Proponiamo una breve scheda con un aggiornamento sulla situazione di rifugiati e sfollati interni in Bosnia Erzegovina. Così faremo per ogni Paese della penisola balcanica
La Bosnia Erzegovina è tra i Paesi dei Balcani che hanno affrontano le maggiori sfide in termini di rifugiati e sfollati interni. Per anni il rientro di questi ultimi nelle proprie case è stato tra le priorità dell'agenda internazionale. Ora l'attenzione sulla questione è sensibilmente calata.
Ma a che punto è il processo di ritorno di rifugiati e sfollati interni? A più di dieci anni dalle tragedie della pulizia etnica vi è ancora qualcuno che decide di rientrare? Chi sono invece coloro i quali decidono di chiedere asilo in Bosnia Erzegovina? Ed ancora, il processo di restituzione delle proprietà ai legittimi proprietari sta dando risultati positivi?
L'occasione per fare il punto della situazione è data dal sito dell'US Committee for Refugees che fornisce per ogni Paese dei Balcani un quadro chiaro, relativo al 2003, in merito a sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo.
La Bosnia Erzegovina, nonostante una diminuzione del 16% rispetto all'anno precedente, nel 2003 ha ospitato circa 34.200 tra rifugiati e richiedenti asilo, la maggior parte dei quali provenienti dalla Croazia (circa 22.200) o dalla Serbia Montenegro (circa 6.000; soprattutto dal Kossovo).
I rifugiati in Bosnia provenienti dalla Croazia appartengono per la maggior parte alla comunità serba e vivono in maggioranza nel territorio della Republika Srpska. Recentemente l'OSCE ha sottolineato il positivo impegno del governo croato nel favorire i rientri. "In molti casi il governo ha articolato risposte adeguate e messo in piedi meccanismi che danno risposta alle problematiche ancora irrisolte" ha affermato Peter Semneby, a capo della missione OSCE in Croazia, "approcci che però devono ancora essere testati ed implementati appieno". Molti serbi originari della Croazia temono infatti ancora di essere vittime di discriminazione e preferiscono rimanere nella Republika Srpska, dove però le loro condizioni economiche non sono certo incoraggianti.
Durante il 2002 sono rimpatriati circa 1.600 rifugiati serbi della Croazia e 440 rifugiati hanno fatto ritorno in Serbia Montenegro (dati UNHCR). In realtà non è possibile conoscere il numero effettivo di questi ultimi dato che, essendoci un regime frontaliero liberale tra Bosnia e Jugoslavia, molti rimpatriano senza ufficializzarlo.
La Bosnia tuttavia non deve affrontare solo il problema dei rifugiati provenienti da altri Stati. Alla fine del 2002 infatti 528.000 bosniaci rimanevano lontani dalle proprie case; di questi 368.000 erano sfollati interni (IDPs) e 160.000 rifugiati o richiedenti asilo all'estero. La maggior parte dei rifugiati bosniaci risiedono in Jugoslavia (circa 121.000). Il 2002 è però terminato con un dato positivo: il numero dei rifugiati bosniaci è diminuito del 18% rispetto al 2001 e quello degli IDPs del 14%.
Gli Accordi di pace di Dayton, che garantiscono la libertà di movimento ed il diritto dei rifugiati di fare ritorno alle proprie case, hanno accelerato il processo di rimpatrio dei profughi. A partire dal 1995 circa 1 milione tra rifugiati ed IDPs sono ritornati ai loro precedenti possedimenti in Bosnia. Negli ultimi anni però tale processo ha visto un forte rallentamento.
L'UNHCR ha documentato 7.413 ritorni durante i primi quattro mesi del 2004. Di questi 5.303 erano "ritorni di minoranze", soprattutto di bosniaci che tornavano in zone controllate da altre comunità etniche. Un dato da considerare: nei primi tre mesi del 2004 l'UNHCR ha registrato solo 3.064 "ritorni di minoranze", un 75% in meno dello stesso periodo nel 2003.
L'US Committee for Refugees sottolinea come siano proprio le persone che ritornano in luoghi dove rappresentano minoranze ad incontrare le maggiori difficoltà; sono infatti molteplici gli elementi che ostacolano il ritorno alle loro case. Spesso la comunità etnica numericamente più forte cerca in differenti modi di disincentivarne il ritorno. Questo accade soprattutto in Republika Srpska e nelle aree d'influenza della comunità croata nella Federazione, dove inoltre le minoranze soffrono maggiormente il problema delle discriminazioni nell'ambito lavorativo (in un mercato che già offre poche opportunità) e nell'accesso alle cure mediche, alle pensioni ed agli altri servizi pubblici. Queste aree inoltre necessitano di maggiori fondi per la ricostruzione delle case affinché tali minoranze possano farvi ritorno. I donatori internazionali hanno invece tagliato i fondi di supporto. Altri elementi che disincentivano i "ritorni di minoranze"- sempre secondo l'US Committee sarebbero l'insicurezza che domina tali territori e la difficoltà che spesso le minoranze incontrano nel recuperare le loro precedenti proprietà.
Il Property Law Implementation Plan è riuscito generalmente nel suo intento di restituire le proprietà ai legittimi proprietari. Sono però ancora 80.000 le richieste pendenti. A questo si aggiunge la situazione drammatica dei Rom che in molti casi non hanno potuto nemmeno presentare domanda per il recupero delle loro precedenti proprietà, non essendo in possesso dei titoli legali che le provino, così come richiesto dalla legge.
Negli ultimi anni in Bosnia Erzegovina, con l'appoggio della comunità internazionale, si è cercato di incoraggiare il ritorno dei rifugiati, cercando di ricreare una sorta di pluralismo all'interno delle diverse entità. L'obiettivo è di garantire una rappresentanza delle minoranze nelle due Entità, ribaltando in questo modo i risultati della pulizia etnica. Tuttavia le energie finora spese in questa direzione potrebbero venire "dirottate" verso altri settori date le nuove priorità poste dall'Alto Rappresentante Paddy Ashdown: la ricostruzione economica e la lotta al crimine organizzato.
Dall'altra parte però si mantiene, seppur su scala ridotta, l'impegno di alcune organizzazioni internazionali, come per esempio della missione OSCE in Bosnia Erzegovina, che continua ad incoraggiare ed a supportare un processo di ritorno stabile. Ad esempio, lo staff dell'OSCE è recentemente impegnato in visite nelle aree in cui ritornano i rifugiati e gli sfollati interni, per identificare i problemi che questi possono incontrare e cerca di trovare delle soluzioni sostenibili per risolverli, cooperando con le autorità locali.
La Bosnia Erzegovina non è solo punto di partenza e di arrivo di rifugiati e richiedenti asilo, ma è anche un importante punto di transito per coloro che vogliono raggiungere l'Europa occidentale, siano questi richiedenti asilo o semplici migranti. In questi ultimi anni la "pressione Schengen" si è fatta sentire. Come risposta alle forti pressioni dei Paesi dell'Unione Europea la Bosnia ha iniziato a modificare il suo regime frontaliero liberale, richiedendo per esempio il visto ai cittadini iraniani (che rappresentano insieme ai turchi la maggioranza dei migranti extra-regionali e dei richiedenti asilo che passano per i Balcani per dirigersi verso l'UE) e cooperando con gli Stati dell'UE nei controlli di confine.