultimo con la chiave di lettura data dal grado di nazionalismo. Anche i simboli all'interno della Zastava stanno a dimostrare l'estrema complessità del panorama politico attuale: i manifesti di Otpor, appesi in più punti della fabbrica, si mescolano ai bassorilievi in rame inneggianti alla lotta partigiana, alla musica turbofolk che si ascolta in alcuni reparti ed a pagine strappate da qualche giornale pornografico.

Catena di montaggio - Gughi Fassino

Si perdono riferimenti anche ascoltando i racconti sui bombardamenti NATO del 1999. Un ometto saltella all'entrata del museo della Zastava Armi, è una sorta di tuttofare al quale i dirigenti Zastava ci hanno assegnato per fare un giro tra gli edifici tardo ottocento della sede originaria della Zastava. Ci indica quello che a suo avviso è più importante riprendere con la videocamera. Poi piazza davanti all'obiettivo le fotografie degli edifici bombardati. Macerie. "Ecco, queste dovete riprendere" afferma in modo concitato.

Ma attualmente la stessa Zastava, per precisione la Zastava Oruje - 2600 dipendenti, 5600 prima della ristrutturazione del 2001 - produce armi per la NATO. Un contrasto che stupisce. Da una parte i bombardamenti e un'epopea legata a questi ultimi e dall'altra si producono armamenti per gli stessi che ti hanno bombardato. Chiediamo un commento a Rade Gromovic direttore marketing della Zastava Oruje, gessato elegante e sigarette sottili. Una piccola pausa ed un'unica parola, alzando le sopracciglia: "Politika". Noi non c'entriamo nulla, vuole far intendere, i bombardamenti della NATO sono arrivati per colpa della politica, ma poi gli affari sono affari. Mi scorre davanti un'immagine della sera precedente. Ivanka, la nostra padrona di casa, stanca che le proprie figlie siano state obbligate ad andare all'estero per lavorare, stanca del doversi arrangiare quotidianamente per sopravvivere, stanca che tutto non sia più come prima. E poi una frase: "E' tutta colpa della politica, i politici sono tutti uguali". Sono in molti, seppur in maniera differente, a non sentirsi responsabili per quanto avvenuto negli ultimi 15 anni.

La fine della produzione ed il ritorno della FIAT

Catena di montaggio - Gughi Fassino

Sotto i 30 ettari di tetti dei capannoni della Zastava Automobili lavorano ancora 4300 operai. Le loro sono paghe misere, attorno ai 150 euro. In uno dei capannoni principali pendono dal soffitto grandi braccia meccaniche per le saldature. Inermi arti di un millepiedi stanco. In altre zone però la produzione continua. Con la lentezza di chi sa che di anni se ne sono persi ormai troppi.

La produzione è un omaggio al fordismo. Carrozzerie del modello Skala, per tutto identico alla FIAT 128 se non per un portellone posteriore leggermente modificato, procedono lente su di una catena di montaggio. Un panorama che ha dell'irreale, quasi ci si fosse intestarditi a non seguire i dettati della moda e del consumo. Ovviamente non è così. E' la tecnologia che è vecchia di trent'anni e sono gli investimenti ad essere mancati.

Vladeta Kostic, marketing Automobili, ci accoglie in un ufficio dalle ampie vetrate e dagli arredi testimonianza di un benessere passato. Prima di iniziare a parlare il direttore del marketing si alza e va a prendere alcuni modellini della Fića, piccola FIAT, un tenero vezzeggiativo per un modello che ha fatto la storia della Zastava. Una macchina della polizia, un'autoambulanza ed alcuni modelli "tradizionali". Vengono commercializzati da una ditta slovena e prodotti in Cina, solo la licenza è Zastava. Il primo pensiero è che a Kragujevac non si producano più nemmeno i giocattoli.

Eppure non è proprio così. "Nel 2005 arriveremo a produrre 14.000 veicoli" ricorda Kostic "certo è poco se si ricorda che abbiamo il potenziale per produrne 60.000. Di più no, perché molti macchinari e strutture non sono più stati ricostruiti dopo i bombardamenti del 1999". Poi un elenco di vantaggi che potrebbero convincere un acquirente ad acquistare una Zastava. "I prezzi sono molto bassi, vanno dai 3100 ai 5300 euro, abbiamo reti di vendita e d'assistenza capillari in tutta la Serbia ed infine i pezzi di ricambio sono a buon prezzo".

Punto e 101 - Gughi Fassino

Poi il rammarico per gli ultimi 15 anni. "Eravamo una delle principali aziende automobilistiche dell'est Europa. Ora la Dacia rumena ha una partnership con la Renault, la Skoda con la Volksvagen e noi siamo rimasti a piedi. Non siamo riusciti ad entrare nel processo della globalizzazione". "E la FIAT? Stiamo a vedere, si sta decidendo tutto a Belgrado".

In queste settimane in Serbia si è molto parlato di un ritorno della FIAT. Ne hanno parlato i quotidiani, sono arrivate conferme dal governo. Infatti lo scorso 20 settembre è stata annunciata la firma tra l'azienda piemontese e quella serba. A Kragujevac, a partire dal primo trimestre 2007, si monteranno 16.000 vecchie Punto all'anno che verranno commercializzate con marchio Zastava nell'est Europa. Ed il governo serbo dovrebbe ripagare dal suo budget parte dei crediti che la FIAT vantava nei confronti della Zastava. Si parla di circa 11 milioni di euro.

Come si fa però ad aspettarsi che una rinascita della Zastava possa arrivare dalla FIAT, multinazionale che certo non sta attraversando un periodo facile, soprattutto nel settore auto?

Qui a Kragujevac lo sguardo non è ingenuo. E di FIAT sanno dire qualcosa tutti. "Certo sappiamo che la FIAT non è in ottime condizioni ma per noi resta fondamentale che si vitalizzino nuovamente vecchi legami. Serve per procurarci nuove commesse, serve dal punto di vista psicologico" commenta Kostic.

Catena di montaggio - Gughi Fassino

La pensa così anche qualche altro dirigente. "La FIAT? Lo so che sta andando male ma noi andiamo molto peggio quindi un contatto con loro può sempre aiutare". Alcuni operai invece fanno emergere l'orgoglio di chi non è pronto a farsi immolare seguendo il miraggio di un partner straniero, deus ex machina che interviene risolvendo tutti i problemi. "Ben venga la FIAT" afferma un operaio, tono della voce alto per sovrastare il rumore dei macchinari "basta che sia un rapporto alla pari".

L'ipotesi più verosimile resta comunque quella di una drastica riduzione delle dimensioni di questa azienda ed un suo ulteriore smembramento. E l'atteggiamento della FIAT sembra quello di chi mette in vendita la sua vecchia macchina pur di non doverne pagare la rottamazione.

Intanto dalla catena di montaggio continuano ad uscire 128 rosse fiammanti. Anche parte delle verniciature vengono fatte ancora a mano, con nebulizzatori. Una tuta bianca a coprire i vestiti, nessuna mascherina a proteggere i polmoni. Tutt'attorno appiccicoso. La scarsa tutela dei lavoratori emerge in questa lentezza in modo ancor più drammatico ed i Balcani sembrano sempre più - esclusivamente - un grande mercato.

Zastavaland

Il traffico di Kragujevac è un'alternarsi incessante di modelli Zastava. Come da nessun'altra parte in Serbia. I profili elementari della 101, delle yugo, più raramente della nuova Florida, si intravedono ovunque. Questa "grande fabbrica" la si incontra ogni volta che si deve attraversare la strada, uno sguardo a destra ed uno a sinistra. E nei racconti di tutti. Ciascun cittadino di Kragujevac ha lavorato o ha un parente stretto che ha lavorato alla Zastava.

Ma Kragujevac non è solo la Zastava. Se in alcune occasioni - tra acconciature leonine, borselli e geometrie dettate dall'efficienza utopica - si ha l'impressione di essere immersi in un grande Reality Show ambientato trent'anni fa, poi le continue incursioni della modernità riportano alla realtà.

Filiali delle principali banche europee, la disintegrazione dei centri commerciali socialisti in piccoli embrioni di boutique, supermercati lindi e lucenti, con tanto di musica rassicurante. E poi per strada ragazzi in skate board e coppiette che proteggono i loro piccoli in carrozzelle iper-tecnologiche.

"Questa città può fare anche a meno della Zastava" afferma Vladimir Dzenopoljac, assistente universitario presso la Facoltà locale di economia "questa è una città attiva, certo per ora molto rientra nella sfera dell'economia grigia, è grazie a questa che la città sopravvive. E poi grazie alle rimesse dall'estero. Ma questo territorio dà molte opportunità. Non penso alla chiusura totale della Zastava ma ad una sua presenza ridotta, magari potrebbero lavorarvi 200-300 lavoratori".

Poi Milan sorride: "Certo, la situazione non è semplice, all'università mi avevano insegnato che la transizione dura dai 3 ai 5 anni. Ne sono passati ben di più. Occorre che cambi la mentalità della gente ma sono fiducioso, ci sono molti giovani capaci e che sanno cosa fare".

Al suo fianco la sua ragazza, Alexandra, laurea in management aziendale ed un lavoro presso una filiale di una banca europea. "Non penso sia giusto chiedersi Zastava si o Zastava no. La Zastava deve rimanere a Kragujevac ma la sua struttura deve essere ridotta. Così è insostenibile".

Catena di montaggio - Gughi Fassino

Per uno sviluppo che prescinda dalla grande industria lavora anche l'Agenzia regionale per lo sviluppo, organismo istituito a Kragujevac grazie al supporto di varie agenzie internazionali tra le quali il programma dell'UNDP-UNOPS e l'Agenzia Europea per la Ricostruzione.

"Promuoviamo progetti di microcredito, forniamo consulenza a chi vuole aprire una propria attività, cerchiamo di promuovere il dialogo tra le istituzioni ed il settore privato" spiega la direttrice dell'agenzia Jasminka Lukovic Jaglicic, modi di fare eleganti e pacati resi però formali dal suo essere seduta dietro alla propria scrivania "tra i problemi principali le condizioni del credito, insostenibili, con tassi di interesse che non vanno al di sotto del 12%. Le banche forniscono piccoli prestiti per gli acquisti, non per le attività economiche. Poi vi è una scarsa preparazione della forza lavoro". Molti di loro stanno lavorando da anni nel sistema irreale ed assistito della Zastava. Molti altri è da troppo che non lavorano. Secondo le stime dell'Agenzia sarebbero circa 22.000 i disoccupati a Kragujevac.

Più diretto è Dusan Cukic, anche lui dell'Agenzia. Chiacchiera con noi mentre ci accompagna alla sede di un'associazione di imprenditori. "Questa è una città nella quale le piccole e medie imprese possono avere futuro" afferma "c'è un senso di imprenditorialità forte, la gente si da fare. I settori che ritengo importanti? Oltre al terziario anche il tessile, la produzione di scarpe e la produzione di cibi biologici". Per le prime due viene in mente subito lo spettro della Cina, che aleggia anche in Italia, per il terzo invece pochi dubbi sul fatto che è una risorsa da sfruttare, soprattutto considerando il paesaggio che t'accompagna dal confine con la Croazia sino a questa città della Serbia centrale: un susseguirsi di pianura e dolci colline.

"Occorre che venga cambiato il paradigma e che dalla città ci si sposti in campagna" afferma Cole nella sede della Koalicjia Sumadja, partito che presiede "lo sviluppo della Serbia non può prescindere dall'agricoltura. Anzi è da questa che deve ripartire. Occorre una profonda riforma agraria, le aziende agricole vanno ripensate e modernizzate. Ci sono troppi piccoli appezzamenti e bisogna uscire dalla produzione di sussistenza". La campagna che ha fornito un'ancora di salvataggio in questi anni di crisi ed embarghi a divenire volano per lo sviluppo. "La Zastava? Sarebbe stato meglio se i bombardamenti della NATO l'avessero rasa del tutto al suolo" aggiunge in modo volutamente polemico, per sottolineare il peso del "gigante" sullo sviluppo della città. In mente ritornano i racconti di come gli operai all'indomani dei bombardamenti del 1999 hanno subito iniziato a rabberciare la "loro fabbrica" per poter ripartire con la produzione. Cole è consapevole della delicatezza della questione: "Vorrei specificare di essere del tutto contrario all'uso della guerra come mezzo per risolvere i conflitti. Sono stato contro i bombardamenti tanto di Sarajevo e Dubrovnik, che delle città della Serbia".

Fića - Gughi Fassino

Il mantra schumacheriano dello "small is beautyfull" non è invece molto condiviso dai dirigenti della Zastava. Difficile aspettarsi il contrario. "Lo sviluppo della piccola e media impresa non può prescindere dalla permanenza della grande industria a Kragujevac. Qui c'è una tradizione che non può essere abbandonata, non tutto è da buttare. Deve essere la grande industria a trascinare gli altri. Attualmente dalla Zastava dipendono 220 altre aziende della Serbia. Se chiude chiudono anche queste ultime", afferma Vladeta Kostic.

"Il problema è che la Zastava in realtà ha poco indotto. Molto veniva prodotto al suo interno. Differente è ad esempio la situazione di altre aree industriali legate all'industria automobilistica" afferma Mario Agostinelli, ex sindacalista ed attento analista del settore auto, da anni impegnato in attività di solidarietà con Kragujevac "si prenda ad esempio l'area di Arese. Le piccole e medie aziende legate alla FIAT hanno sviluppato forte professionalità. Sono esperienza d'eccellenza. Se non potranno più produrre per la FIAT lo faranno per altre grosse case automobilistiche ... non è il caso di Kragujevac".

Anche in municipio alla Zastava non si intende affatto rinunciare. Marmi, legno pregiato. Gli arredi parlano di un passato benestante, la cura con la quale li si mantiene di una caparbietà a non rinunciarvi. Dobrica Milovanovic presiede l'assemblea cittadina. "Stupido buttar via 150 anni di storia nell'industria metalmeccanica" afferma, distratto per un attimo dalla segretaria che ci porta l'immancabile tazza di caffè "certo occorre considerare attentamente le nuove condizioni nelle quali ci troviamo. Per questo come municipio cerchiamo di stimolare lo sviluppo economico mettendo a disposizione di nuove aziende terreni dove costruire i propri capannoni. Vedremo. Resta il fatto che Kragujevac è una città troppo grande perché l'economia decolli nuovamente senza che riparta anche la Zastava".

All'imbocco della strada che porta dalla periferia di Kragujevac al casello dell'autostrada per Belgrado si sta lavorando all'urbanizzazione di un intero terreno ed alla costruzione di alcuni capannoni. Prefabbricati in cemento che sembrano affondare nella terra smossa ed umida. Non troppo voluminosi, solidi. Anche alla Zastava vi sarebbero grandi spazi inutilizzati. Ma è più vantaggioso il nuovo che affrontare i difficili equilibri tra burocrazia e ruggine.

Rifugiati

"Sloga", unione, è un'associazione che riunisce ben 500 imprenditori locali. La sua sede è in centro città. Nella sala riunioni un grande tavolo di legno scuro e sedie imbottite. L'aria che si respira è da organizzazione non governativa. L'atmosfera è informale, la sensazione che si faccia tutto con poche risorse.

E' qui che lavora Ljubisa Niksic. Giornalista, è nato in Kosovo e nel '99 si è trasferito in Bosnia e vi ha lavorato per varie radio e televisioni. Poi, due anni fa, è arrivato a Kragujevac. Prima ha lavorato per una tv del posto e poi è passato all'associazione degli imprenditori.

"E' una città dove mi sono sentito fin da subito accolto. Avevo qui parenti, come molti serbi originari del Kosovo. Ed allora mi sono trasferito".

Quasi il 10% della popolazione di Kragujevac è costituito da sfollati dal Kosovo e rifugiati originari di Bosnia e Croazia. Secondo le stime ufficiali sarebbero circa 14.000. Durante gli anni '90 si è verificato un vero e proprio spostamento di popolazione lungo un tracciato che era stato già definito dalle migrazioni economiche interne alla Jugoslavia negli anni '60 e '70. In molti infatti in quegli anni arrivarono per lavorare alla Zastava. Poi, a seguito dei drammatici anni '90 ed in particolare in seguito ai bombardamenti NATO del '99, sono arrivati a raggiungerli anche parenti, amici e conoscenti, alla ricerca di un appiglio qualsiasi per ricostruire la propria vita dopo essere stati obbligati a lasciare le proprie case. Prima ci si è mossi per lavoro e poi per la guerra, quando, di lavoro, non ne era rimasto per nessuno. Una situazione drammatica.

"Siamo sopravvissuti a quegli anni solo perché la Serbia dopotutto è un paese ricco, in molti hanno un orto, è stato possibile in qualche modo arrangiarsi" racconta Liljana Palibrk, dita allungate e decise, mani richiuse una sull'altra "il problema è che ancora oggi in molti non lavorano ed in generale qui a Kragujevac ci si aspetta che qualcuno venga da fuori e risolva i nostri problemi". Liljana a Kragujevac presiede l'Helisinki Comittee for Human Rights, organizzazione internazionale che si occupa di tutela dei diritti umani.

Per strada ci fermiamo a chiacchierare con la gente, chiediamo opinioni sulla Zastava. Siete di qui? "Beh si ... in realtà non proprio". Sono in molti a non essere nati a Kragujevac. Tra questi anche un ragazzo biondo, sguardo timido, che affitta piccole vetture elettriche in una delle piazze principali della città. Bambini, con piglio da piloti, sfiorano anziani concentrati nelle chiacchiere del pomeriggio, trasformando in circuito la zona pedonale. Anche lui non è di Kragujevac ed arriva dal sud della Serbia. Anche lui alla fine è finito ad occuparsi di auto. Ma il suo non è un inseguire un sogno jugoslavo ma un non affondare in quel che ne rimane.

Fića

L'ufficio dell'ingegnere Slavoljub Ristic ha un'ampia vetrata su di un'autofficina. Sulla parete dietro alla sua scrivania un poster, una Yugo decappottabile ed una modella in abiti succinti sul sedile posteriore. Lo slogan: al passo coi tempi.

Fića - Gughi Fassino

Siamo nel settore "Zastava Yugo sport", un reparto corse ormai esautorato dalla storia e che pian piano non si è più occupato di auto sportive e go-kart, alcuni dei quali rimangono impolverati in un angolo dell'autofficina, ma dove si è ora dediti ad installare sui vari modelli Zastava impianti a gas.

"Quest'anno siamo stati premiati da un'associazione di giornalisti come i migliori rivenditori di automobili dell'intera Serbia" racconta Ristic che mantiene un piglio serioso nonostante la situazione nella quale lavora sia del tutto paradossale. Ci passa un grafico: nel 2004 questo reparto ha venduto 771 automobili.

Nel garage un grande poster ricorda che negli anni '80, in un rally negli Stati Uniti, una Yugo ha sconfitto marche ben più prestigiose tra le quali Saab e Mercedes. E' in inglese. Al culmine del suo successo, nel 1985, la Zastava è stata la prima azienda automobilistica dell'est Europa ad esportare negli Stati Uniti. 140.000 vetture vendute ed una fama ambigua: gli americani rimasero soprattutto sorpresi ed affezionati al modello che si chiamava "Yugo", tu vai, e nonostante questo proprio non andava.

L'atteggiamento di Ristic è l'esasperazione di un sentimento che si percepisce forte in città. Da una parte non si nega che la Zastava sia allo sbando, dall'altra la si vorrebbe ancora viva, ed in parte ci si comporta come se lo fosse.

Un legame limpido e sincero è quello invece che lega la gente ad alcuni modelli storici della Zastava. Soprattutto la Fića, versione jugoslava della FIAT 600. Tra questi vi è Milan, faccia simpatica, ancora qualche brufolo e gli occhi irrequieti dei vent'anni. La sua Fića ha un volante fatto di anelli di metallo saldati tra loro, alzacristalli elettrici e un subwoofer che occupa entrambi i sedili posteriori. Apre orgoglioso il bagagliaio. "Ho installato il motore di una Uno" sorride compiaciuto "in autostrada arrivo ai 160". Il suo sport preferito? Superare le auto con targa straniera, fermarsi un attimo al loro fianco per vedere le facce, e poi accelerare.

Al suo fianco Dragan, settant'anni, schiena dritta e un sorriso vitale. Anche lui, come Milan, fa parte di un gruppo di appassionati della Fića. Grandi cene assieme, gemellaggi con altri Paesi della ex Jugoslavia e scorribande per le vie della città. Ha tolto il sedile al fianco del guidatore, al suo posto attrezzi per la campagna ed una tanica di benzina. "Ho un'altra macchina ma questa è diversa", appoggia la mano sul rosso sbiadito della carrozzeria con la delicatezza dell'innamorato. "No, ne hanno prodotte solo 923.487", sospira malinconico. Per il milione non si è più in tempo, la Jugoslavia non c'è più.